(AP Photo/Marcio Jose Sanchez)

Gli smartphone fanno bene al pianeta?

Sì, secondo un ricercatore del MIT, perché hanno rimpiazzato moltissimi altri oggetti più ingombranti e inquinanti: ma forse è troppo ottimista

Qualche anno fa era circolato molto un video che mostrava l’evoluzione delle scrivanie dal 1980 ai giorni nostri. Una quarantina di anni fa le scrivanie sarebbero state piene di oggetti: computer, bloc notes, giornali, calcolatrice, fax, orologio, calendario, e anche una bacheca con appese alcune fotografie. Oggi tutto quello che rimane sono un laptop e uno smartphone: tutti gli oggetti che c’erano prima sono stati sostituiti, diventando applicazioni o parte stessa dei sistemi operativi degli smartphone.

Questo cambiamento radicale è avvenuto nel giro di pochi anni, cioè da quando nel 2007 Apple lanciò l’iPhone, l’oggetto che ha dato inizio all’era degli smartphone. Da allora, complice l’avvento del concorrente Android, sono stati venduti miliardi di smartphone, una cifra enorme che preoccupa alcuni soprattutto per l’impatto ambientale che possono avere. Più raramente si discute, invece, di tutte le cose e le risorse in meno che produciamo e utilizziamo grazie all’esistenza degli smartphone.

Costruire così tanti smartphone richiede l’utilizzo di metallo, plastica, vetro e di altri materiali in grande quantità, alcuni dei quali piuttosto rari: una ricerca della European Chemical Society, che raggruppa più di 160mila chimici di 40 associazioni di tutto il mondo, mostra come alcuni dei materiali necessari alla costruzione di smartphone siano sempre meno diffusi sul nostro pianeta, e alcuni potrebbero scomparire nel giro di un secolo. Inoltre l’utilizzo sempre più massiccio che facciamo degli smartphone implica un grosso consumo di energia elettrica (si stima che gli utenti che fanno un uso intenso del proprio iPhone in un anno consumino più energia di un frigorifero), che per essere prodotta richiede per lo più il ricorso a combustibili fossili, con conseguenti danni per l’ambiente.

Eppure, come ha scritto su Wired Andrew McAfee, che co-dirige un centro di ricerca dell’MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston che studia l’impatto delle tecnologie nell’economia mondiale, ci sono altri fattori che fanno pensare che le cose siano un po’ meno negative di come possiamo immaginare. Per esempio, negli ultimi dieci anni il consumo di energia elettrica negli Stati Uniti è rimasto sostanzialmente invariato, quello di plastica è rallentato rispetto agli anni precedenti la crisi economica del 2007, e anche il consumo di acciaio, rame, oro, e di fertilizzante, acqua, terreni coltivati, legname, carta e altri materiali è diminuito.

Per spiegare questo calo McAfee parla proprio dell’iPhone e del fenomeno descritto dal video sull’evoluzione delle scrivanie. McAfee cita a proposito un articolo dello scrittore Steve Cichon apparso sull’Huffington Post nel 2017, in cui questo sosteneva che dovremmo pensare diversamente ai 2 miliardi di iPhone prodotti negli ultimi anni: dovremmo pensare a quante materie prime si sono risparmiate permettendo alle persone di avere nelle proprie tasche un oggetto che comprende una serie di oggetti tutti insieme contemporaneamente.

McAfee definisce questo fenomeno “dematerializzazione“, una teoria che in economia significa la riduzione dei materiali necessari al funzionamento dell’economia di una società. Il punto è capire come sia successo e perché sia successo proprio ora.

Secondo McAfee la prima spiegazione – che è la più ovvia – è che il progresso tecnologico ha riguardato non solo gli smartphone ma tutta la produzione, da quella industriale a quella agricola. «Tutte queste tecnologie richiedono una gran quantità di elettricità, ma al tempo stesso fanno risparmiare molta energia all’economia in generale. È per questo motivo che il consumo di elettricità è stabile negli Stati Uniti e l’uso totale di energia è poco più alto rispetto agli anni che hanno preceduto la crisi economica».

La seconda spiegazione della dematerializzazione, secondo McAfee, è invece meno immediata ma altrettanto importante: il capitalismo. Nella società capitalistica le aziende non sono solo spinte a produrre e vendere sempre di più, ma anche a farlo cercando di spendere il meno possibile. Questo le ha portate a risparmiare sulle risorse naturali e sull’energia, facendo leva sulle tecnologie più avanzate a disposizione, e riducendo di conseguenza il proprio impatto ambientale.

McAfee per spiegare questo passaggio fa l’esempio del cartone. L’enorme crescita che negli ultimi anni ha avuto il settore dell’e-commerce, grazie a servizi come Amazon e eBay, potrebbe far pensare che tutte le scatole che ogni giorno vengono spedite in giro per il mondo abbiano fatto aumentare la produzione di cartone. In realtà i dati mostrano che negli Stati Uniti è stato utilizzato meno cartone per le spedizioni nel 2015 che nel 1995. Il capitalismo e la concorrenza hanno spinto i produttori a risparmiare sulle spedizioni e a cercare nuovi modi di spedire gli oggetti che fossero più economici del cartone, sfruttando il progresso tecnologico.

Secondo McAfee non dobbiamo certo sperare che il capitalismo e il progresso tecnologico risolvano tutti i problemi ambientali del mondo, per cui è necessario l’intervento attivo dei governi dei singoli paesi, ma non si deve nemmeno pensare pessimisticamente che prodotti come l’iPhone stiano mettendo a rischio il nostro pianeta. «In realtà stanno facendo il contrario», dice McAfee. «Ci stanno portando in un secondo Illuminismo, questa volta fisico, piuttosto che intellettuale. Prevedo che durante il XXI secolo quest’Illuminismo si diffonderà dagli Stati Uniti e dagli altri paesi ricchi verso paesi più poveri, e finalmente potremo iniziare ad avere una relazione stabile e sana con tutta la Terra».

L’articolo di McAfee trascura però molti aspetti legati ai cicli produttivi degli smartphone, che per come buona parte dei prodotti tecnologici non avvengono negli Stati Uniti, ma in Cina. E in Cina la produzione di 2 miliardi di iPhone e miliardi di altri smartphone ha comportato eccome un maggiore consumo di energia, suolo e altre risorse per costruire enormi fabbriche che sfornano milioni di cellulari al giorno.

Misurare l’effettivo impatto di un singolo prodotto come lo smartphone sul pianeta – nel bene e nel male – è comunque molto complicato, e lo stesso McAfee ammette di tralasciare alcuni elementi nella propria analisi. Oggi sappiamo che l’invenzione e la diffusione dell’automobile hanno radicalmente cambiato le nostre società, ma che al tempo stesso è diventata un fattore determinante nel peggioramento delle condizioni ambientali del pianeta. Furono necessari decenni per comprendere l’entità di queste trasformazioni, e probabilmente ne serviranno anche per gli smartphone.

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