Come la discesa sulla Luna fu trasmessa in diretta TV

Fu un'impresa nell'impresa, di importanza cruciale per l'eredità della missione (e gli australiani videro tutto prima di tutti)

di Cesare Treccarichi

Una famiglia giapponese segue l'allunaggio in diretta televisiva nel 1969. (AP Photo)
Una famiglia giapponese segue l'allunaggio in diretta televisiva nel 1969. (AP Photo)

Tra il 20 e il 21 luglio di cinquant’anni fa milioni di persone in tutto il mondo guardarono attraverso la televisione i primi esseri umani camminare sulla Luna: insieme agli astronauti, arrivarono sulla Luna anche le prime telecamere costruite allo scopo di funzionare in quelle condizioni eccezionali. Riuscire a far arrivare sul nostro pianeta le immagini dell’allunaggio in diretta tv era considerato “cruciale per la credibilità della missione”, come la NASA spiegò poi in un documentario, ma diede ulteriori pensieri agli ingegneri statunitensi. I problemi principali erano due: sarebbero servite delle telecamere in grado di operare in una situazione straordinaria e si dovevano creare le condizioni tecniche per inviare il segnale sulla Terra (e mostrarlo a circa 650 milioni di persone, secondo i calcoli della NASA).

Il presidente Kennedy aveva annunciato nel 1961 l’intenzione degli Stati Uniti di andare sulla Luna, con un famoso discorso di cui si ricorda la frase “We choose to go to the Moon”: sarebbero serviti 8 anni, più di 19 miliardi di dollari spesi (circa 116 odierni) e il lavoro di oltre 300mila persone. La missione della NASA era seguita con grandissima attenzione in tutto il mondo, e la diretta televisiva era considerata fondamentale dal governo per promuovere una storia americana a lieto fine, in un paese in cui l’umore della popolazione peggiorava quotidianamente per le notizie sugli attriti con l’Unione Sovietica e sulla guerra in Vietnam. «Senza la televisione, l’allunaggio sarebbe stato un risultato importante come tanti: una trovata molto costosa, secondo i più cinici», ha commentato Joshua Rothman, giornalista del New Yorker. «Invece, visto in diretta, senza tagli e montaggio, contemporaneamente in tutto il mondo, è diventato un’autentica esperienza intima e globale insieme».


Fu possibile grazie a un ingegnere dell’azienda elettronica Westinghouse, Stan Lebar, che venne incaricato dalla NASA di progettare la telecamera adeguata, l’Apollo Tv Lunar Camera (gli astronauti avrebbero avuto anche una seconda telecamera, una Mauer da 16 mm, da utilizzare solo per le riprese “a mano” dopo lo sbarco). L’utilizzo sulla Luna richiedeva determinate caratteristiche: la telecamera doveva avere dimensioni ridotte, doveva essere facile da usare per gli astronauti – non esattamente a loro agio con pochissima gravità e con le ingombranti tute spaziali – e in grado di sopportare lo stress termico della superficie lunare, dove le temperature oscillano tra i -248 e i +122 gradi Celsius. La telecamera sarebbe stata installata sull’esterno del modulo lunare, alla sinistra della scaletta che Neil Armstrong e Buzz Aldrin avrebbero utilizzato per sbarcare sulla Luna.

(NASA)

Uno speciale rivestimento termico di colore grigio avrebbe protetto la camera dalle alte temperature. L’Apollo Tv Lunar Camera doveva anche essere in grado di bilanciare l’elevato contrasto tra il bianco della superficie lunare e il nero dello spazio. Così si scelse di installare una tecnologia che Westinghouse aveva sviluppato per il Dipartimento della Difesa e che era stata utilizzata durante la guerra in Vietnam per la ricerca dei piloti abbattuti nella giungla in condizioni di luce scarsa e nelle ricognizioni notturne. La telecamera richiedeva una moderata potenza elettrica, per ridurre peso e produzione di calore: appena 7 Watt, quella che di solito si usa per una singola lucina di un albero di Natale, come raccontò lo stesso Lebar.


La telecamera avrebbe dovuto riprendere per il mondo intero il “grande balzo per l’umanità” di Armstrong. Ma anche trasmetterlo in diretta, e questo era il secondo tema. Durante un viaggio spaziale sono diverse le comunicazioni che intercorrono tra la navicella in viaggio e la base di controllo sulla Terra: telemetrie, informazioni sul funzionamento dai computer di bordo, comunicazioni vocali, dati biometrici degli astronauti (per esempio, a Houston seppero in tempo reale che il cuore di Armstrong aveva raggiunto i 160 battiti al minuto durante le manovre manuali di allunaggio e i 112 quando toccò il suolo lunare).

A queste informazioni “canoniche” si sarebbero aggiunte stavolta anche le immagini per la tv. La NASA decise di far passare tutte queste comunicazioni attraverso un’antenna posizionata sull’Apollo, la Usb (Unified S-band), che le avrebbe trasmesse su frequenze differenti ma centralizzandole su un solo dispositivo. Tramite la Usb le immagini vennero trasmesse sulla Terra in tre postazioni: una a Goldstone, in California, e le altre due in Australia, al Parkes Radio Astronomy Site nel New South Wales e all’Honeysuckle Creek Tracking Station, vicino a Canberra. Successivamente, il segnale fu fatto rimbalzare con gli standard adatti per essere trasmesso in tv verso il satellite Intelsat, che a sua volta lo avrebbe rimandato verso il “Ground Control”, il centro di comando, a Houston in Texas. Da lì le immagini sarebbero state trasmesse alle reti televisive di tutto il mondo e agli apparecchi degli spettatori.

Così quando a Houston erano le 21:56 – e in Italia le 4:56 di un mattino d’estate – milioni di persone videro sulle loro televisioni Neil Armstrong scendere la scaletta e toccare il suolo lunare per la prima volta. Circa due minuti e mezzo prima, il suo compagno Buzz Aldrin aveva premuto un interruttore all’interno del modulo lunare, attivando la camera esterna posta sul modulo lunare alla sinistra della scaletta e facendo iniziare la diretta. L’immagine iniziale era scura, poco nitida e arrivò alle televisioni capovolta, perché era stato necessario posizionare sottosopra la telecamera sul fianco del modulo lunare. Le stazioni di ricezione sulla Terra avrebbero dovuto capovolgere l’immagine ma dalla stazione di Goldstone non fu immediatamente azionato l’apposito comando; soltanto dopo qualche qualche secondo Houston invitò Goldstone a correggere l’immagine e il problema fu risolto.


Restava il problema della qualità. Durante i primi minuti della diretta, infatti, la NASA alternò i segnali dalle stazioni di Goldstone e Honeysuckle Creek per capire da quale provenisse l’immagine più nitida; la stazione di Parks però aveva un’antenna leggermente più potente e a Houston si accorsero che l’immagine migliore proveniva da lì. Il resto delle 21 ore di diretta provenne così dalla stazione di Parks, che inviava il segnale a Houston tramite il satellite Intelsat, in orbita sull’oceano Pacifico nei pressi dell’Australia, ma anche a Sydney agli studi della tv Abc. La maggiore vicinanza tra il satellite e Sydney rispetto a Houston permise agli australiani di vedere il primo uomo sulla Luna 0,3 secondi prima del resto del mondo.

Questo e gli altri articoli della sezione Come andammo sulla Luna sono un progetto del workshop di giornalismo 2019 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.

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