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  • Lunedì 1 luglio 2019

Sulle nomine europee ancora niente

Dopo una notte di negoziati i capi di stato e di governo europei non hanno trovato un compromesso sui nuovi presidenti di Commissione, Consiglio e Parlamento: si riprende domani alle 11

Al centro, la presidente lituana Dalia Grybauskaite parla col primo ministro lussemburghese Xavier Bettel (da destra a sinistra), il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, il primo ministro maltese Joseph Muscat e il primo ministro estone Juri Ratas (Olivier Hoslet, Pool Photo via AP)
Al centro, la presidente lituana Dalia Grybauskaite parla col primo ministro lussemburghese Xavier Bettel (da destra a sinistra), il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, il primo ministro maltese Joseph Muscat e il primo ministro estone Juri Ratas (Olivier Hoslet, Pool Photo via AP)

I negoziati fra i capi di stato e di governo europei per rinnovare le principali cariche istituzionali dell’Unione Europea sono andati avanti tutta la notte nella sede del Consiglio Europeo a Bruxelles, senza successo. Intorno a mezzanotte sembrava che si fosse trovato un accordo per assegnare la presidenza della Commissione Europea al candidato dei Socialisti Frans Timmermans, il favorito della vigilia, e quelle del Parlamento e del Consiglio Europeo ai Popolari; nelle ore successive però è diventato chiaro che il compromesso non era appoggiato da una maggioranza sufficiente. Intorno a mezzogiorno, la riunione è stata sospesa e tutti i leader sono stati convocati domani alle 11.

I corrispondenti da Bruxelles ipotizzano che la riunione sia stata la più lunga nella storia del Consiglio Europeo: stamattina ha superato quella sulla crisi greca del 2015, che si era conclusa alle 8.39 della mattina.

Al momento non è chiaro se il nome di Timmermans sia ancora sul tavolo, o se i leader si concentreranno su altri nomi per la presidenza della Commissione. La discussione è durata circa 15 ore, anche se alcune di queste sono servite a organizzare riunioni bilaterali o a piccoli gruppi. Nelle prime ore di lunedì sembra sia stato fatto un ultimo tentativo per convincere alcuni leader ad accettare Timmermans come capo della nuova Commissione e tutta un’altra serie di nomine, ma sembra che non abbia ricevuto il consenso necessario. Il presidente del Consiglio in carica Donald Tusk non terrà la solita conferenza di fine giornata, e quindi non verranno diffuse informazioni ufficiali sullo stato dei negoziati.

Le principali cariche che vanno rinnovate sono quattro, e sono assegnate alla fine di un complesso gioco di incastri che le riguarda tutte. Da qui a novembre verranno rinnovati il presidente della Commissione (cioè il governo dell’UE), del Consiglio Europeo, da non confondersi col Consiglio dell’Unione Europea, del Parlamento e della Banca Centrale. Le nomine vengono decise dalla maggioranza che governerà i lavori della prossima legislatura, e che comprende Popolari, Socialisti, Liberali e Verdi. Alla difficoltà di mettere d’accordo quattro famiglie politiche diverse, si aggiunge il fatto che le nomine dovranno anche rispettare criteri geografici – bisogna cercare di non scontentare nessuno dei paesi più importanti, né i blocchi di paesi che si muovono in maniera coordinata – e di genere.

Bisogna stare attenti ai numeri: per essere approvata, la nomina del presidente della Commissione e del Consiglio deve passare con una doppia maggioranza qualificata, che comprenda sia 21 paesi su 28 sia un numero di stati che rappresenti il 65 per cento della popolazione dell’UE. Significa che un blocco di paesi che rappresentino almeno il 35 per cento della popolazione può bloccare le nomine: sin da ieri sera è stato chiaro che i principali paesi dell’Est (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) si oppongono a Timmermans, che in passato è sempre stato molto duro coi paesi dell’Europa Orientale che non rispettano le regole europee sullo stato di diritto.

Ma i principali autori del compromesso della vigilia, cioè la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, hanno inoltre sottovalutato l’ostilità di alcuni leader dei Popolari, sia in Consiglio sia nel Parlamento Europeo (che deve ratificare la nomina del presidente della Commissione Europea). Alle ultime elezioni europee sono stati i Popolari ad ottenere più parlamentari europei di tutti – oggi controllano il 24,3 per cento dei seggi, seguiti dai Socialisti col 20,5 – e hanno la maggioranza relativa anche in Consiglio. Per queste ragioni diversi leader dei Popolari sia in Consiglio sia in Parlamento ritengono che lasciare la carica di presidente della Commissione ai Socialisti sia una concessione troppo grande.

Il nome di Timmermans era stato fatto da Angela Merkel durante la riunione del G20 tenuta nei giorni scorsi a Osaka, in Giappone. La cancelliera tedesca aveva accennato alla possibilità di non sostenere più il candidato dei Popolari Manfred Weber – che è tedesco e fa parte del suo stesso partito, ma non piace a nessuno né in Parlamento né in Consiglio – e spiegato che Timmermans rimaneva «in corsa». Non è ancora chiaro perché Merkel avesse deciso di mollare Weber, ma va tenuto a mente che da settimane sta spingendo per nominare il capo della Banca Centrale tedesca alla Banca Centrale Europea (fra la generale ostilità degli altri paesi europei).

Al momento la candidatura di Timmermans è osteggiata sia dai paesi dell’Est, sia da alcuni guidati dai Popolari (sicuramente l’Irlanda, forse la Bulgaria), sia l’Italia, che nella notte era sembrata vicina a un compromesso ma alla fine sembra sia tornata sulla sua posizione di partenza. Due giorni fa il ministro dell’Interno Matteo Salvini si era opposto alla nomina di Timmermans spiegando che non poteva sostenere «un uomo di sinistra».

I sostenitori del compromesso trovato a Osaka hanno provato a “risarcire” i Popolari proponendo loro varie soluzioni. L’ultima, riportata da vari corrispondenti da Bruxelles, prevedeva che ai Popolari fosse assegnata sia la presidenza del Parlamento Europeo (a Weber, come ulteriore risarcimento) sia quella del Consiglio, alla ex vicepresidente della Commissione Kristalina Georgieva. Sembra però che diversi paesi guidati dai Popolari non abbiano accettato il compromesso. Se la situazione rimarrà questa, Timmermans non avrà i numeri per essere eletto.

Quella di domani sarà l’ultima data utile per rinnovare le cariche prima che il Parlamento Europeo tenga l’elezione del proprio presidente, prevista per mercoledì 3 luglio. Da giorni i leader stanno provando ad accordarsi prima dell’elezione del presidente del Parlamento perché ritengono che i parlamentari europei siano difficilmente controllabili e che senza una chiara indicazione di voto potrebbero stravolgere il delicato gioco di incastro per le nomine.