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  • Mercoledì 19 giugno 2019

Come sono messe le foreste delle Dolomiti

La tempesta di ottobre ha abbattuto 8 milioni di metri cubi di legname, che dev'essere recuperato prima che arrivino i parassiti: a che punto siamo, e cosa si farà dopo

I danni causati dal vento nella zona di Carezza, in val d'Ega (Alto Adige)
(ANSA/ VIGILI DEL FUOCO)
I danni causati dal vento nella zona di Carezza, in val d'Ega (Alto Adige) (ANSA/ VIGILI DEL FUOCO)

Tra il 26 e il 30 ottobre del 2018 alcuni giorni consecutivi di temporali e venti molto forti, chiamati dai meteorologi “tempesta Vaia”, hanno provocato ingenti danni su tutto il Triveneto, colpendo in particolare le foreste alpine delle Dolomiti. Si stima che in quei giorni le forti piogge e soprattutto i venti di scirocco molto intensi, che hanno raggiunto velocità superiori ai 200 km orari, abbiano abbattuto 8,5 milioni di metri cubi di legname, un dato mai registrato in Italia, su una superficie di 41mila ettari di terreno. Federforeste e Coldiretti hanno ipotizzato che il numero totale degli alberi abbattuti sia 14 milioni.

La regione più colpita è stata il Veneto, il cui presidente, Luca Zaia, aveva stimato danni per 1,7 miliardi di euro. Il Trentino-Alto Adige ha stimato invece danni per 400 milioni di euro, mentre in Friuli Venezia Giulia si è parlato di 615 milioni di euro. In maniera meno grave è stata coinvolta anche la Lombardia, i cui danni sono stati quantificati in 40 milioni di euro. Tutti questi milioni di alberi oggi sono legname a terra: vanno tagliati e trasportati altrove, innanzitutto, ma non è una cosa semplice.

Il problema iniziale è stato capire cosa fare degli alberi abbattuti. Se lasciarli dove sono a decomporre comporta la possibilità che diventino pericolosi nel caso di frane e valanghe, rimuoverli permetterà di rimettere in sicurezza i luoghi dove sono caduti e anche di non sprecare il legno, trattandolo e vendendolo prima che i parassiti lo infestino e lo rendano inutilizzabile. Inoltre la rimozione degli alberi permetterà di liberare lo spazio necessario per poter piantarne di nuovi o permettere all’ecosistema di fare il suo corso e rigenerarsi senza l’intervento dell’uomo.

Cosa si sta facendo
Antonio Brunori – segretario generale di PEFC Italia, associazione senza fini di lucro che costituisce l’organo di governo nazionale del sistema di certificazione PEFC, il Programma internazionale di Valutazione degli schemi di certificazione forestale – ha detto che al momento si stima siano stati tagliati in tutto 3,5 milioni di metri cubi di legname (alcuni solo allestiti a bordo strada, in attesa di essere venduti). Alcune aree, come l’Alto Adige, sono più avanti di altre, sia grazie a un settore privato molto efficiente e con una produttività molto elevata, sia grazie ai contributi che sono stati forniti dalla regione ai proprietari dei terreni per i metri cubi esboscati (dai 9 ai 12 euro al metro cubo), in modo da prevenire gli attacchi dei parassiti sul legname a terra.

Per aiutare le regioni coinvolte a recuperare il legno abbattuto dalla “tempesta Vaia”, nell’ultima legge di bilancio il governo ha inserito un contributo sotto forma di “voucher” per soggetti pubblici e privati interessati dagli eventi di ottobre, pari al 50 per cento dei costi sostenuti e documentati per la rimozione e il recupero di alberi o di tronchi, con un limite di spesa massimo di 3 milioni di euro per il 2019.

Per quanto riguarda i tempi della raccolta del legname ancora a terra, Brunori ha spiegato che i primi tronchi a essere raccolti sono stati quelli più vicini alle strade, sia perché più facilmente accessibili sia per la messa in sicurezza dei centri abitati, mentre per la rimozione del legname nelle aree interne i tempi potrebbero allungarsi. Brunori ha anche spiegato che non tutto il legno che è stato schiantato dal vento di ottobre verrà esboscato.

Gli esperti stimano che ci potrebbero volere tre anni per togliere dai boschi tutto il legname abbattuto, dopodiché il materiale sarà talmente deteriorato da non essere più utilizzabile. Questo lavoro però va fatto in fretta, a causa del rischio che nei tronchi abbattuti proliferino parassiti – come il bostrico, un insetto che infesta soprattutto gli abeti rossi – che distruggano il legname. In alcuni casi, infatti, i boschi si trovano in zone interne e difficili da raggiungere per le imprese di esbosco: in altri casi invece i tronchi non sono in buone condizioni e non vale la pena raccoglierli.

Secondo Alessandro Wolynski – direttore dell’Ufficio pianificazione, selvicoltura, economia forestale della Provincia di Trento – nel solo Trentino sono stati abbattuti almeno tre milioni di metri cubi di alberi, contro i 500mila metri cubi che si prelevano ogni anno di norma. Il problema è trovare imprese di esbosco e segherie che lavorino tali quantità, e in mancanza bisognerà rivolgersi all’estero.

Il mercato del legno
Francesco Dellagiacoma, vicepresidente di PEFC Italia, ha spiegato che la conseguenza principale sull’economia dei territori colpiti è la difficoltà nella gestione del legname buttato giù dalla “tempesta Vaia”. In Trentino, ha detto Dellagiacoma, «né le ditte locali di boscaioli né le segherie da sole sono in grado di assorbire una tale quantità di legname», e per questo in alcuni casi sono intervenuti boscaioli stranieri per cercare di sostenere quelli italiani.

Un altro problema è che con quantità così grandi di legno da mettere sul mercato, i prezzi sono crollati. Dellagiacoma ha spiegato che esistono due tipi di vendita del legname: “in piedi” o “a strada”. Nel primo caso il proprietario del lotto di bosco (spesso un ente pubblico) si affida per l’esbosco alla ditta interessata all’acquisto di legname, mentre nel secondo è lo stesso proprietario a occuparsi con mezzi propri delle operazioni, vendendo poi il legname in piazzali di accatastamento o a bordo strada.

In Trentino, per esempio, prima della “tempesta Vaia” nelle vendite in piedi gli alberi avevano in media un prezzo di 60 euro al metro cubo, mentre dopo Vaia il prezzo è sceso a circa 25 euro al metro cubo. Come sottolinea Dellagiacoma, però, si parla di due materiali diversi: nel primo caso erano alberi selezionati, e tendenzialmente molto grossi, mentre nel secondo si tratta di piante non selezionate, e in molti casi più piccole, in condizioni peggiori e più pericolose da raccogliere perché ammucchiate. Per quanto riguarda la vendita a strada, sempre in Trentino, si è passati da circa i 90-95 euro al metro cubo ai 65 euro attuali.

Nonostante le foreste del nostro paese siano significativamente aumentate negli ultimi cinquant’anni (abbiamo una percentuale del territorio coperto da foreste superiore a quello di Francia e Germania), l’Italia continua a importare gran parte del legname da lavorare. Per questo motivo PEFC Italia ha deciso di sfruttare la “tempesta Vaia” per rivitalizzare l’industria: ha lanciato l’iniziativa “Filiera Solidale”, invitando le imprese del settore e i consumatori ad acquistare il legno proveniente dai danni causati dalla “tempesta Vaia” a prezzi equi. Finora hanno aderito all’iniziativa una cinquantina di aziende, e alcuni dei prodotti realizzati con quel legno si possono acquistare sul sito buynet.it dove sono segnalati con la dicitura “Vaia”.

Cosa ha causato la “tempesta Vaia”
In un articolo pubblicato su Forest@ – rivista della Società italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale (SISEF) – Renzo Motta, professore presso il dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, ha spiegato che le cause dell’abbattimento di un così gran numero di alberi sono da attribuire principalmente all’intensità del vento. È un fenomeno raro ma non mai visto: negli ultimi 30 anni in Europa ci sono stati almeno quattro casi più gravi: nel 1990 la tempesta “Viviane” abbatté in Europa circa 70 milioni di metri cubi di legno.

Motta spiega che l’intensità e la velocità del vento potrebbero essere dovute ai cambiamenti climatici degli ultimi anni. In particolare l’estate del 2018, molto più calda della media, avrebbe portato a un riscaldamento prolungato delle acque del Mediterraneo e potrebbe spiegare «la particolare intensità del dislivello barometrico osservato». C’è poi un altro aspetto che avrebbe contribuito all’abbattimento degli alberi, e cioè la popolazione forestale composta da un solo tipo di albero (come in Val di Fiemme, dove le foreste sono abitate soprattutto da abeti rossi). «Popolamenti puri, monostratificati e densi», spiega Motta, «sono più facilmente schiantati rispetto a popolamenti misti e pluristratificati».

È della stessa opinione anche Gherardo Chirici, professore di Inventari Forestali e Telerilevamento all’Università di Firenze, che aveva coordinato il gruppo di lavoro di 47 esperti incaricato di stimare i danni a partire dalle immagini satellitari, e che lo scorso marzo a Linkiesta aveva spiegato che «la monocoltura crea problemi, mentre i boschi misti, non solo per composizione delle specie ma anche per struttura ed età come sono quelli che crescono naturalmente, di fronte alle raffiche di vento interrompono l’effetto domino delle piante che cadono l’una sull’altra».

Marco Borghetti, professore di Ecologia forestale e silvicoltura all’Università della Basilicata, ha spiegato che quando la velocità del vento supera certe soglie, nessun albero sta in piedi, aggiungendo che però certe zone coltivate artificialmente con un solo tipo di albero sono più esposte a subire danni. «Gran parte degli alberi caduti a ottobre si trovavano infatti in boschi artificiali di abete rosso, che risultano particolarmente vulnerabili, e che sono venuti giù come in un effetto domino», ha detto Borghetti. «Al contrario, sono caduti pochissimi larici, che hanno un apparato radicale profondo con un ancoraggio molto tenace, mente l’abete rosso ha un apparato radicale superficiale».

Questo sarà un aspetto da tenere in considerazione per il ripopolamento dei boschi distrutti dalla tempesta. Bisognerà soprattutto valutare quanto sia utile piantare nuovi alberi nelle zone colpite dal maltempo. A questo proposito gli esperti del settore sono prevalentemente d’accordo sul fatto che il ripopolamento della vegetazione delle zone colpite dalla “tempesta Vaia” dovrà avvenire solo in parte artificialmente, laddove c’è l’urgenza della presenza di alberi per problemi di protezione idrogeologica (per esempio per proteggere da valanghe e caduta di massi).

Nella maggior parte dei casi invece si dovrà fare affidamento sulla capacità della foresta di ricostituirsi naturalmente. «Questo processo garantirà nel lungo periodo delle foreste più resilienti (non resistenti, perché poi gli alberi vengono giù lo stesso con il vento), ma essendoci alberi di tipo diverso, riusciranno a reagire più efficacemente al vento intenso», ha spiegato al Post Borghetti.