Gli spoiler prima di internet

C'era chi se ne preoccupava già nell'era vittoriana, prima della tv e del cinema: ma non così tanto come ora

Nell’ultimo mese è finita Game of Thrones, una delle serie tv più seguite di sempre, ed è uscito Avengers: Endgame, il più atteso e conclusivo film dell’Universo cinematografico Marvel. Per i fan sono stati giorni di grande attesa – in particolare a fine aprile, quando Endgame era appena uscito e in Game of Thrones c’era l’episodio con una drammatica battaglia preannunciata da anni – e, allo stesso tempo, grande paura per possibili spoiler. È stato uno di quei momenti in cui si torna a parlare di spoiler, cioè l’anticipazione di un dettaglio – non necessariamente fondamentale – sulla trama di un film, un libro o una serie tv. Proprio a fine aprile James Green, ricercatore di letteratura inglese presso l’università di Exeter, ha raccontato su The Conversation come gli spoiler facessero arrabbiare le persone già nell’età vittoriana: quindi nell’Ottocento, molto prima di internet e dello streaming.

La parola spoiler deriva dal verbo to spoil (“rovinare”, “guastare”), perché lo spoiler è qualcosa che “rovina”. Ci sono tanti articoli e alcune versioni diverse su quando iniziò a essere usata, ma in genere si concorda sul fatto che il primo uso certificato del termine “spoiler” con l’attuale significato fu nel 1971, in un articolo della rivista umoristica National Lampoon. Diverse analisi mostrano però che il concetto di spoiler e l’uso della parola o degli “spoiler alert” aumentò notevolmente dagli anni Novanta in poi: quando arrivarono internet e la possibilità di registrare qualcosa per guardarselo più avanti.

Come ha spiegato Green, però, anche se magari si usavano altre parole, già molto prima dei videoregistratori e di internet c’era chi aveva paura che certe trame venissero anticipate e certe storie rovinate. Green cita il caso di La donna in bianco, un romanzo britannico a puntate scritto tra il 1859 e il 1860 da Wilkie Collins. Le puntate uscirono una alla settimana, per dieci mesi, sul settimanale All the Year Round, fondato da Charles Dickens, e furono un successo: il romanzo fu uno dei primi esempi di sensational novel, perché pieno di colpi di scena, crimini, intrighi, complotti e scambi di persona. Green ha scritto che «le persone facevano la fila fuori dagli uffici dell’editore e facevano scommesse sulle sorti dei personaggi». Una volta finite le puntate fu pubblicato il libro intero, in tre volumi. Collins chiese, rivolgendosi ai critici che si apprestavano a recensirlo:

Se si rivela il contenuto, in qualsiasi modo, si fa un favore al lettore, distruggendo in anticipo i due elementi fondamentali della storia, la curiosità e l’eccitazione della sorpresa?

Non è molto diverso da quanto nelle ultime settimane hanno fatto Quentin Tarantino o i fratelli Russo, chiedendo agli spettatori e ai critici di non parlare nel dettaglio dei loro film – C’era una volta a… Hollywood e Avengers: Endgame – e di come finiscono.

La cosa interessante, scrive Green, è che la maggior parte dei critici accettò la richiesta di Collins. Il critico della rivista The Examiner scrisse: «Rivelare dettagli della storia danneggerebbe l’interesse dei lettori, anche solo quello necessario per avvicinarsi al libro». Green cita poi un altro libro: Il segreto di Lady Audley, scritto da Mary Elizabeth Braddon e pubblicato nel 1962. Visto che Braddon aveva in programma di scrivere dei sequel del romanzo, chiese di «non descriverne la trama». Questa volta, forse perché si accorsero che stava diventando un’abitudine, i critici reagirono meno bene. Sempre The Examiner scrisse: «Come può un romanzo essere allo stesso tempo criticato e celato?». Si formarono quindi diverse opinioni, non molto diverse da quelle del 2019, su quanto la trama fosse la parte determinante di una storia e su quanta parte della trama fosse consentito rivelare per esprimere un’opinione sull’opera.

Green cita infine una recensione del 1887 del romanzo Double Cunning, di G. Manville Fenn.

We shall avoid spoiling the effect by giving the least hint of its plot, the interest of which depends altogether upon the reader’s coming to it with complete freshness and openness of mind.

Dovremmo evitare di rovinare l’effetto rivelando anche piccoli dettagli della trama, verso cui l’interesse dipende completamente dal fatto che il lettore ci si avvicini con la mente aperta e libera.

Negli oltre cento anni passati da quella recensione sono cambiate molte cose, anche perché ora la discussione principale riguarda il fatto che a spoilerare certe cose siano spettatori e lettori, non critici cinematografici. In più, in molti casi viene considerato spoiler anche lo svelamento di un piccolo dettaglio, una frase, un’immagine, non necessariamente la più grande svolta di trama di una serie. È vero che l’avversione agli spoiler esiste da prima di internet e addirittura da prima della tv e del cinema, ma va anche detto che, molto meno di un secolo fa, c’era comunque un approccio molto più rilassato agli spoiler.

Il 12 settembre 1976 George Lucas, quasi un anno prima della prima mondiale del primo Star Wars, raccontò nel dettaglio la trama del film: disse che “Kenobi” era un «benevolo incrocio tra mago Merlino e un Samurai», aggiunse che la principessa Leia, leader della Resistenza, era stata catturata (e spiegò da chi), e disse anche che Kenobi e Luke, insieme ad Han Solo, avrebbero cercato di liberarla. Poi Lucas parlò della Morte Nera su cui la principessa era imprigionata e «dell’inevitabile scontro finale» in cui «l’arma segreta viene distrutta, la principessa salvata e le forze del male sconfitte», nonostante il più cattivo dei cattivi – Lucas parlò di “Black Knight”, “cavaliere nero” – riesce comunque a scappare, «per tenere le porte aperte per il possibile sequel». Insomma, raccontò l’intero film.

In questo video si vede invece Martin Scorsese raccontare, con un grande livello di dettaglio, il suo film Taxi Driver, prima ancora di aver iniziato a girarlo.

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