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  • Domenica 9 giugno 2019

Le grandi proteste contro una legge sull’estradizione a Hong Kong

Centinaia di migliaia di persone hanno marciato contro un emendamento che temono possa rafforzare il controllo cinese sul dissenso politico locale

La manifestazione di protesta contro l'emendamento alla legge sull'estradizione a Hong Kong, il 9 giugno 2019 (AP Photo/Vincent Yu)
La manifestazione di protesta contro l'emendamento alla legge sull'estradizione a Hong Kong, il 9 giugno 2019 (AP Photo/Vincent Yu)

A Hong Kong centinaia di migliaia di persone hanno protestato contro un emendamento a una legge sull’estradizione che, se approvato dal Parlamento locale, consentirebbe di processare nella Cina continentale le persone accusate di aver commesso alcuni crimini. Gli oppositori temono che la legge possa aprire la strada a un maggiore controllo della Cina sul sistema giudiziario di Hong Kong, e che in futuro possa facilitare la repressione del dissenso politico. Altre proteste contro la stessa legge erano state organizzate già ad aprile, ma quelle di oggi hanno dimensioni molto maggiori: ci si aspetta che saranno le più partecipate da quelle del cosiddetto “movimento degli ombrelli” nel 2014.

L’emendamento, che permette l’estradizione anche verso Macao e Taiwan, finora non prevista, è stato proposto dal governo di Hong Kong dopo che nel febbraio 2018 un 19enne locale era stato accusato di aver ucciso la propria fidanzata di 20 anni durante una vacanza a Taiwan. Taiwan aveva cercato di ottenere l’estradizione del giovane, ma le leggi di Hong Kong non lo avevano permesso. Col nuovo emendamento l’estradizione sarà possibile per alcuni reati gravi, come omicidio e stupro – anche se dovrà comunque essere decisa caso per caso.

Gli oppositori della legge, tra cui molte organizzazioni per la difesa dei diritti umani, pensano però che le nuove regole sull’estradizione renderanno Hong Kong più esposta al problematico sistema giudiziario cinese, e ridurranno la sua indipendenza. In particolare temono che la legge potrebbe finire per legittimare i rapimenti in città da parte delle autorità cinesi (ci sono stati vari casi negli anni) oppure rendere il governo di Hong Kong più vulnerabile alle richieste di quello di Pechino, anche se dovute a motivi politici. Inoltre un maggior potere della Cina sul sistema giudiziario di Hong Kong potrebbe spingere molte persone a non manifestare le proprie critiche al governo. Anche il segretario di stato americano Mike Pompeo ha criticato l’emendamento, sostenendo che potrebbe danneggiare lo stato di diritto a Hong Kong.

Carrie Lam, il capo esecutivo di Hong Kong (una sorta di governatrice), ritiene che l’emendamento sia necessario per risolvere diverse contraddizioni nell’attuale sistema giuridico, e sta spingendo perché sia approvato prima dell’inizio di luglio. Il suo governo ha detto che l’emendamento serve per combattere più efficacemente il crimine e che comunque contiene dei termini per evitare che sia usato in modo scorretto contro i dissidenti politici o per motivi legati alla religione.

Per convincere gli oppositori, il governo ha detto che saranno estradate solo le persone accusate di reati per cui la pena massima prevista è di almeno sette anni. Tuttavia i critici dell’emendamento si sono insospettiti quando il mese scorso Han Zheng, membro dell’Ufficio politico del Partito Comunista Cinese, ha parlato del suo sostegno alla nuova legge sull’estradizione e ha detto che tra i suoi obiettivi ci saranno gli stranieri che hanno commesso crimini contro la sicurezza nazionale cinese al di fuori della Cina. Un obiettivo del governo cinese, secondo qualcuno, sarebbero anche i funzionari e i miliardari cinesi fuggiti a Hong Kong per evitare un arresto in patria: finora Hong Kong non ha mai accettato una richiesta di trasferimento di un fuggitivo nella Cina continentale.

Durante la grande manifestazione di oggi la polizia ha chiuso le stazioni della metropolitana e creato un percorso molto stretto per i manifestanti, e per questo è stata accusata di aver cercato di ridurre il numero di partecipanti. Giovedì c’era stata un’altra manifestazione, molto più piccola, organizzata dagli avvocati e dai giudici della città: in centinaia hanno partecipato a un corteo silenzioso. La manifestazione era stata guidata da Martin Lee, ex parlamentare e attivista 80enne noto in tutto il mondo, che ha detto che l’opposizione a questo emendamento è «l’ultima lotta per Hong Kong». «Se perdiamo questa battaglia Hong Kong non sarà più Hong Kong, ma solo un’altra città cinese».

La protesta degli avvocati e dei giudici di Hong Kong, il 6 giugno 2019 (AP Photo/Kin Cheung)

Pur essendo territorio della Cina, la città-isola di Hong Kong mantiene una propria autonomia dal 1997, quando finì il controllo britannico iniziato 156 anni prima. Quando la sovranità di Hong Kong passò ai cinesi, il governo di Pechino adottò lo slogan “Un paese, due sistemi”, riconoscendo che Hong Kong sarebbe diventata a tutti gli effetti parte della Cina comunista, ma che avrebbe potuto comunque mantenere il suo sistema capitalistico e le sue caratteristiche democratiche. Negli ultimi anni le tensioni politiche tra i sostenitori della Cina comunista e quelli favorevoli a più autonomia e democrazia sono diventate sempre più insostenibili. Tra le differenze tra Hong Kong e la Cina continentale c’è quella che riguarda la pena di morte: a Hong Kong è stata abolita nel 1993, nella Cina continentale è ancora praticata.