Il M5S ha un grosso problema al Parlamento Europeo

Sta avendo difficoltà a formare un gruppo politico: se non ci riuscirà sarà praticamente condannato all'irrilevanza

Da sinistra a destra: Fabio Massimo Castaldo, europarlamentare del M5S e vicepresidente del Parlamento Europeo, Vito Crimi e Luigi Di Maio (Roberto Monaldo / LaPresse)
Da sinistra a destra: Fabio Massimo Castaldo, europarlamentare del M5S e vicepresidente del Parlamento Europeo, Vito Crimi e Luigi Di Maio (Roberto Monaldo / LaPresse)

In questi giorni si stanno intensificando le trattative per formare i gruppi politici della nuova legislatura del Parlamento Europeo, eletta con le elezioni di fine maggio. Tutti i partiti italiani che hanno ottenuto almeno un seggio hanno trovato la propria collocazione, con una eccezione notevole: il Movimento 5 Stelle, che non ha ancora ufficializzato alcuna alleanza. Il rischio concreto, di cui parlano apertamente diversi giornali, è che finiscano nel gruppo dei “non iscritti”, condannandosi sostanzialmente all’irrilevanza per i prossimi cinque anni di legislatura.

L’iscrizione a un gruppo parlamentare è l’unico modo con cui un partito politico europeo può contare qualcosa, anche se si trova all’opposizione (come appunto il M5S). Permette infatti di accedere ai fondi per garantirsi un ufficio e pagare i tecnici che collaborino alla stesura delle leggi – parliamo di diversi milioni di euro ogni anno – e di essere coinvolti nella spartizione degli incarichi istituzionali e politici, come ad esempio la vicepresidenza dell’aula o la qualifica di relatore-ombra per le proposte della maggioranza. Per iscriversi ad un gruppo parlamentare c’è tempo fino all’1 luglio, cioè il giorno precedente all’inizio della prima assemblea plenaria della nuova legislatura.

Per semplificare i lavori parlamentari, esistono dei parametri minimi per formare un gruppo politico: ciascuno dev’essere formato da almeno 25 parlamentari eletti in almeno sette stati. Nella scorsa legislatura il Movimento 5 Stelle era riuscito a formare un gruppo chiamato “Europa delle Libertà e della Democrazia Diretta” (EFDD) alleandosi soprattutto con lo UKIP, il partito indipendentista britannico allora guidato da Nigel Farage, e attraendo diversi piccoli partiti di destra provenienti soprattutto dall’Europa orientale. L’alleanza era considerata piuttosto strumentale: M5S e UKIP votavano spesso per conto loro e a parte un generico approccio anti-establishment non avevano molti punti di contatto.

Da tempo il Movimento 5 Stelle stava provando a trovare nuovi alleati in giro per l’Europa. All’inizio dell’anno il capo politico Luigi Di Maio aveva annunciato un’alleanza con alcuni piccoli partiti di ispirazione populista di vari paesi europei, annunciando di voler creare un nuovo gruppo parlamentare che potesse agire da «ago della bilancia» nella nuova legislatura. La quasi totalità dei partiti alleati del M5S, però, non è nemmeno riuscita a entrare in Parlamento.

Le due liste dei gilet gialli – Alliance jaune ed Evolution citoyenne – hanno ottenuto insieme poco più dello 0,5 per cento dei voti, molto meno della soglia di sbarramento del 5 per cento. I nazionalisti polacchi di Kukiz hanno preso il 3,69 per cento dei voti e sono rimasti fuori dal Parlamento Europeo. Anche gli alleati finlandesi di Liike Nyt non sono stati eletti. Il misterioso partito “agricolo” greco non è nemmeno stato registrato dai risultati ufficiali. Gli unici che hanno ottenuto un seggio sono stati i croati anti-establishment di ŽIVI ZID (Scudo Umano), arrivati al 5,66 per cento nonostante per lungo tempo fossero stati al 15.

Parlando con Politico, Farage si è detto disponibile a riformare l’EFDD sostituendo lo UKIP con il suo nuovo partito, il Brexit Party, ma rimane il problema di trovare altri cinque partiti. Fra i partiti che facevano parte dell’EFDD, il partito tedesco di destra radicale AfD ha già avviato una collaborazione con il nuovo gruppo di Matteo Salvini e Marine Le Pen, gli Svedesi Democratici si uniranno agli euroscettici di ECR, mentre i lituani di Ordine e Giustizia, il polacchi di Korwin e i cechi del Partito dei Liberi Cittadini sono rimasti fuori dal Parlamento. Se anche riuscisse a raccattare altri piccoli partiti fra quelli non iscritti e gli indipendenti – difficile, visto che sono una dozzina – va tenuto conto che il Brexit Party potrebbe lasciare il Parlamento dopo Brexit, cioè forse già dal 31 ottobre.

Sembra che nelle ultime settimane il Movimento 5 Stelle abbia anche valutato di allearsi a gruppi parlamentari già esistenti, ma al momento non ci sono opzioni disponibili. Fabio Massimo Castaldo, europarlamentare del M5S appena rieletto e vicepresidente uscente del Parlamento Europeo, ha fatto sapere che l’adesione al gruppo parlamentare degli alleati di governo della Lega «non è un’opzione» perché «la nostra visione dell’Europa è totalmente diversa da quella della Lega».

Non rimangono molte altre soluzioni. I Verdi, con cui gli europarlamentari del M5S condividono una certa sensibilità ambientalista, hanno respinto più volte le richieste di adesione al loro gruppo: di recente il loro capogruppo Philippe Lamberts ha definito il Movimento «una autocrazia» gestita dalla società di consulenza di Davide Casaleggio, con cui il partito ha legami molto forti, e commentato: «Devo prendermi a bordo 14 europarlamentari la cui posizione è decisa da qualcuno a Milano? No grazie».

Con l’ALDE il M5S aveva già provato ad allearsi un paio d’anni fa, senza successo: e sarà difficile riprovarci oggi che il gruppo è controllato dai parlamentari di En Marche, il partito del presidente francese Emmanuel Macron. I contatti con ECR di cui si è parlato negli ultimi giorni sono stati smentiti al Foglio proprio dal Movimento 5 Stelle. I Popolari e i Socialisti hanno già fatto sapere che si sentono troppo lontani dal M5S per trattare un’alleanza.