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  • Giovedì 30 maggio 2019

I Mondiali femminili senza la calciatrice più forte

Perché la norvegese Ada Hegerberg, ultimo Pallone d'oro femminile, ha lasciato la sua nazionale nel 2017 e non giocherà tra poche settimane in Francia

Ada Hegerberg parla alla stampa prima della finale di UEFA Champions League (Catherine Ivill/Getty Images)
Ada Hegerberg parla alla stampa prima della finale di UEFA Champions League (Catherine Ivill/Getty Images)

Lo scorso dicembre la rivista francese France Football ha assegnato il primo Pallone d’Oro femminile – il più importante premio individuale del calcio – all’attaccante norvegese Ada Hegerberg. Sei mesi dopo la premiazione di Parigi, Hegerberg ha vinto il suo quinto campionato francese consecutivo con l’Olympique Lione, probabilmente la squadra femminile più forte mai vista in Europa. Pochi giorni dopo aver vinto il titolo nazionale, Hegerberg ha segnato tre gol in un quarto d’ora nel primo tempo della finale di Champions League vinta 4-1 contro il Barcellona. Per lei e per il Lione è stato il quarto successo consecutivo in Champions League: un altro record.

Insomma, Ada Hegerberg è una calciatrice veramente forte, oggi sicuramente la più forte al mondo: a soli 23 anni ha già vinto quasi tutti i trofei più importanti, e ovviamente non sembra avere intenzione di smettere. Sostiene di avere ancora forti motivazioni per continuare a vincere, come evidenziato dai suoi numeri: con la tripletta al Barcellona è arrivata a segnare 255 gol in 254 partite giocate. Eppure ai Mondiali femminili, che si giocheranno in Francia dal 7 giugno, Hegerberg non ci sarà: e non perché la sua nazionale non si è qualificata, anzi. Ha lasciato la squadra nel 2017 senza spiegare in modo esaustivo le sue ragioni: un po’ come se Messi o Cristiano Ronaldo decidessero di lasciare le Argentina e Portogallo senza dare spiegazioni.

Negli ultimi mesi, tuttavia, Hegerberg ha fatto intendere più chiaramente che la sua assenza fra i convocati della Norvegia per i Mondiali in Francia sia una forma di protesta verso le difficoltà che le calciatrici ancora incontrano nei loro percorsi, dove la differenza non la fanno i soldi ma semplicemente le opportunità, che dovrebbero essere le stesse concesse ai ragazzi. Hegerberg ha parlato anche delle condizioni precarie che uniscono le calciatrici, dalla Norvegia al resto d’Europa, nel corso di un incontro tenuto all’Università di Oxford e più di recente anche alla CNN.


La sua speranza è che le domande che il pubblico si porrà non vedendo in campo il Pallone d’Oro in un evento così importante possano favorire le discussioni sulla disuguaglianza di genere.

Come ha spiegato di recente Roberta Decarli sull’Ultimo Uomo, nella maggior parte dei paesi europei con un campionato organizzato dalla federazione calcistica locale – Italia compresa – le calciatrici non hanno dei veri e propri contratti e non possono averli, perché sono dilettanti e non professioniste come gli uomini. Per le “non professioniste” è esclusa “ogni forma di lavoro autonomo e subordinato” e i rapporti con le società sono definiti da vincoli e accordi economici che raramente superano la durata annuale. Rispetto a qualche anno fa, l’ingresso dei club professionistici e delle federazioni nazionali nei campionati femminili ha migliorato i compensi delle calciatrici, che però continuano a svolgere un lavoro a tempo pieno senza avere diritto ai contributi previdenziali, per esempio.

Hegerberg gioca in Francia, nel campionato più ricco e competitivo d’Europa. Tre fra le calciatrici più pagate al mondo giocano nel Lione: Hegerberg percepisce circa 400.000 euro annuali mentre le francesi Amandine Henry e Wendie Renard rispettivamente 360.000 e 350.000 euro a stagione. Secondo uno studio del 2017 la media della paghe nel campionato francese era di 42.000 euro, nonostante la presenza di calciatrici famose come Hegerberg, Henry e Renard. La media dimostra come anche in un campionato avanzato come quello francese i compensi siano ancora molto bassi quando non si tratta di squadre ricche come Lione o Paris Saint-Germain.

Lo status “non professionistico” si riflette su tutto il movimento che sta dietro ai campionati più in vista, come le giovanili e i club più piccoli, dove spesso le calciatrici si autofinanziano per giocare. Le richieste di pari opportunità provengono soprattutto dai paesi dove il calcio femminile è più sviluppato e dove quindi le calciatrici hanno già conquistato maggiori garanzie. Negli altri campionati, come quello italiano, si è ancora in una fase di sviluppo: le calciatrici stanno ottenendo soltanto ora le prime vere garanzie, dopo essere uscite a fatica da una dimensione dilettantistica e locale.

A marzo, a soli tre mesi dall’inizio dei Mondiali in Francia, le calciatrici della nazionale statunitense campione in carica hanno presentato una causa per discriminazione di genere nei confronti della loro federazione. Hanno accusato i dirigenti federali di “discriminazione di genere istituzionalizzata” per il diverso trattamento ricevuto nel corso degli anni rispetto ai giocatori della nazionale maschile, che peraltro è in profonda crisi dopo la mancata qualificazione agli ultimi Mondiali. Nello specifico hanno denunciato paghe nettamente inferiori, scarsità di strutture e risorse per allenamenti e cure mediche. Hanno poi invitato le ex calciatrici della nazionale a chiedere dei rimborsi alla federazione per i loro compensi mancati.

Anche la stessa Norvegia è fra i paesi che sta guidando la ricerca del riconoscimento di diritti e opportunità per il calcio femminile. Nello stesso anno in cui Hegerberg decise di lasciare la nazionale, la federazione scandinava introdusse il livellamento dei compensi tra la nazionale maschile e quella femminile, diventando la prima federazione mondiale a raggiungere un accordo di questo tipo. Ma per Hegerberg, come detto, non è una questione di soldi. Parlando alla CNN della sua assenza ai Mondiali, ha detto: «Sono stata davvero onesta con i dirigenti della nazionale, quello che sentivo non era abbastanza. Dobbiamo assicurarci che le ragazze che seguono il loro percorso nel calcio abbiano almeno le stesse opportunità dei ragazzi».