Sindacati e militari possono andare insieme?

A lungo la legge lo ha proibito, ora il Movimento 5 Stelle vorrebbe cambiare: ma deve vincere l'opposizione dei tradizionalisti e di tutti gli altri partiti, dal PD alla Lega

ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Questa settimana la commissione Difesa ha terminato l’esame della proposta di legge per regolare l’iscrizione dei militari ai sindacati, una possibilità proibita dalla legge fino all’aprile 2018, quando la Corte Costituzionale dichiarò il divieto illegittimo. Il principale sostenitore della legge è il Movimento 5 Stelle. Insieme al ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, il Movimento vorrebbe rendere la situazione dei militari il più possibile simile a quella degli altri lavoratori, ma in questo percorso si è trovato contro quasi tutti gli altri partiti che, in commissione, hanno spesso votato insieme per modificare la legge in senso più restrittivo.

Il divieto di iscrizione dei militari ai sindacati ha una lunga storia. Tra il Diciannovesimo e il Ventesimo secolo, infatti, i sindacati erano illegali in molti paesi; dove erano legali, venivano spesso considerati poco più che organizzazioni di estrema sinistra, violente e pericolose. Ai militari toccava spesso il compito di reprimere con la violenza le manifestazioni sindacali, e quindi sembrava del tutto privo di senso permettere loro di diventare compagni e alleati di coloro che, prima o poi, avrebbero dovuto affrontare con le armi.

Dopo la Seconda guerra mondiale i sindacati sono divenuti parte integrante della vita democratica dei paesi sviluppati, ma il divieto di partecipazione dei militari ai sindacati è rimasto. Non tanto perché ci si aspettano ancora interventi armati contro i sindacalisti (che comunque ci furono, anche in Italia, negli anni Quaranta) quanto per la tradizione gerarchica e autocratica dell’esercito, ritenuta in contrasto con la natura democratica del sindacalismo. L’equivalente dei sindacati militari che è esistito fino ad oggi (le cosiddette “rappresentanze militari” dei COCER, a livello nazionale, e delle altre rappresentanze a livello più basso) è gerarchico – comanda chi ha il grado più alto – e molto poco democratico (oltre che con pochi poteri contrattuali).

Le cose sono cambiate rapidamente dopo la pubblicazione della sentenza numero 120 del 2018, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la precedente legge che impediva ai militari di iscriversi ai sindacati (smentendo così anche una sua precedente sentenza del 1999). La ragione di questo cambio nella giurisprudenza è dovuta all’evoluzione del diritto europeo, che negli ultimi anni – pur mantenendo in principio l’idea che la partecipazione dei militari ai sindacati possa essere in qualche misura limitata – ha invece respinto la possibilità di proibire loro l’iscrizione in maniera completa.

Il punto è come permetterlo. Nei mesi in cui la commissione ha lavorato sul testo, il Movimento 5 Stelle ha adottato una posizione molto favorevole ai diritti sindacali dei militari (è addirittura dal 2014, prima della sentenza della Corte, che il Movimento 5 Stelle propone di permettere ai militari l’iscrizione ai sindacati). Secondo il Movimento c’è bisogno «di una norma che riconosca le medesime tutele dell’art. 28 della legge 300 del 1970, meglio conosciuta come “Statuto dei Lavoratori”», cioè: «Una misura che, così come succede per qualunque altro impiego soggetto alle tutele sindacali, andrebbe a reprimere la condotta antisindacale del datore di lavoro».

La proposta quindi prevede di consentire ai sindacati dei militari quasi tutti i poteri e le possibilità degli altri sindacati. La possibilità di autofinanziarsi (l’attuale rappresentanza invece riceve finanziamenti dal ministero della Difesa), quella di autogovernarsi (senza essere soggetti ai vincoli della gerarchia militare) e quella di poter trattare con i ministeri competenti su una serie di materie (dagli stipendi ai trattamenti lavorativi).

Il Movimento però è stato ostacolato da quasi tutte le altre forze politiche. PD, Lega e Forza Italia hanno tutti contribuito a presentare e votare emendamenti che hanno in varia misura limitato la possibilità dei militari di ricorrere alle tutele dei sindacati (l’agenzia Public Policy ha pubblicato una dettagliata analisi del percorso seguito dal disegno di legge e del ruolo avuto dai vari partiti).

L’episodio più controverso è stato l’approvazione di un emendamento della Lega (con voto contrario di M5S e favorevole di PD e Forza Italia) che, nelle controversie sull’applicazione del contratto nazionale dei militari, ha attribuito la competenza non al tribunale ordinario, come avviene per tutte le altre categorie dei lavoratori, ma a quello amministrativo, il quale segue un tipo di procedura molto meno conveniente per i lavoratori.

Negli ambienti militari esistono varie voci critiche nei confronti dell’introduzione del sindacato, soprattutto per una questione di tradizione (i sindacati sono in genere di sinistra, mentre i militari sono di solito di destra) e per via della modalità con cui si è arrivati a consentirli (non un processo di “maturazione interna” ma una decisione a livello europeo). Intervistato dal Foglio (che definisce “grottesca” la possibilità che i militari si iscrivano a un sindacato), l’ex capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Leonardo Tricarico ha commentato la proposta dicendo: «Ho i miei dubbi sul fatto che il diritto sindacale comunemente inteso sia davvero conciliabile con gli oneri e le prerogative in capo alle Forze armate».

Non sembrano però queste le ragioni principali che hanno spinto fin qui la Lega e gli altri partiti a ostacolare il progetto. Non è un segreto lo scontro in corso da mesi tra il segretario della Lega e ministro dell’Interno Matteo Salvini e la ministra della Difesa Elisabetta Trenta, una dei principali sostenitori della riforma. Il PD, invece, ha appoggiato gli emendamenti della Lega senza fare molto clamore, probabilmente con lo scopo di mettere in difficoltà il governo.