Il Parlamento Europeo ha approvato una legge per proteggere i rider

E tutti gli altri lavoratori della cosiddetta "gig economy": impone maggiore chiarezza sugli orari di lavoro e altre garanzie minime per i dipendenti

(Dan Kitwood/Getty Images)
(Dan Kitwood/Getty Images)

Il Parlamento Europeo ha approvato ieri nel corso della sua ultima seduta plenaria una direttiva che stabilisce una serie di diritti minimi per i lavoratori della cosiddetta “gig economy”, come i fattorini che si occupano di consegne a domicilio, i “rider”, ma anche i lavoratori che si occupano di pulizie domestiche e tutti coloro che lavorano a chiamata. La proposta ora passerà al Consiglio dell’Unione Europea, dove dovrà essere approvata dai ministri competenti degli stati membri che, a quel punto, avranno tre anni per implementarla nelle loro legislazioni.

Come ha ricordato Enrique Calvet Chambon, deputato spagnolo dell’ALDE che si è occupato della legge, è la prima volta in 20 anni che la legislazione europea si occupa di stabilire standard minimi per i lavoratori dell’Unione. «Tutti i lavoratori che fino ad ora si trovavano in un limbo si vedranno riconosciuti alcuni diritti minimi grazie a questa direttiva», ha detto Calvet Chambon: «Da ora in poi nessun datore di lavoro potrà abusare della flessibilità del mercato del lavoro».

Tra gli obblighi stabiliti dalla direttiva (che trovate qui riassunti in un’infografica) c’è quello per i datori di lavoro di informare i loro dipendenti su una serie di “aspetti essenziali” del loro impiego. Entro una settimana dall’assunzione (e non entro due mesi, com’era fino ad oggi) dovranno fornire una descrizione dell’impiego, dovranno comunicare il giorno di inizio e le informazioni sulla paga, dovranno fornire precise indicazioni sugli orari di lavoro o, nel caso di lavori con orari imprevedibili, dei termini orari di riferimento (cioè quando un lavoratore senza orari fisso può essere chiamato).

La direttiva impone anche di adottare una serie di pratiche per limitare potenziali abusi da parte dei datori di lavoro. Ad esempio, stabilisce che il periodo di prova a cui saranno sottoposti i lavoratori non potrà essere più lungo di sei mesi e sarà prorogabile solo in circostanze eccezionali. Dovranno essere proibite le clausole di esclusività che impediscono al dipendente di lavorare anche per altri datori di lavoro.

Dovrà essere stabilito il diritto per il dipendente a ricevere comunque un compenso anche nel caso in cui il datore di lavoro decida di cancellare all’ultimo momento il compito assegnato al lavoratore (un punto che si applica a coloro che lavorano con orari e in momenti flessibili); infine i lavoratori non potranno più essere obbligati a pagare la loro formazione obbligatoria, che dovrà invece essere a carica del datore di lavoro (la compagnia aerea RyanAir era stata molto criticata perché obbligava i suoi piloti a pagarsi da soli dei corsi di aggiornamento).

Queste nuove regole si applicheranno a tutti i lavoratori che sono impiegati per più di 12 ore in un mese: una definizione sufficientemente ampia da includere anche i lavoratori della “gig economy” che molto spesso non sono protetti da altri tipi di contratto. Secondo le stime del Parlamento, circa tre milioni di lavoratori europei senza altre forme di protezione saranno toccati direttamente dalla nuova direttiva.

«Con questa direttiva si fa un primo passo nel regolare i lavori della gig economy a livello europeo», ha detto al Post Brando Benifei, eurodeputato eletto con il PD, sottolineando che la direttiva serve a colpire in particolare «i casi peggiori di sfruttamento». Da qui, prosegue, si potrà partire dalla prossima legislatura per espandere ulteriormente i diritti dei lavoratori.

Di regolamentare la gig economy si era già parlato in Italia, in particolare la scorsa estate, quanod pochi giorni dopo il suo insediamento, il ministro del Lavoro Luigi Di Maio aveva provato a introdurre una serie di regole per i “rider” italiani. Della questione si è riparlato sporadicamente nei mesi successivi, ma nelle ultime settimane sembra essere definitivamente passata in secondo piano per l’attuale governo. Di Maio «non ha concluso molto», dice oggi Benifei. Le regole introdotte dalla direttiva, spiega, sono quasi tutte migliorative rispetto all’attuale legislazione italiana: «Essendo una direttiva ora dovrà essere implementata e nulla impedisce al nostro Parlamento di renderla ancora più protettiva per i lavoratori. Vedremo se ci sarà la volontà politica».