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  • Lunedì 18 febbraio 2019

C’è stata una scissione nel Labour

Sette parlamentari hanno lasciato il partito britannico in polemica con il leader Jeremy Corbyn: non succedeva una cosa simile dagli anni Ottanta

Jeremy Corbyn (Joe Giddens/PA Wire)
Jeremy Corbyn (Joe Giddens/PA Wire)

Lunedì mattina sette parlamentari del Partito laburista britannico hanno annunciato di avere lasciato il partito in polemica con il leader Jeremy Corbyn. Tra le principali ragioni della scissione hanno indicato i profondi disaccordi su Brexit, la svolta a sinistra del partito e le accuse di antisemitismo nei confronti di Corbyn e di alcuni dei suoi sostenitori, tema sul quale si discute da diversi mesi. I sette hanno annunciato di aver fondato un nuovo gruppo che si chiamerà Independent Group. Secondo i giornali britannici, altri due deputati laburisti potrebbero unirsi alla scissione.

L’abbandono dei sette parlamentari, il più noto dei quali è Chuka Umunna (da tempo indicato come uno dei principali avversari interni di Corbyn) è una rottura come non se ne vedevano da moltissimo tempo tra i Laburisti: per trovare un precedente paragonabile bisogna tornare indietro al 26 marzo 1981, quando quattro parlamentari si dimisero per formare il Partito Social Democratico, che si dissolse nel 1988 quando confluì nel partito Liberal Democratico. Quella volta, però, all’iniziale gruppo di quattro deputati fuoriusciti dal partito se ne unirono altri 24, per un totale di 28. Umunna ha detto che questa volta il gruppo non intende fondersi con i liberali, che in parlamento hanno al momento 11 seggi.

Le scissioni sono piuttosto rare nel sistema politico britannico e sono ancora più rare quelle che hanno successo, portando alla nascita di una nuova forza politica. Sono infatti fortemente disincentivate dal sistema elettorale, il cosiddetto “first past the post” (“il primo prende tutto”): per eleggere un parlamentare è necessario ottenere la maggioranza relativa in un collegio, e questo rende molto complicato per i piccoli partiti eleggere rappresentanti. Un partito con il 10 per cento dei voti a livello nazionale, quindi, non eleggerebbe nemmeno un deputato se non ottenesse la maggioranza relativa dei voti in almeno un collegio. Alle ultime elezioni, per esempio, i Liberal Democratici hanno ottenuto quasi l’8 per cento dei voti a livello nazionale, ma hanno ottenuto meno del 2 per cento dei seggi.

A differenza dell’Italia, inoltre, il leader del partito non ha totale libertà nello scegliere chi candidare alle elezioni, eliminando dalle liste i propri avversari interni (questo timore è dietro a molte delle scissioni a cui abbiamo assistito nel nostro paese). Nel Regno Unito, i parlamentari uscenti hanno per tradizione il diritto automatico a essere ricandidati nel loro collegio e per sostituirli è necessario avviare una controversa e complessa procedura, il cosiddetto “deselect“, nella quale l’ultima parola spetta alla sezione locale del partito. Per questo, di solito, le scissioni sono motivate da profondi e insanabili disaccordi politici.

Nella conferenza stampa in cui hanno annunciato la scissione, i sette parlamentari hanno parlato di divergenze con i vertici del partito guidato da Jeremy Corbyn, considerato rappresentante dell’ala più a sinistra dei Laburisti. Anche se sono d’accordo nel loro giudizio complessivo sullo stato del partito, ognuno dei sette ha fornito ragioni differenti per spiegare la sua decisione.

Luciana Berger, una dei parlamentari che si sono dimessi, ha accusato il Partito laburista di essere «istituzionalmente antisemita» e di non essere stato in grado di fermare l’odio rivolto da alcuni suoi membri contro gli ebrei. Le accuse di antisemitismo nel partito, e quelle di complicità rivolte a Corbyn, sono una storia che va avanti da molto tempo. Berger ha inoltre parlato di cultura di bullismo, intolleranza e intimidazione.

Chris Leslie, un altro dei fuoriusciti, ha detto che sarebbe irresponsabile far diventare Corbyn primo ministro e ha accusato la leadership Laburista di avere «un’ideologia ristretta e superata», concentrata solo sulla divisione tra oppressi e oppressori. Mike Gapes ha detto infine di essere furioso con i vertici Laburisti su Brexit, accusandoli di continuare a facilitare l’uscita del Regno Unito dall’UE. Leslie e Gapes sono i due che hanno messo Brexit maggiormente al centro delle loro scelte.

Entrambi, come la maggioranza dei parlamentari, dei militanti e degli elettori del partito, sono dei “remainer”, sostenitori della permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. La loro opinione è che il partito dovrebbe schierarsi apertamente per bloccare Brexit e indire un secondo referendum. Corbyn, invece, pur avendo fatto campagna per restare nell’Unione nel 2016, sembra oramai aver accettato il risultato del referendum e appare preoccupato soprattutto dall’idea di perdere sostegno tra gli elettori laburisti che votarono a favore di Brexit.