Una storia di meme rubati e festival disastrosi

Due documentari sulla truffa del Fyre Festival hanno generato una campagna contro un grande account americano che ha fatto fortuna pubblicando contenuti altrui

L'immagine del profilo Facebook di FuckJerry.
L'immagine del profilo Facebook di FuckJerry.

Una società specializzata nel marketing sui social network chiamata Jerry Media è da alcune settimane al centro di una polemica per la sua abitudine a rubare i contenuti e le battute di comici e di normali utenti di internet, e per il ruolo avuto nella promozione del Fyre Festival, un grosso festival musicale di lusso che si era rivelato essere un guaio organizzativo e un’enorme truffa. Jerry Media, conosciuta soprattutto per il popolare account di Instagram “FuckJerry”, è al centro di molte attenzioni soprattutto dopo l’uscita quasi simultanea di due documentari sul Fyre Festival, uno di Netflix e uno di Hulu: e il modo in cui questi due documentari hanno scelto di raccontare la vicenda è a sua volta un pezzo della storia.

Cos’è Jerry Media
Jerry Media nacque nel 2011 come un normale account su Tumblr e Instagram, e pian piano iniziò a guadagnare migliaia di follower pubblicando immagini comiche e battute. Fin da subito si caratterizzò per un approccio usato da moltissimi popolari account sui social network: rubare i meme e gli altri contenuti senza citarne gli autori. Nel giro di qualche anno, il fondatore Elliot Tebele riuscì a ottenere i primi contratti per curare le campagne promozionali su Instagram di alcune grosse società: iniziò nel 2013 con Burger King, e da lì in poi Jerry Media ha lavorato per società e marchi come HBO, MTV e Hallmark. Oggi Jerry Media ha vari account molto seguiti – il principale ha 14 milioni di follower – e una ventina di dipendenti. Nel 2016 un suo rappresentante disseForbes che per i dodici mesi successivi stimavano un fatturato tra gli 1,5 e i 3 milioni di dollari. Tra le altre cose, oggi FuckJerry rappresenta l’account Instagram che pubblicò la foto di un uovo che raccolse oltre 50 milioni di mi piace, per cercare di monetizzarlo.

Cos’è stato il Fyre Festival
Un disastro. Nel 2017 un imprenditore americano di nome Billy McFarland mise insieme una squadra di persone e finanziatori, tra cui il rapper Ja Rule, per organizzare un festival musicale molto esclusivo per persone molto ricche, su un’isola delle Bahamas. Realizzò un video promozionale molto professionale, coinvolgendo alcune delle modelle più richieste del mondo, da Emily Ratajkowski a Bella Hadid a Hailey Baldwin, e vendette diversi tipi di offerte che partivano da alcune migliaia di dollari e arrivavano ad alcune decine, per i soggiorni più lussuosi. I documentari di Netflix e Hulu raccontano come McFarland e gli altri organizzatori non avessero idea di come organizzare davvero un festival del genere: la loro assoluta impreparazione, unita alla malafede di aver venduto migliaia di biglietti senza nessuna garanzia, ebbe come risultato un gigantesco disastro.

Alla fine gli organizzatori non riuscirono ad allestire praticamente niente di quello che avevano promesso: le residenze lussuose erano in realtà tende per gli sfollati degli uragani (peraltro semi-distrutte da un acquazzone la sera prima del festival), il catering era più simile a quello di un campeggio che a quello stellato promesso, e la maggior parte dei musicisti annunciati – dai Major Lazer ai Blink 182 – diede buca quando capì che il festival era un disastro. I partecipanti arrivarono e non trovarono niente di quello per cui avevano pagato, e furono costretti a dormire in tende allagate in mezzo a una specie di cantiere: quando provarono a tornare a casa il giorno dopo, non c’erano aerei per trasportarli e dovettero passare decine di ore nel piccolo aeroporto locale. Erano per la maggior parte influencer con migliaia di follower, quindi il disastro del Fyre Festival fu ampiamente documentato e finì su tutti i giornali americani (e anche italiani, come il Post). Oggi McFarland è in carcere, e sta scontando una pena di sei anni per frode (anche per truffe successive al Fyre Festival).

Cosa c’entra tutto questo con FuckJerry?
Tra i clienti di FuckJerry c’era anche il Fyre Festival: la società si occupò dell’imponente campagna pubblicitaria sui social del festival, organizzando tra le altre cose la pubblicazione simultanea di un’immagine arancione, accompagnata da un criptico annuncio sul festival, che fu condivisa da decine di celebrità americane. Alcuni media hanno riportato che, per esempio, la modella Kendall Jenner fu pagata 250mila dollari per quel post. Jerry Media continuò a gestire gli account sui social network del festival fino a pochi giorni prima dell’evento, anche quando, vista la totale assenza di informazioni logistiche fornite dagli organizzatori, i post del Fyre Festival erano pieni di commenti di gente che aveva comprato i biglietti e chiedeva informazioni.

Nel documentario di Netflix un responsabile della società spiega che a quel punto, dopo aver eluso per giorni le domande e i commenti, FuckJerry ridusse notevolmente il suo coinvolgimento col festival, a cui comunque parteciparono alcuni suoi rappresentanti. Ma in realtà molti accusano FuckJerry di essere stato molto più complice nella truffa di quanto emerga dal documentario: cioè che sapessero che sarebbe stato un disastro, o che perlomeno fecero finta di niente. A dare una certa consistenza a questi sospetti c’è il fatto che Jerry Media ha co-prodotto il documentario di Netflix: e infatti da quello di Hulu emerge un coinvolgimento maggiore. A un certo punto, una persona intervistata fa proprio riferimento al fatto che «quelli di FuckJerry si stanno facendo il loro documentario» (in realtà a produrlo sono state molte persone e società, quindi è vero fino a un certo punto).

Il boicottaggio
I documentari, in pratica, sono stati un pretesto per i molti che da tempo volevano attirare attenzione sulle pratiche scorrette adottate da FuckJerry: nello specifico, ripubblicare meme e battute create da altri utenti, o addirittura da comici professionisti, senza citare la fonte. E poi ricavare da quei post con battute rubate dei soldi: fino a 30mila dollari per post sponsorizzato, secondo AdWeek. L’uscita dei documentari, nei primi giorni di gennaio, ha coinciso poi con un altro episodio: la pubblicazione da parte di FuckJerry di alcuni post per pubblicizzare la nuova stagione di Broad City, una serie comica del canale Comedy Central. Vulture ha commentato la campagna promozionale facendo notare il paradosso di un network basato su serie e show comici che sfrutta la visibilità di un account che vìola una delle prime regole della comicità: non rubare le battute.

Il pezzo è stato molto letto, e Comedy Central ha quindi deciso di ritirare le pubblicità. Da lì è nata una campagna sui social network che si è raccolta dietro all’hashtag #fuckfuckjerry, e che invitava in sostanza a smettere di seguire l’account. A pubblicare tweet e post su Instagram contro FuckJerry sono stati anche alcuni comici con una certa visibilità, nell’ordine di decine di migliaia di follower: la storia, insomma, è diventata piuttosto grossa tra gli addetti ai lavori e in generale nella nicchia di chi segue i media e i social network. Questo ha portato Tebele a pubblicare un post su Medium in cui ha ammesso di non aver riconosciuto correttamente gli autori di molti contenuti pubblicati, dicendo di aver provato a migliorare questo approccio negli ultimi anni ma, evidentemente, di non esserci riuscito. Tebele ha perciò promesso che Jerry Media non pubblicherà più contenuti di cui non sa identificare l’autore, e che chiederà in anticipo il permesso per la pubblicazione.