Toni Servillo ha 60 anni

È uno dei più grandi attori italiani e ha già fatto in tempo a essere sia Andreotti che Berlusconi, tra le tante altre cose

(Ian Gavan/Getty Images)
(Ian Gavan/Getty Images)

Toni Servillo compie oggi 60 anni, e già da qualche tempo capita che se ne parli come del “più grande attore italiano vivente”. È impossibile dire se lo sia, che alla fine è sempre questione di gusti, ma è certo che da diversi anni Servillo è molto apprezzato in quasi ogni suo ruolo di cinema o di teatro: e di certo è l’unico che può dire di essere stato sia Giulio Andreotti che Silvio Berlusconi.

Servillo è nato il 25 gennaio 1959 ad Afragola, in Campania, un anno prima del fratello Peppe: anche lui attore, oltre che cantante degli Avion Travel. Il suo nome vero e intero è Marco Antonio e dopo aver passato i primi anni di vita in Piemonte è cresciuto tra Napoli e Caserta, dove ancora vive, perché «la provincia ti mette al riparo dalle ritualità e dal vuoto esercizio sociale». Iniziò a recitare in un oratorio salesiano ma per diversi anni tenne il teatro come passione, provando a studiare psicologia. In un’intervista ha raccontato:

Studiavo psicologia anche con discreto profitto alla Sapienza di Roma, ma avevo già cominciato a recitare. Al secondo anno, mi presentai a un esame piuttosto stanco. Il professore, che era un sacerdote, se ne accorse e me ne chiese il motivo. Mi vergognavo a dire che avevo fatto le prove di uno spettacolo fino a tardi, ma alla fine confessai: “Faccio l’attore”. E lui: “Allora smetta con questi studi perché le ingombrano lo spirito”. Era un buon consiglio.

Il primo film in cui recitò Servillo fu Morte di un matematico napoletano, che uscì nel 1992 ed era anche il primo film di Mario Martone, insieme al quale Servillo aveva fondato i Teatri Uniti (di cui ancora oggi è direttore artistico). Anche nei decenni successivi, e anche ora che secondo molti è «il più grande attore italiano vivente», Servillo continua a recitare volentieri in film diretti da registi esordienti: «Amando profondamente il cinema come attore e come spettatore più volte ho scelto di partecipare a quei miracoli sorgivi che sono le opere prime, e sempre ho costruito un’amicizia con i registi con cui ho lavorato».

Dopo Morte di un matematico napoletano continuò sia con il teatro, che non ha mai abbandonato, che con il cinema. Negli anni Novanta recitò in altri tre film di Martone (Rasoi, I vesuviani e Teatro di guerra) e poi, nel 2001, in L’uomo in più, il primo film di Paolo Sorrentino.

Nel 2004 Servillo tornò a recitare per Sorrentino in Le conseguenze dell’amore, dove interpreta un annoiato uomo di mezza età che soffre di insonnia e ogni settimana si inietta una dose di eroina (ma è più complicata di così).

Il vero e grande successo arrivò però nel 2008, quando recitò in Gomorra di Matteo Garrone e in Il divo di Paolo Sorrentino: i due film italiani di quell’anno.

In seguito Servillo ha recitato in Una vita tranquilla, Il gioiellino, Bella addormentata, 
Viva la libertà, Le confessioni, Loro e La grande bellezza, il film in cui interpreta il suo personaggio di finzione più famoso: Jep Gambardella. Di Gambardella ha detto:

È un cinico sentimentale, deluso dal presente e non estraneo a un atteggiamento moralistico. Segue, attraversa e a tratti asseconda con passo lieve i riti della mondanità intellettuale o pseudointellettuale, dissipando il proprio talento. Lascia dietro di sé una lunga serie di occasioni mancate, una scia di rimpianto, un’illusione. Una tragica impasse da cui si vorrebbe evadere senza averne la forza. Da qui l’identificazione transnazionale, il tema universale, lo specchio in cui si sono osservati anche quelli che un passaporto italiano non lo possedevano.

Un paio di anni fa Antonio D’Orrico intervistò Servillo per il Corriere della Sera e gli chiese cosa fosse per lui il cinema. Rispose:

A me piace sempre quella vecchissima immagine napoletana che avrebbe fatto la felicità di Roland Barthes: “’O cinema è ’o ’mbruoglio into ’o lenzuolo”. Un’immagine che riporta ai primordi, quando il cinema era un lenzuolo steso in piazza, gli spettatori si portavano le sedie da casa e parlavano di imbroglio nel lenzuolo per dire che non era una cosa vera. Il cinema, per me, resta questo. E l’autore dell’imbroglio è sempre il regista.

A chi gli chiese cosa preferisse tra cinema e teatro rispose invece:

Impossibile una graduatoria. È un alternare fra due modi, due tecniche, due arti che consentono di ricavare vantaggi, di crescere, maturare, gioire. Diciamo che cerco di portare dal cinema al teatro i miei spettatori con lo stesso rigore, con la stessa coerenza. Comunque, al di là dei successi provenienti dal grande schermo, non ho mai abbandonato il teatro. Anche perché la mia formazione si è rafforzata sul palcoscenico. E adesso, semmai, metto a disposizione del cinema una formazione che viene dalla pratica teatrale.