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  • Mercoledì 23 gennaio 2019

In Corea del Sud ci sarà una grande indagine sulle violenze sessuali nello sport

Nei prossimi mesi verranno intervistate migliaia di bambini e adulti di ogni disciplina, per provare a risolvere quello che sembra essere un problema endemico

La pattinatrice Shim Suk-hee alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang. (Richard Heathcote/Getty Images)
La pattinatrice Shim Suk-hee alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang. (Richard Heathcote/Getty Images)

La Commissione Nazionale per i Diritti Umani della Corea del Sud ha annunciato che intervisterà migliaia di adulti e bambini nell’ambito di una lunga e imponente indagine su quella che in molti stanno definendo la “cultura dell’abuso” nello sport agonistico del paese. A provocare l’indagine sono state le recenti accuse di abusi, violenze e stupri mosse da diverse atlete sudcoreane nei confronti dei loro allenatori.

L’indagine durerà almeno un anno e riguarderà circa 50 sport, a partire da quelli praticati dagli studenti delle scuole elementari. In particolare, almeno nelle intenzioni, saranno ascoltati tutti i bambini e gli adulti che praticano judo e pattinaggio di velocità, i due sport più interessati dalle accuse. «Dovremo discutere con le scuole e con le squadre per capire come procedere con l’indagine in ciascuno sport, ma pensiamo di costruirla soprattutto parlando con le persone», ha detto un portavoce della commissione.

Da alcuni mesi lo sport sudcoreano è interessato da una serie di gravi accuse mosse da diverse atlete, dalle quali sembra emergere una sistematicità negli abusi compiuti dagli allenatori. Il caso che ha fatto cominciare lo scandalo è stato quello di Cho Jae-beom, che era l’allenatore capo della nazionale sudcoreana di pattinaggio di velocità poco prima delle Olimpiadi invernali di Pyeongchang del 2018 e che lo scorso settembre era stato condannato a dieci mesi di carcere per aver aggredito alcune pattinatrici tra cui Shim Suk-hee, che a Pyeongchang vinse due ori. Cho fu inizialmente condannato per aver preso a calci e pugni Shim, che però nelle settimane successive lo accusò di averla violentata ripetutamente fin dal 2014, quando aveva 17 anni. Cho ha negato queste ultime accuse, che saranno ora valutate in un nuovo processo.

Dopo le accuse di Shim, tra dicembre e gennaio diverse atlete hanno accusato i propri allenatori di violenze sessuali di vario tipo. Oltre al pattinaggio, uno degli sport più popolari e seguiti della Corea del Sud, lo scandalo ha coinvolto il judo, il taekwondo, il calcio e gli sport di lotta. Si è iniziato così a parlare della cultura sportiva sudcoreana, rigidamente gerarchica e asimmetrica, in cui gli allenatori detengono un grande potere. È piuttosto comune infatti che gli atleti e le atlete mettano da parte l’istruzione e la scuola per vivere in dormitori e dedicare allo sport ogni aspetto della propria vita, che diventa così gestita in modo molto presente dagli allenatori, in larga parte uomini.

La commissione si era già occupata del tema nel 2001, rilevando un problema e dando delle indicazioni al comitato olimpico sudcoreano, salvo poi lamentarsi per anni per la loro mancata applicazione. Choi Young-ae, presidente della commissione, ha spiegato che «la violenza fisica e sessuale nello sport sudcoreano non accade per caso, ma nasce sotto una struttura precisa. È una cultura che mette le medaglie e i trofei davanti a tutto il resto condonando comportamenti violenti e associando questa violenza a quella sessuale».