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  • Giovedì 17 gennaio 2019

James Harden è inarrestabile, per ora

Uno dei più forti giocatori di basket NBA sta facendo cose eccezionali e sta segnando una valanga di punti: ma i numeri suggeriscono che potrebbe non durare

James Harden (AP Photo/David J. Phillip)
James Harden (AP Photo/David J. Phillip)

La sera del 3 gennaio scorso molti appassionati di basket NBA stavano guardando la partita tra Houston Rockets e Golden State Warriors, una delle più attese della stagione regolare nella Western Conference, uno dei due gironi in cui è divisa la NBA. La partita fu spettacolare: finì dopo un tempo supplementare e fu risolta da un difficilissimo canestro da tre punti all’ultimo secondo segnato da James Harden, il giocatore più forte degli Houston Rockets ed MVP della scorsa stagione (cioè il miglior giocatore della stagione regolare). Nell’ultima azione, Harden era contrastato da Klay Thompson, aiutato poi anche da Draymond Green, due tra i migliori difensori della NBA, ma riuscì lo stesso a tirare, segnare e portare i Rockets in vantaggio di un punto.

Dopo la gara, il general menager dei Rockets, Daryl Morey, disse a ESPN: «Si può dire che [Harden] sia il miglior giocatore offensivo di tutti i tempi». Meglio di Michael Jordan e di Wilt Chamberlain, tra gli altri.

Morey non si riferiva solo alla partita di Harden contro i Warriors, squadra vincitrice di tre titoli NBA nelle ultime quattro stagioni, ma anche alle incredibili prestazioni messe in fila nelle settimane precedenti, quando Harden aveva fatto registrare record su record: tra gli altri, aveva segnato almeno 40 punti in cinque partite consecutive, come nell’ultimo mezzo secolo avevano fatto prima di lui solo Kobe Bryant, Michael Jordan e Allen Iverson, e aveva segnato almeno 35 punti e servito 5 assist nelle precedenti nove partite giocate dai Rockets, superando il record di sette gare di Oscar Robertson.

Nel mese di gennaio, Harden ha migliorato ulteriormente i suoi numeri, in maniera impressionante: solo nelle ultime due partite, giocate rispettivamente contro i Memphis Grizzlies e i Brooklyn Nets, ha segnato 57 e 58 punti, moltissimi. Il sito The Ringer ha definito l’ultima partita giocata da Harden, quella dei 58 punti contro i Nets, «un altro passo monumentale verso quella che potrebbe essere una delle più impressionanti stagioni di sempre» per un giocatore NBA. Ad oggi Harden è il miglior realizzatore della lega e segna cinque punti in più di media a partita rispetto al secondo, Stephen Curry.

Al di là del fatto che sia o non sia il miglior giocatore offensivo della storia NBA – cosa molto difficile da misurare, anche per come è cambiato il basket nel corso del tempo – Harden sta in effetti dominando come pochi prima di lui erano stati in grado di fare.

ESPN ha cercato di capire meglio il gioco di Harden, analizzando il suo modo di attaccare il canestro e guardando un po’ di numeri. Anzitutto c’è da considerare che gli Houston Rockets stanno giocando da poco meno di un mese senza Chris Paul, il secondo più forte giocatore dei Rockets, e da qualche giorno senza Clint Capela, altro elemento importante della squadra: entrambi sono fuori per infortunio, con il risultato che la fase offensiva del gioco di Houston si è concentrata ancora di più su Harden.

Il punto centrale nel gioco offensivo di Harden sono i tiri da tre “non assistiti”, ovvero quelli che fa creandosi da solo le condizioni per provarli, senza ricevere un assist da un compagno di squadra: lo scorso anno Harden aveva fatto il record di canestri da tre “non assistiti”, 196; quest’anno, col ritmo che sta tenendo, potrebbe finire la stagione segnandone 325. Molti di questi canestri sono segnati in “step back”, ovvero tirando dopo avere fatto un passo indietro per creare dello spazio tra sé e il difensore, movimento per niente facile da realizzare in maniera efficace.

Il giornalista sportivo Kirk Goldsberry ha paragonato l’efficacia dello step back di Harden a un altro grande e inarrestabile movimento del basket del passato: il “gancio cielo” di Kareem Abdul-Jabbar, che è stato definito «il tiro più pericoloso mai visto in NBA». «Lo step back di Harden è il “gancio cielo” di questa generazione di giocatori NBA: è il movimento più dominante del nostro giocatore più dominante – e nessun altro sembra in grado di eseguirlo altrettanto bene», ha scritto Goldsberry.

In generale Harden è il protagonista assoluto dell’attacco dei Rockets: tira moltissimo (da tre punti, in penetrazione e dal tiro libero dopo avere subìto fallo, soprattutto), e tiene in mano la palla più di 6 secondi di media a tocco, tanto come nessun altro in NBA. In altre parole: tutta la fase offensiva dei Rockets, molto più statica rispetto a quella di altre squadre, passa da lui. Ma quanto può durare questo dominio? Harden riuscirà a tenere questi ritmi anche durante i playoff, cioè il momento più importante della stagione NBA?

Chris Herring di FiveThirtyEight, sito americano che si occupa tra le altre cose di statistiche sportive, ha provato a rispondere a queste domande guardando i numeri messi insieme da Harden nelle ultime stagioni e provando a fare una proiezione per quella attuale.

Secondo Herring, la cosa forse più preoccupante del gioco di Harden sono le oltre 700 giocate fatte finora in “isolamento”, ovvero giocando un 1-contro-1 con il proprio difensore e terminando l’azione con un tiro, una palla persa o un fallo: è più di quanto fatto in questa stagione da qualsiasi squadra NBA presa interamente. Gli “isolamenti” giocati in questa maniera, molti dei quali finiscono con un tiro da tre punti in step back o con una penetrazione verso canestro, sono però molto faticosi e richiedono uno sforzo fisico personale maggiore di quello che implica un’azione collettiva di squadra. Il risultato, ha scritto Herring, è che nei quarti tempi delle partite (cioè negli ultimi 12 minuti di gioco), Harden sbaglia più canestri di quanto non faccia nel resto della gara. Questa stanchezza potrebbe farsi sentire anche nella parte finale del campionato NBA, quella dei playoff.

La percentuale realizzativa media di James Harden in ciascuno dei quattro quarti delle partite giocate nelle ultime tre stagioni: come si vede dai dati elaborati dal sito FiveThirtyEight, nei quarti quarti delle partite Harden tende a sbagliare molti più tiri (FiveThirtyEight)

Nel 2016-2017, ha scritto Herring, Harden aveva dominato la stagione regolare in maniera simile a quanto sta facendo ora, pagando però lo sforzo durante i playoff e chiudendo la serie contro i San Antonio Spurs con una prestazione orribile e molto criticata. Harden è attualmente il leader di una speciale voce statistica chiamata “usage rate”, una percentuale che misura quanto un giocatore è coinvolto nell’attacco della sua squadra: il problema è che i giocatori con una “usage rate” molto alta in stagione regolare generalmente non fanno playoff particolarmente brillanti e le loro squadre non arrivano in fondo per giocarsi il titolo. Un altro problema è che i Rockets non sembrano avere la possibilità di far giocare meno Harden, di modo da preservarlo per i playoff, visto che, come detto, gli altri due giocatori più importanti della squadra, Chris Paul e Clint Capela, sono fuori per infortunio.

Finora James Harden è stato per lo più inarrestabile e l’impressione è che nessuna squadra abbia trovato un modo per contrastarlo in maniera efficace. Diversi commentatori sostengono che a questo ritmo potrebbe vincere per il secondo anno consecutivo il premio di MVP della stagione regolare, arrivando davanti a Giannis Antetokounmpo, greco dei Milwaukee Bucks. L’incognita rimane quella della continuità: Harden potrebbe spendere una quantità eccessiva di energie per continuare a sostenere l’attacco dei Rockets da solo e portare la sua squadra ai playoff, con il rischio poi di non averne più nel momento più importante della stagione, quando si deciderà il vincitore del titolo NBA.