Vice non è più Vice

Fino a pochi anni fa era considerata un modello per fare affari con i contenuti online, oggi qualcuno si chiede se non sia stato solo un bluff

di Francesco Cellino

Shane Smith, ex CEO di Vice Media (AP Photo/The Canadian Press, Nathan Denette)
Shane Smith, ex CEO di Vice Media (AP Photo/The Canadian Press, Nathan Denette)

Per molti anni, Vice Media è stata considerata un modello per chi si occupava di media e giornalismo. Nata come rivista cartacea a metà degli anni Novanta, era riuscita – in un momento in cui la maggior parte delle tradizionali testate soffriva per l’arrivo di internet – a trasformarsi in un colosso con migliaia di dipendenti e decine di testate, conti in attivo e una valutazione che si avvicinava ai 5 miliardi di euro. Il fondatore e CEO Shane Smith, famoso per la sua vita lussuosa e sopra le righe, era considerato una specie di guru, che aveva scoperto come generare ricavi e successo in un mercato che sembrava andare male per quasi chiunque altro. Smith, però, si è dovuto dimettere dall’incarico lo scorso marzo, in mezzo a una grossa crisi di ricavi, accuse di molestie e discriminazioni diffuse tra i dipendenti e l’apparente incapacità di mettere mano a questi problemi.

Oggi, dopo che a novembre Disney ha ridotto di più della metà un suo enorme investimento in Vice, la società è valutata poco più di 2 miliardi di euro e la nuova CEO Nancy Dubec ha annunciato un grosso piano di tagli e chiusure per provare a sistemare le cose. Il 2017 si era chiuso senza che Vice raggiungesse i profitti previsti e il 2018 sembra che si chiuderà solo poco meglio di così, con la società ancora in perdita, in un contesto più ampio in cui guadagnare con riviste e giornali online sembra sempre più difficile. Cosa succederà nei prossimi mesi e anni dipenderà in gran parte dalla capacità di Vice di capire come trasformarsi e adattarsi, ma secondo molti osservatori la capacità della compagnia di generare profitti e in generale il suo modello di business erano già da prima ampiamente sopravvalutati.

Vice fu fondata da Suroosh Alvi, Gavin McInnes e Shane Smith nel 1994, a Montreal, in Canada, grazie ai fondi di un programma di welfare governativo. Si rivolgeva principalmente ad un pubblico giovane che considerava noiosa la cultura mainstream e in meno di vent’anni è arrivata ad avere 3.000 dipendenti sparsi in tutto il mondo e un valore stimato diversi miliardi di dollari. Se Vice è riuscita negli anni a crescere così tanto è stato anche grazie all’abilità e alla spregiudicatezza di Smith nel chiudere accordi con sponsor e investitori. Una delle sue prime mosse – per esempio – fu inviare poche copie della rivista in un negozio di dischi a Miami, in Florida, e in un negozio di skateboard a Los Angeles, in California, per poi raccontare agli inserzionisti che Vice veniva distribuito in tutto il Nord America.

Già dai primi anni, mentre la testata accresceva a poco a poco la sua notorietà e definiva una sua estetica, Smith si distinse per i suoi modi poco ortodossi: nel 1998 per esempio disse a un giornalista che Richard Szalwinski, un noto imprenditore nel settore dei media di Montreal, aveva investito in Vice. Non era vero, ma quando Szalwinski lo venne a sapere rimase abbastanza impressionato da decidere di investire per davvero: grazie alle nuove risorse finanziarie, Vice poté trasferire la sua sede a New York e accrescere il suo organico. In una circostanza simile, quando un giornalista venne a raccogliere materiale per un servizio sulla società, Smith pagò un amico perché fingesse di essere un dirigente di MTV, interessato a produrre uno show televisivo di Vice. Furono bluff come questo – ha raccontato il New York Magazine – a permettere a Vice di diventare quella che è.

I primi anni Duemila furono forse i più difficili della storia di Vice, soprattutto quando, a seguito della scoppio della bolla delle dot-com, Szalwinski smise di finanziare la testata. La società si ritrovò indebitata e fu costretta a trasferirsi in un vecchio loft a Brooklyn: malgrado le difficoltà del periodo riuscì comunque a sopravvivere, anche grazie alla disponibilità di contenuti prodotti gratuitamente o a costi molto ridotti da persone entusiaste di entrare a far parte del mondo di Vice.

A metà degli anni Duemila, però, Vice fu innovatore e precursore di due tendenze che avrebbero ridefinito il mondo dei media negli anni successivi. La prima innovazione fu la produzione di contenuti brandizzati, in cui lo sponsor non appariva soltanto nei reclami pubblicitari a contorno del contenuto, ma diventava esso stesso parte del contenuto. Uno dei primi esempi di successo fu la serie “The Creators Project”, dedicata alle nuove tecnologie e finanziata da Intel con l’intento di avvicinare i giovani al mondo dei processori per computer, o in tempi più recenti “Beerland”, una serie il cui protagonista è un mastro birrario della Anheuser-Busch, una famosa azienda statunitense che produce birra, principale finanziatrice del progetto.

La seconda scelta innovativa fu quella di investire molto sul formato video, che di lì a poco sarebbe diventato estremamente diffuso su tutte le principali testate online. Grazie a un investimento di Viacom Vice lanciò nel 2008 un proprio sito dedicato ai contenuti video, vbs.com, con la collaborazione del regista Spike Jonze che contribuì a definirne lo stile. I video prodotti da Vice erano riconoscibili, avevano un approccio molto diretto e un ritmo serrato, seguendo una regola di montaggio tanto semplice quando efficace: taglia tutte le cose noiose, lascia il resto.

Il livello successivo fu il passaggio da internet alla tv via cavo, dapprima con lo show di Vice su MTV e successivamente sull’emittente HBO. Lo stile accattivante e talvolta spericolato dei servizi di Vice li rendeva molto distanti dal giornalismo tradizionale, anche se ciò non impedì di realizzare reportage molto apprezzati come quelli sullo Stato Islamico o Corea del Nord. Vice diede molte opportunità ai giovani desiderosi di sperimentare cose nuove, anche a costo di mettere a rischio la loro stessa incolumità. Non mancarono anche casi controversi, come quello di un produttore associato (poi licenziato) che propose a una donna di pagarla per farsi filmare mentre abortiva.

In questi anni Vice riuscì a crescere molto soprattutto grazie agli investimenti generosi che Smith riusciva a ottenere tanto dagli sponsor quanto da grandi agenzie pubblicitarie internazionali come WPP, dall’emittente A&E, da fondi di investimento come TCV o dal magnate dei media Rupert Murdoch. Quando trattava, Smith insisteva molto sulla modernità di Vice e sulla sua presunta forte presa sul pubblico più giovane, mettendo i potenziali investitori di fronte ad un aut aut: pagare Vice per unirsi alla sua rivoluzione giovanile o restare inevitabilmente indietro.

Un altro aspetto molto curato da Smith era rendere il mondo di Vice amichevole e cool, ma al tempo stesso moderno e professionale agli occhi dei potenziali investitori. Per questo scopo Smith ricorreva spesso a stratagemmi ed espedienti: diverse testimonianze raccontano ad esempio che architettò nei dettagli un piano in vista del meeting con i rappresentanti di Intel, la società produttrice di microprocessori che aveva proposto a Vice di realizzare una serie per spingere un pubblico giovane ad interessarsi ai suoi prodotti.

Per prima cosa Smith pagò lo studio di architettura a fianco agli uffici di Vice perché liberasse subito i locali, e tutti gli impiegati si diedero un gran da fare per fare in modo che i nuovi spazi apparissero come se fossero sempre appartenuti alla testata. Vennero costruite in brevissimo tempo una nuova sala conferenze con le pareti in vetro e un bagno di lusso giapponese. Il giorno della riunione, gli impiegati vennero invitati a portare i propri amici e a lasciarli circolare liberamente con un computer portatile in mano, per dare l’impressione che la società possedesse un organico ben più grande dei 50 dipendenti dell’epoca. Alcuni impiegati vennero incaricati di far finta di realizzare un servizio fotografico in un corridoio dove sarebbero passati i dirigenti di Intel, dando così l’impressione di avere anche un proprio studio fotografico. Di sera Smith portò a cena i delegati di Intel e successivamente in un bar dove era stato chiesto agli impiegati di Vice di ritrovarsi per una festa che doveva apparire spontanea e non precedentemente organizzata: in molti raccontano che Smith stesso passasse a fianco agli impiegati sussurrandogli nell’orecchio “Balla!”. Alla fine Intel investì 25 milioni di dollari per lanciare “The Creators Project”, una delle serie di maggior successo di Vice.

Mano a mano che Vice cresceva, iniziò a porsi il problema di far convivere lo stile originario di una rivista punk e irriverente con gli interessi della società e dei suoi sponsor. La collaborazione con MTV mise in luce per la prima volta problemi di questo tipo: Von Toffler, all’epoca CEO dell’emittente, ha raccontato che persero dozzine di sponsor dopo che Vice trasmise in una puntata del suo show un segmento sulle bambole sessuali. Al tempo stesso diventava sempre più difficile con un pubblico così vasto mantenere il carattere pungente e lo stile diretto che l’aveva caratterizzata in origine: alcuni testimoni raccontano che Smith stesso criticò aspramente un articolo provocatorio in pieno stile Vice, in cui Jimi Hendrix era inserito tra i 123 peggiori musicisti di tutti i tempi (disse che era “troppo cattivo”).

I dipendenti di Vice sono soliti distinguere tra “vecchio” e “nuovo” Vice, facendo riferimento proprio alla grande crescita e i cambiamenti di quel periodo. Secondo molte testimonianze, nonostante Vice continuasse ad aprire redazioni in tutto il mondo e sempre nuove sezioni, come Vice Sports o Noisey per la musica, l’organizzazione aziendale continuava a essere caotica, senza una struttura manageriale e amministrativa adeguata alle dimensioni dell’azienda, mentre le decisioni continuavano a venire prese da una ristretta cerchia di uomini vicini a Smith. Gli impiegati inoltre non ebbero grossi benefit dalla crescita dell’azienda: continuarono a essere pagati poco pur lavorando molto, a differenza di Smith che spesso ostentava la propria ricchezza presentandosi con elicotteri privati, pagando cene molto costose o comprando ville dal costo milionario.

Nonostante ciò, l’azienda cercò sempre di apparire al mondo esterno come un ambiente dinamico e moderno dove lavorare: anche quando a novembre 2017 Daily Beast pubblicò un articolo sulle molestie sessuali negli uffici di Vice a Los Angeles, l’azienda negò le accuse e pubblicò in risposta un video in cui i dipendenti parlavano di quanto amassero lavorare a Vice.

Un altro aspetto controverso della crescita di Vice riguarda il numero effettivo di visitatori dei suoi siti, spesso accresciuto con trucchi e strategie di marketing poco trasparenti: nel 2016 Variety scrisse che una buona parte del traffico di Vice derivava da link con foto di ragazze accattivanti su siti spazzatura. Inoltre Vice aveva stretto accordi con siti di intrattenimento specializzati nella produzione di contenuti virali di scarsa affidabilità e valore giornalistico, come OMGFacts e Distractify, con lo scopo di accrescere la propria platea: ancora oggi molto del traffico di Vice arriva da ranker.com, un sito simile che produce contenuti virali sotto forma di classifiche.

Se la capacità di raggiungere un pubblico molto giovane, alternativo e alla moda è stata messa in discussione per i siti internet di Vice, allo stesso modo è andata per la sua espansione televisiva: con un grosso investimento da 400 milioni di dollari, nel 2016 era stato lanciato Viceland, un canale sulla tv via cavo americana interamente dedicato ai contenuti di Vice. Smith promise che sarebbe riuscito nell’impresa di riportare i millennial a guardare la televisione. Tuttavia, anche a causa di una distribuzione non ottimale, il canale non è mai decollato, e oggi è all’83esimo posto tra i canali americani per spettatori, due posti dietro MTV2, mentre l’età media del pubblico è di 42 anni. Ancora oggi, sebbene la società sia molto ottimista riguardo una possibile espansione dei suoi canali televisivi all’estero, i risultati sono deludenti: in Canada Roger Communications, partner di Vice per la trasmissione nel paese, ha annunciato l’intenzione di volersi defilare dalla joint venture e di conseguenza spegnere il canale, in India era previsto il lancio del canale nel 2017 ma non ha ancora ottenuto le licenze necessarie mentre in Francia il quotidiano Libération ha riportato lo scorso aprile che certe sere Viceland ha totalizzato meno di 100 spettatori.

Secondo diversi osservatori, il lancio di Viceland fu un passo falso, in un periodo in cui le emittenti televisive tendono sempre di più a investire su piattaforme diverse dalla tv via cavo. Le mancate previsioni degli ultimi anni hanno portato nel tempo a una continua riduzione dei budget editoriali, e oggi parte del palinsesto di Viceland è occupato da repliche e programmi in licenza, prodotti da terzi.

Mano a mano che le cose iniziavano ad andare meno bene delle previsioni, Smith iniziò a pensare di vendere la società. Già nel 2016 assunse diversi dirigenti da altre società, nella speranza di sistemare l’assetto organizzativo di Vice e favorirne la vendita: si parlò di una possibile acquisizione da parte di Disney, che già aveva finanziato il lancio di Viceland, ma le offerte non si concretizzarono mai. L’anno seguente Smith si ritrovò in una posizione scomoda, con la società profondamente cambiata e senza acquirenti interessati alla sua nuova versione: propose al consiglio di amministrazione di Vice di quotare la società in borsa, ma l’idea venne respinta perché ritenuta prematura. Avendo speso molto per il lancio di Viceland e senza ottenere grandi ritorni, Vice a corto di capitale trovò nuovi fondi grazie a TPG, un fondo di investimento privato, e annunciò di volersi espandere anche nel settore cinematografico; poco dopo però licenziò 60 persone e chiuse due dei suoi molti siti.

Secondo il co-fondatore Suroosh Alvi, il problema di Vice è che malgrado le parole di Smith la società non ha mai avuto una visione chiara di cosa voleva essere, ma semplicemente ha sempre e solo cercato di sopravvivere. Le dimissioni a sorpresa di Shane Smith, avvenute lo scorso marzo, hanno segnato l’inizio di una nuova era nella storia di Vice: al suo posto come CEO è stata assunta Nancy Dubuc, già a capo del network televisivo A&E e nota per avere risollevato le sorti del canale History Channel, mentre il pubblicitario francese Dominique Delport è stato assunto come direttore commerciale.

I nuovi vertici della società dovranno cercare di risolvere i problemi di organizzazione interna e creare un modello di business che possa essere profittevole nel tempo. Smith, che è stato fin dalla nascita una figura iconica di Vice, è rimasto comunque nell’azienda e ha dichiarato di essersi fatto da parte per dedicarsi a tempo pieno all’unica cosa che è davvero bravo a fare, ossia “contenuti e affari”. Il problema è che questo è un momento molto difficile anche per altre grandi società che negli ultimi 10 anni avevano fatto ottimi affari con siti, giornali e riviste online. Il mercato della pubblicità è sempre più saldamente controllato da Facebook e Google e anche a gruppi grandi come Vice o Buzzfeed resta da spartirsi poco più delle briciole.

Il CEO di Buzzfeed, diventato a sua volta molto noto per la sua abilità a capire e adattarsi al mercato, ha recentemente detto che l’unica strada per la sopravvivenza a lungo termine della sua società è la fusione con altri gruppi altrettanto grandi. A novembre un’altra società di informazione e contenuti online che negli ultimi anni aveva raccolto decine di migliaia di dollari di investimenti – Mic Network – ha licenziato quasi tutto il suo personale ed è stata venduta per pochi milioni di dollari. Un rapporto del 2017, finanziato da Google, ha rilevato che tra 122 marchi i teenager americani hanno individuato Vice come il secondo meno cool, meno di Yahoo o della catena di centri commerciali JCPenney.