Gli effetti speciali non sono più speciali

Forse sono troppi, o siamo noi che ci siamo abituati, o ci sono altre ragioni?

Pensate a un film recente con effetti speciali che vi abbiano particolarmente colpito. Proprio da dire wow. È difficile aver visto un intero film senza effetti speciali, perché sono vecchi tanto quanto il cinema e sono ovunque: ma è probabile che oggi non ve ne venga in mente uno recente che vi abbia davvero stupito per i suoi effetti speciali. O almeno, così la pensano molti addetti ai lavori.

Come disse già nel 2013 Dennis Muren – effettista statunitense che ha lavorato a Guerre stellariJurassic Park e al secondo Indiana Jones – «gli effetti speciali non sono più così speciali». Li diamo per scontati e diamo per scontato che si possano usare per tutto. In un lungo articolo per Vulture, Bilge Ebiri ha raccontato come siamo arrivati a questo punto, quali sono i problemi del settore e che prospettive ci sono per il futuro.

Prima di tutto, però, poche righe di contesto. In realtà “effetti speciali” non è la definizione giusta. Per usare quella di Eustace Lycett, effettista per Mary Poppins, gli effetti speciali sono «qualunque tecnica o trucco usato per creare un’illusione di realtà in una situazione in cui non è possibile, economico o sicuro usare le cose reali». Anche la nebbia finta o una maschera sul viso quindi, tecnicamente, sono effetti speciali. Poi ci sono gli effetti visivi, che in inglese si chiamano VFX e sono quello a cui pensiamo quando parliamo di “effetti speciali”. In realtà gli effetti visivi sono solo un pezzo degli effetti speciali. Gli effetti visivi sono quelli che si premiano agli Oscar, dove si parla infatti di “Academy Award for Best Visual Effects”. La CGI, di cui potreste aver sentito parlare, è a sua volta un pezzo degli effetti speciali. È l’acronimo di computer-generated imagery, immagine generata al computer, ed è quello che a volte si aggiunge alle immagini reali per ottenere gli effetti visivi. Quindi, semplificando un po’: scena reale + CGI = effetti visivo.

Gli effetti speciali nel cinema esistono da più di un secolo, come mostrano i film del regista francese Georges Méliès, uno che non si può non citare quando si parla di queste cose. Ma senza perdersi troppo nella storia del cinema, i momenti di svolta per gli effetti visivi sono stati due: il primo negli anni Settanta e il secondo nei primi anni Novanta. Negli anni Settanta perché uscirono film come Guerre Stellari, Superman, AlienIncontri ravvicinati del terzo tipo, che alzarono l’asticella e – più per inventiva che per nuove tecnologie – mostrarono agli spettatori qualcosa mai visto prima. Negli anni Novanta furono invece le nuove tecnologie a permettere cose mai fatte prima: basta pensare ai dinosauri di Jurassic Park e, se c’eravate, ricordare l’effetto che fecero a chi li vide al cinema.

Nei 25 anni che sono passati da Jurassic Park la tecnologia ha reso meno costose, più veloci e più diffuse le possibilità di utilizzo degli effetti visivi. Molti film, almeno quelli di un certo livello, hanno potuto permetterseli, spesso con buoni risultati dal punto di vista tecnico. Secondo Ebiri ora «sembra che tutto sia possibile», compreso sollevare in cielo un’intera città e farla poi ritornare a Terra, dopo che i supereroi di turno hanno fatto il loro dovere. Letteralmente.

Parlando della maggior parte dei film degli ultimi anni, Ebiri ha scritto: «Gli effetti visivi non sono fatti male, anzi. Solo che spesso sembrano stranamente deludenti». O non abbastanza sorprendenti, che forse è la stessa cosa. In particolare, Ebiri ha fatto notare che sono proprio le scene che non dovrebbero farlo, a lasciare poco impressionati gli spettatori: «Quelle giganti, con supereroi spettacolari o battaglie spaziali». Quelle che ci stupiscono e di cui parliamo, invece, sono spesso scene diverse: è il caso dell’orso di The Revenant.

Forse l’orso di The Revenant si è fatto notare più di molti altri effetti visivi solo perché la gente è ormai abituata a vedere navicelle ed esplosioni, mentre è meno abituata ad assistere a tre minuti di lotta tra un orso e un uomo. O forse perché, come ha detto il regista premio Oscar Guillermo del Toro, «siamo in un periodo in cui non esiste più stupore». Dice del Toro: «Quando vedemmo tutte quelle macchine accatastarsi in The Blues Brothers, restammo a bocca aperta perché sapevamo che era vero e pensavamo: “wow, è assurdo”. Ora vediamo una cosa simile in un film e pensiamo che sia tutto fatto a computer». Nei film degli ultimi anni, infatti, se una cosa sembra fatta al computer, quasi certamente è fatta al computer. È anche vero però – come mostra questo video – che spesso i computer sono usati anche per fare cose che non sembrano per niente fatte al computer.

L’abuso degli effetti visivi è un pezzo della questione, ma forse non è il vero problema. Secondo Ebiri, infatti, gli effetti visivi annoiano quando sono fatti male o incapaci di alzare l’asticella, non quando sono troppi. La questione non è quanto si usano, ma come. A questo proposito cita alcuni registi che, in modi diversissimi, continuano a usare effetti visivi che lasciano a bocca aperta. C’è chi, come Christopher Nolan o del Toro, gira scene il più possibile reali; e c’è chi, come James Cameron in Avatar, si affida tantissimo agli effetti speciali. Ma questi sono registi che hanno una storia e una fama tali da potersi imporre sulle case di produzione, pretendendo di avere tempo e denaro impensabili per altri. I grandi registi scelgono prima con chi lavorare, ottengono quasi tutto il tempo di cui hanno bisogno e programmano fin dall’inizio quando, dove e come useranno gli effetti speciali. Prima di girare Gravity, vincitore dell’Oscar per i migliori effetti speciali, dissero al regista Alfonso Cuarón che la tecnologia di cui aveva bisogno per girare il film ancora non esisteva. Lui si prese il tempo necessario e, insieme al direttore della fotografia Emmanuel Lubezki, la inventò.

In molti casi, infatti, è un problema di tempo e di denaro. Ora che gli effetti visivi sono diventati così diffusi, esistono in tutto il mondo molte società di primo livello che se ne occupano. C’è più concorrenza, e la concorrenza ha abbassato i prezzi. Prima di ogni film, quindi, la casa di produzione fa una specie di bando per scegliere a chi affidare gli effetti speciali. Se il film non è di Cameron, Nolan o dei pochi altri registi di quel livello, varie società partecipano al bando, dicendosi disponibili a fare tante cose in poco tempo, anche senza guadagnarci granché. Paul Franklin, effettista per un paio di film di Harry Potter e per molti film di Nolan, ha detto che «i margini di guadagno per le società del settore sono spesso crudeli» e che «la cerchia dei possibili clienti è molto ristretta».

Finisce quindi che le società di effetti speciali si trovino a lavorare molto e in tempi molto ristretti. Spesso senza nemmeno sapere bene quanto dovranno lavorare, perché molti registi delegano il più possibile alla fase della post-produzione, quella in cui vengono aggiunti gli effetti visivi. Dal 2003 al 2013 più di venti grandi società di effetti visivi sono fallite e tra loro c’è anche Digital Domain, che lavorò a Titanic. I dipendenti di queste società raramente sono iscritti a un sindacato, spesso lavorano troppo e senza grandi sicurezze lavorative. Molti di loro stanno scegliendo di spostarsi verso aree ritenute più remunerative, come la realtà virtuale e aumentata, la televisione o i videogiochi.

Paul Lambert, effettista premio Oscar per Blade Runner 2049, ha spiegato a Ebiri: «Quando in un film gli effetti speciali sono deludenti, a volte dovresti sapere la storia che c’è dietro. Magari hanno dovuto rigirare alcune scene due settimane prima dell’uscita, e lo hanno fatto male. E se una scena è girata male, non puoi farci granché». Il problema degli effetti visivi è che se il film è brutto – nel senso che è girato male, con una storia che non appassiona – è difficile che siano percepiti come belli. Al contrario, può capitare che in certi film gli effetti visivi siano così belli e fatti così bene da passare quasi inosservati. «L’unica CGI che notiamo è la CGI fatta male», dice il video qui sotto, esagerando un po’ un concetto che però è vero.

L’obiettivo massimo degli effetti visivi quindi è non farsi notare, far dimenticare la finzione del film allo spettatore e far passare per vero qualcosa che non lo è o non può esserlo. Non a caso, Ebiri spiega che la principale sfida degli effetti visivi dei prossimi anni sarà lavorare sugli attori. È infatti relativamente facile rendere credibile una battaglia spaziale (tanto nessuno ne ha mai vista una, se non al cinema), ma è molto complicato far sembrare umano qualcosa che non lo è.

Per ora ci siamo limitati a modificare, ringiovanire o invecchiare al computer attori reali: è successo col tentativo di ringiovanire Jeff Bridges in Tron: Legacy, con il viso di Brad Pitt nel Curioso caso di Benjamin Button o con alcuni personaggi di Star Wars. Gli addetti ai lavori dicono che succederà sempre di più nei prossimi anni: in Gemini Man, un film di Ang Lee in uscita nel 2019, Will Smith reciterà insieme a un giovane clone di se stesso. Ma comunque, Ebiri spiega che «nel breve periodo è meglio non aspettarsi un avatar fotorealistico di John F. Kennedy che reciti in un film biografico su di lui, o un giovane Harrison Ford che torni a interpretare una nuova storia di Indiana Jones». Rispetto alla possibilità di realizzare al computer immagini di persone indistinguibili dalle persone vere, l’effettista che collabora con Nolan ha detto: «Sembra sempre che manchino cinque anni per arrivarci. Sono sicuro che c’è una mia intervista di cinque anni fa in cui dico la stessa cosa».