Perché si parla di Radio Radicale
Il governo voleva ridurre i contributi statali e c'era il rischio che chiudesse: per ora è stata trovata una soluzione temporanea
Da circa una settimana circolano vari appelli riguardo una possibile chiusura di Radio Radicale, la radio del Partito Radicale che trasmette integralmente le sedute parlamentari. In breve, la legge di Bilancio approvata tra venerdì e sabato alla Camera dei Deputati – che sarà completamente riscritta nei prossimi giorni – prevedeva una riduzione dei fondi pubblici, l’unica fonte di introiti della radio, dato che non trasmette pubblicità. La questione è stata temporaneamente risolta con una proroga di alcuni dei fondi pubblici che Radio Radicale riceve, ma è una soluzione temporanea e in ogni caso non è detto che le cose siano finite qui, anche nel breve periodo.
Radio Radicale riceve annualmente due finanziamenti pubblici e il principale è il corrispettivo riconosciutole dal ministero dello Sviluppo economico in cambio della trasmissione delle sedute parlamentari, un servizio pubblico. Negli ultimi 11 anni questo corrispettivo è stato pari a 10 milioni di euro all’anno. Radio Radicale poi riceve ogni anno altri 4 milioni di euro destinati al sostegno dell’editoria sulla base della legge 230 del 7 agosto 1990: con questa legge lo stato finanzia le «imprese radiofoniche private» che trasmettono «quotidianamente propri programmi informativi su avvenimenti politici, religiosi, economici, sociali, sindacali o letterari per non meno di nove ore comprese tra le ore sette e le ore venti».
Inizialmente si era parlato di Radio Radicale in merito alla legge 230 del 1990 perché il deputato del Movimento 5 Stelle Adriano Varrica aveva presentato alla Commissione Bilancio un emendamento che, tra le altre cose, ne prevedeva l’abrogazione. L’emendamento era poi stato ritirato, ma senza che si capisse bene se e quando sarebbe stato riproposto. Il 3 dicembre sia il presidente della Commissione Bilancio, il leghista Claudio Borghi, che Vito Crimi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, avevano infatti detto che l’emendamento sarebbe stato riproposto al Senato e che era stato ritirato solo per fare un «approfondimento» su alcune questioni. Attualmente Radio Radicale è l’unica radio che beneficia della legge 230 del 1990.
Poi è diventato d’attualità anche l’altro contributo statale che riceve Radio Radicale, quello per la trasmissione delle sedute parlamentari. Il governo voleva dimezzare il corrispettivo annuale da 10 a 5 milioni di euro. Alla fine però, grazie a un emendamento presentato dal deputato di Forza Italia Renato Brunetta, è stata prorogata l’attuale convenzione, fino al prossimo 30 giugno: la radio riceverà dunque 5 milioni di euro, come previsto dall’attuale convenzione, per i prossimi sei mesi di servizio. Brunetta ha inoltre detto che prossimamente cercherà di far rinnovare la convenzione così com’era, quindi senza riduzioni.
Radio Radicale nacque nel 1975 per iniziativa di un gruppo di militanti del Partito Radicale in un appartamento di Roma. Era il periodo delle cosiddette “radio libere” nate in Italia dopo la liberalizzazione delle concessioni (e dell’abolizione del monopolio RAI) stabilita dalla Corte Costituzionale nel 1976. Da allora Radio Radicale trasmette integralmente eventi di attualità politica, senza tagli, selezioni o mediazioni giornalistiche: lo slogan della radio era (ed è ancora oggi) “conoscere per deliberare”. Anche se, come fa notare lo stesso sito di Radio Radicale, il servizio che offre non è sovrapponibile a quello di Gr Parlamento, dato che il canale Rai trasmette solo alcune sedute, e le pubblica sul suo sito. È però vero che oggi le sedute di Camera e Senato vengono trasmesse in streaming sui canali YouTube delle due camere.