Google ha perso 10 milioni di dollari perché qualcuno ha premuto il tasto sbagliato

Un dipendente ha diffuso per errore una pubblicità fasulla su un sacco di siti e c'è voluta quasi un'ora prima che qualcuno se ne accorgesse

(LLUIS GENE/AFP/Getty Images)
(LLUIS GENE/AFP/Getty Images)

Martedì 4 dicembre per circa tre quarti d’ora un grande quadrato giallo è apparso su migliaia di siti statunitensi e australiani, al posto dei classici annunci pubblicitari gestiti da Google. L’errore è stato causato da un dipendente dell’azienda, che stava partecipando a un corso sul funzionamento del sistema per la pubblicità online gestito da Google: ha premuto il tasto sbagliato, facendo finire online una finta campagna pubblicitaria di prova con un banner giallo. L’errore è stato confermato dall’azienda e, secondo il Financial Times, è costato circa 10 milioni di dollari.

Google è il più grande gestore di pubblicità online, con un sistema che mette in comunicazione gli inserzionisti (quelli che vogliono promuovere i loro prodotti) e i proprietari dei siti che mettono all’asta i loro spazi, dove compaiono poi i banner. Google trattiene per sé una percentuale per la fornitura del servizio ed è grazie a questa che ogni anno ricava svariati miliardi di dollari, facendo della pubblicità online la sua principale risorsa economica.

Controllando buona parte delle inserzioni che circolano su Internet, Google ha un enorme potere e raccoglie dati non solo sulle preferenze degli utenti, ma anche sul modo in cui sono utilizzati i siti, per quanto tempo e tramite quali dispositivi. Tutte queste informazioni sono riutilizzate per affinare i sistemi pubblicitari, in modo da rendere gli annunci più pertinenti e personalizzati. Il processo è estremamente automatizzato, ma richiede comunque un controllo e a volte un intervento umano.

Martedì scorso un gruppo di dipendenti di Google in California stava partecipando a un corso sui sistemi pubblicitari dell’azienda. Durante una simulazione sul modo in cui gli inserzionisti caricano i loro annunci pubblicitari, un dipendente si è spinto oltre le consegne della prova, piazzando un ordine per diffondere la sua finta pubblicità. L’errore non è stato notato immediatamente da chi stava tenendo il corso, né dal resto del personale che monitora il sistema, lasciando che il quadratone giallo si diffondesse su migliaia di siti nei tre quarti d’ora successivi all’invio dell’ordine.

La cifra dell’annuncio pubblicitario scelta dall’impiegato distratto ha contribuito alla sua rapida diffusione. L’ordine aveva una resa di 25 dollari ogni mille visualizzazioni, molto più alta dei classici 2-4 dollari per migliaia di visualizzazioni impostate nel sistema. Funzionando come un’asta, molti hanno aderito all’offerta, con la prospettiva di mostrare banner pubblicitari con una resa così alta per loro.

L’annuncio è stato diffuso attraverso AdX, uno dei sistemi più diffusi tra i tanti offerti da Google per la gestione della pubblicità, e che prevede un sistema di aste sulle inserzioni in tempo reale. Non è chiaro su quante migliaia di siti sia stato mostrato in quei 45 minuti il banner fasullo, ma non si può escludere che sia anche finito nelle pubblicità di alcune applicazioni. L’annuncio è inoltre finito sulle piattaforme pubblicitarie di altre aziende, che acquistano e rivendono pubblicità.

Oltre ad ammettere l’errore, Google ha detto che la finta campagna pubblicitaria è stata rimossa non appena è stato rilevato l’errore. La rimozione è però avvenuta quando ormai il banner era stato acquistato e mostrato su molti siti. Google ha quindi deciso di mantenere l’impegno economico che aveva assunto con l’ordine fasullo: pagherà quindi tutti i proprietari di siti che lo hanno mostrato. L’azienda non ha dato informazioni sulla cifra complessiva, ma si stima che l’errore possa costare circa 10 milioni di dollari. La cifra non sposterà molto nei bilanci di un’azienda come Alphabet, la holding che controlla Google: solo nell’ultimo trimestre ha prodotto ricavi per 33,7 miliardi di dollari con utili intorno ai 9,2 miliardi di dollari.