I numeri a caso della manovra

Non sarà qualche decimale a fare la differenza, scrive Roberto Perotti su Repubblica, in una legge di bilancio "frutto di dosi massicce di dilettantismo e ciarlataneria"

(ANSA/ANGELO CARCONI)
(ANSA/ANGELO CARCONI)

Il problema della legge di bilancio è che si basa su numeri che sembrano scelti a caso, scrive oggi su Repubblica l’economista Roberto Perotti: per questo, dice, è velleitario pensare che la correzione di qualche decimale possa cambiare qualcosa. La cifra stanziata per la riforma delle pensioni non è congrua con gli obiettivi del governo, quella per il cosiddetto “reddito di cittadinanza” è meno della metà di quella che servirebbe, mentre la somma che si prevede di incassare dalle dismissioni immobiliari – prevista in 600 milioni a settembre e diventata 18 miliardi poche settimane fa – è “semplicemente pazzesca”, “una presa in giro del buon senso”.

Prendiamo i due cavalli di battaglia della manovra: pensioni e reddito di cittadinanza. Il governo non ha mai chiarito quali delle tante promesse in materia pensionistica intende effettivamente attuare, ma una cosa è matematicamente certa: qualsiasi provvedimento avrà costi molto crescenti nel tempo, mentre il governo stanzia la stessa cifra di sette miliardi (peraltro drammaticamente insufficiente per qualsiasi promessa elettorale) per ognuno dei prossimi tre anni.

Ma tutte le simulazioni dell’Inps, l’unico ente che ha i dati necessari, mostrano che sotto ogni ipotesi plausibile di riforma la spesa pensionistica aggiuntiva aumenterà nel tempo, e di tanto: sia per il meccanismo delle finestre, sia perché, intuitivamente, nei primi anni la riforma aggiungerà nuovi pensionati ogni anno. Nascondersi dietro un dito, insultare Tito Boeri, ed affidarsi ai social e alla tv per intorbidare le acque non può cambiare i numeri.

Circolano almeno quattro stime indipendenti del costo del reddito di cittadinanza, nell’ipotesi di una integrazione al reddito di 780 euro per un single e a salire per nuclei più numerosi: del M5S stesso, dell’Istat, dell’Inps (quando ancora non era invisa al governo), e degli economisti Baldini e Daveri.

Tutte concordavano su un costo di 15 miliardi. Il governo non ha mai (ripeto: mai) rinnegato le soglie di integrazione, quindi la cifra rimane 15 miliardi, contro i 7 stanziati. Qualcuno ipotizza che il governo stia pensando di ridurre l’assegno a chi ha un’abitazione: ma i 15 miliardi scontano già questa ipotesi, altrimenti sarebbero 30. Per altri il governo ridurrebbe la platea dei beneficiari grazie alla clausola delle tre offerte di lavoro.

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