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  • Mercoledì 14 novembre 2018

Una soluzione ci sarebbe, per scoraggiare l’immigrazione irregolare

Il Parlamento Europeo vuole introdurre un visto speciale per i migranti che vogliono chiedere asilo, ma la strada per approvarlo è complicatissima

(JOAQUIN SANCHEZ/AFP/Getty Images)
(JOAQUIN SANCHEZ/AFP/Getty Images)

Le leggi europee che regolano il diritto di chi non è europeo di chiedere accoglienza in nome di una qualche forma di protezione internazionale hanno un buco, noto da tempo. Tutte le persone che mettono piede nel territorio dell’Unione Europea hanno diritto a chiedere asilo in quel paese, come prevede il Regolamento di Dublino: il problema è che non esistono vie legali per arrivare in Europa con l’intenzione esplicita di chiedere protezione internazionale. Per questo motivo i migranti partono con i barconi e percorrono rotte clandestine per entrare in Europa.

Il Parlamento Europeo vuole provare a tappare questo “buco” con una proposta di legge discussa oggi dalla seduta plenaria: ma la strada per l’approvazione definitiva è ancora molto lunga e complessa, come ha dimostrato il percorso della direttiva fino a qui e quello che l’attende nei prossimi mesi. Ci si è messo anche un piccolo incidente avvenuto oggi durante il voto finale, che ne ha impedito l’approvazione.

Concretamente, il Parlamento vuole chiedere alla Commissione di preparare una proposta di direttiva che preveda l’introduzione dei cosiddetti visti umanitari (il Parlamento Europeo non ha potere di iniziativa legislativa autonoma, se non in casi limitatissimi). La proposta del Parlamento prevede un meccanismo per cui chi ha intenzione di chiedere protezione in un certo paese dell’UE, prima di farlo possa rivolgersi all’ambasciata di quel paese e fare richiesta per entrare regolarmente nel suo territorio, col mezzo che preferisce. A quel punto il paese a cui appartiene l’ambasciata dovrebbe compiere quella che si chiama “analisi prima facie“, per capire se la richiesta è fondata, e poi sarebbe tenuto a dare una risposta entro 15 giorni.

La proposta è in ballo da almeno due anni, ma i parlamentari europei che si occupano di immigrazione sono riusciti a formularla solo negli ultimi mesi: due anni fa avevano provato a inserirla nella più ampia riforma europea dei visti, ma per semplicità avevano deciso di scorporarla e lavorare su una direttiva a parte. Il Partito Popolare Europeo, il principale partito di centrodestra, in cambio del suo sostegno aveva anche chiesto che la direttiva non fosse vincolante, e che sarebbe toccato ai singoli stati decidere se applicarla o meno. La direttiva uscita in questo formato era stata approvata a grande maggioranza il 10 ottobre dalla commissione per le libertà civili del Parlamento.

Nonostante sia uscita annacquata dalle richieste del PPE, la direttiva – qualora trovasse poi applicazione stato per stato – risolverebbe almeno due problemi. Per prima cosa, i richiedenti asilo si distribuirebbero spontaneamente fra i paesi europei più ricchi, che sono anche quelli con maggiori disponibilità e risorse per integrarli, sottraendo l’onere e i costi dell’accoglienza a Grecia, Italia e Spagna.

Chi desidera arrivare in Europa e ha molte possibilità di ottenere una forma di protezione – perché per esempio proviene da paesi in guerra – sarebbe inoltre incoraggiato a non imbarcarsi in viaggi costosi, illegali e potenzialmente mortali. «Si parla tanto di contrastare l’immigrazione illegale, eppure non si affronta la questione alla radice: l’unica alternativa alle morti in mare e nel deserto e all’arricchimento dei trafficanti», spiega Elly Schlein, una parlamentare europea di Possibile che si occupa da molti anni di immigrazione, «è fornire un’alternativa sicura e legale per l’accesso» al territorio europeo. «L’ipocrisia di fondo del nostro sistema d’asilo è che noi abbiamo un dovere sancito dal diritto internazionale di dare protezione, ma ci disinteressiamo di come le persone possano venire a esercitare questo diritto».

La proposta era arrivata alla plenaria del Parlamento Europeo, in corso in questi giorni a Strasburgo, forte del consenso dei partiti che detengono la maggioranza in Parlamento: cioè Partito Popolare Europeo e S&D, il principale gruppo di centrosinistra. Tutti davano per scontato che sarebbe stata approvata.

Per via di un piccolo incidente, però, la proposta è stata respinta. La votazione era l’ultima prevista per la giornata, intorno alle 13.40. Dopo alcuni voti preliminari, i parlamentari dovevano votare l’intera proposta con un voto segreto e nominale. Per questo tipo di voto serve una maggioranza assoluta di 375 voti sui 75o parlamentari che hanno diritto di voto. La proposta non è passata di poco: hanno votato sì 349 parlamentari, 26 in meno del quorum. La votazione è rimasta aperta per quaranta secondi, un lasso di tempo molto lungo per il Parlamento Europeo: il sospetto è che molti abbiano inserito la tessera che permette di votare e poi l’abbiano tolta prima della chiusura del voto per uscire dall’aula prima degli altri ed evitare il traffico che si forma tipicamente alla fine delle votazioni.

Il sospetto è fondato: mentre all’ultima votazione hanno partecipato in tutto 595 parlamentari, a quelle tenute poco prima avevano votato in 655, sessanta in più. Pochi secondi dopo il voto l’S&D ha fatto richiesta per ripeterlo immediatamente o nella giornata di giovedì. Il presidente del Parlamento, Antonio Tajani, si è rifiutato di ripetere il voto. Se ne parlerà domani mattina alla conferenza dei capigruppo del Parlamento. L’ipotesi più probabile è che il voto sia rinviato alla mini-plenaria di fine novembre.

Anche se sarà approvata la proposta del Parlamento, comunque, la strada per l’approvazione definitiva rimane molto complicata. La direttiva dovrà passare attraverso le varie fasi dell’iter legislativo, da cui potrebbe uscire radicalmente diversa: bisognerà capire, per esempio, quanta discrezionalità sarà lasciata ai singoli stati nella valutazione delle richieste. Oggi per esempio i parametri sono molto elastici: nel 2017 l’Ungheria, uno dei paesi più ostili nei confronti dei migranti, ha respinto il 70 per cento delle richieste di protezione internazionale, mentre paesi come l’Estonia, la Slovenia e la Norvegia hanno avuto un tasso di approvazione intorno al 60 per cento (l’Irlanda arriva addirittura all’80 per cento).

Il problema più importante, però, riguarda la tempistica. il Parlamento ha chiesto alla Commissione di formulare una risposta entro marzo 2019. Non ci saranno i tempi tecnici per approvarla entro la fine della legislatura, prevista per maggio: di conseguenza bisognerà capire cosa ne vorrà fare il prossimo Parlamento Europeo, che si insedierà nel giugno 2019.

«Mettere una scadenza a marzo 2019 vuole cogliere l’occasione per dare un segnale da parte della commissione LIBE [libertà civili] e del Parlamento», conclude Schlein: «Certo, consegniamo un’eredità alla prossima legislatura e non è dato sapere oggi quali saranno gli equilibri di forza dentro al Parlamento, ma è un tema su cui bisogna ragionare in modo trasversale».