Sulla manovra il governo tira dritto
La lettera del ministro Tria alla Commissione Europea non contiene concessioni sul deficit o sulle stime di crescita, ma solo un aumento della vendita del patrimonio pubblico
Martedì sera il Consiglio dei ministri ha approvato una revisione del “Documento Programmatico di Bilancio” (DPB), come aveva chiesto di fare la Commissione Europea dopo aver giudicato non in linea con le regole europee la precedente versione del documento, che contiene le spese che il governo stima per l’anno successivo e le entrate che si aspetta. La revisione, però, riguarda solo alcuni aspetti marginali del documento, che di fatto il governo ha confermato nei suoi aspetti più controversi e criticati: l’aumento del deficit (cioè l’indebitamento netto del paese) e le stime sulla crescita economica dell’Italia (che insieme hanno un effetto sul rapporto tra il debito pubblico e il PIL). In una lettera di spiegazioni inviata dal ministro dell’Economia Giovanni Tria alla Commissione (si può leggere qui) è contenuta solo una concessione alle richieste fatte: la decisione di aumentare la vendita del patrimonio pubblico per ridurre il debito.
La revisione del DPB e la lettera di Tria erano molto attesi, perché il governo era stato messo sotto grande pressione dalle autorità europee e dai mercati internazionali per rivedere in qualche modo la legge di bilancio, che viola in maniera plateale numerose regole di bilancio europee e soprattutto rischia di peggiorare la situazione economica del paese e la sua capacità di ottenere denaro in prestito sui mercati finanziari. La Commissione Europea, che è incaricata di far rispettare quelle regole, aveva fatto numerose contestazioni alla legge (che dovrà essere approvata dal Parlamento entro dicembre), la più grave delle quali è che non porterà a una riduzione dell’enorme debito pubblico italiano, ma anzi con ogni probabilità lo farà aumentare. Qualcuno si aspettava che il governo cedesse su qualche aspetto più centrale della legge (per esempio le stime di crescita, molto superiori alle altre che circolano), per tenere aperto un dialogo ed evitare una procedura di infrazione “per debito eccessivo”, ma il governo ha confermato la sua linea.
Il DPB rivisto conferma quindi il deficit al 2,4 per cento nel 2019 (il triplo di quanto era stato preventivato dal governo precedente) e conferma le stime di crescita del PIL che la Commissione aveva giudicato esagerate (1,5 per cento nel 2019). Per rispondere alla preoccupazione della Commissione che il deficit nel 2019 possa arrivare al 2,9 per cento, il governo ha scritto di considerare la soglia del 2,4 per cento un «limite invalicabile» e di essere pronto ad adottare le necessarie «iniziative correttive» nel caso il limite dovesse essere superato. Non è chiaro quali potrebbero essere queste misure correttive.
La novità introdotta dal governo nel DPB è la decisione di aumentare la vendita del patrimonio pubblico italiano, in modo da generare ricavi e ridurre il debito pubblico. Il governo dice che alzerà all’1 per cento del PIL la quota di vendita del patrimonio pubblico (Repubblica parla quindi di circa 18 miliardi di euro di ricavi previsti) e che questo produrrà quindi una riduzione del rapporto tra debito pubblico e PIL (perché il debito diminuirebbe di quei 18 miliardi, sostanzialmente). Secondo il governo, inoltre, la riduzione del rapporto debito/PIL sarà ancora più grande perché questa misura permetterà di ridurre la vendita di titoli di stato (il modo con cui i governi trovano i soldi che servono per coprire il deficit). «La discesa del rapporto debito/PIL», dice la lettera di Tria, «sarebbe ancora più marcata e pari a 0,3 punti quest’anno, 1,7 punti nel 2019, 1,9 nel 2020 e 1,4 nel 2021. Il rapporto scenderebbe dal 131,2% del 2017 al 126% nel 2021».
La lettera, infine, insiste sul fatto che nei prossimi tre anni l’Italia dovrà sostenere spese straordinarie per gli interventi per contrastare il dissesto idrogeologico e per la messa in sicurezza di strade e ponti (si fa riferimento ai grossi danni del maltempo delle ultime settimane e al crollo del ponte Morandi di Genova). Queste spese, dice il governo, ammonteranno a circa lo 0,2 per cento del PIL, per il quale nella lettera viene chiesta “l’applicazione della flessibilità per eventi eccezionali”. In sostanza, il governo chiede che all’Italia venga concesso di spendere di più a fronte di una situazione di eccezionale gravità.