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  • Sabato 3 novembre 2018

La Nuova Caledonia decide se chiedere l’indipendenza dalla Francia

Nella collettività francese d'oltremare a est dell'Australia si vota con un referendum se staccarsi o meno dalla Francia: le cose da sapere

Attivisti filo-indipendentisti a Numea, 30 ottobre 2018 (THEO ROUBY/AFP/Getty Images)
Attivisti filo-indipendentisti a Numea, 30 ottobre 2018 (THEO ROUBY/AFP/Getty Images)

In Nuova Caledonia, una collettività francese d’oltremare che si trova a est dell’Australia, si sta tenendo un referendum sull’indipendenza dalla Francia (in Nuova Caledonia sono 10 ore avanti rispetto all’Italia: si è iniziato a votare nel nostro sabato sera). La scheda che gli elettori si sono trovati nei seggi dice: «Vuoi che la Nuova Caledonia raggiunga la piena sovranità e diventi indipendente?». Se dovesse vincere il sì, la Nuova Caledonia diventerebbe lo stato più giovane al mondo sette anni dopo la nascita del Sud Sudan; se dovesse vincere il no – esito più probabile, stando agli ultimi sondaggi – rimarrà tutto come ora.

La Nuova Caledonia è un arcipelago che fa parte della Melanesia, una delle regioni che compongono l’Oceania, abitato da circa 260mila persone.

Per diverso tempo, nel corso del Diciannovesimo secolo, la Nuova Caledonia fu un territorio conteso tra Regno Unito e Francia, prima di diventare possedimento francese nel 1853. Circa dieci anni dopo cominciò a essere usata come colonia penale e mantenne questa funzione per quattro decenni. Oggi la società neocaledone continua a essere divisa tra i kanaki, cioè gli indigeni; le persone di discendenza europea (i caldoche, discendenti di coloni francesi che si trasferirono in Nuova Caledonia nei primi anni della colonizzazione e detenuti nella colonia penale poi liberati, e i francesi di recente migrazione provenienti dalla Francia metropolitana); popolazioni polinesiane e del Sud est asiatico; e piccole comunità di “algerini del Pacifico” (discendenti di uomini e donne deportati dalle autorità francesi nei campi di lavoro della Nuova Caledonia nella seconda metà dell’Ottocento).

La Nuova Caledonia ha uno dei più alti redditi medi pro-capite della regione e la sua economia è basata per lo più sull’estrazione di nichel (un quarto delle riserve di nichel del mondo si trova in Nuova Caledonia). La principale isola dell’arcipelago, Grande Terre, è inoltre circondata da una massiccia barriera corallina.

Di un referendum per l’indipendenza della Nuova Caledonia si parla da quasi 30 anni. Nel Novecento cominciò a svilupparsi un movimento indipendentista che portò all’organizzazione di proteste anche violente: era guidato dal gruppo Front de Libération National Kanak Socialist (FLNKS) di Jean Marie Tjibaou, che chiedeva la creazione di uno stato chiamato Kanaky. Nel 1987 fu tenuto un referendum sull’indipendenza dalla Francia: vinsero a grandissima maggioranza i contrari (98,3 per cento), ma molti gruppi indipendentisti boicottarono il voto. Una specie di riconciliazione fu raggiunta nel 1988 con gli accordi di Matignon, firmati tra i leader delle due fazioni neocaledoni e il governo francese (Matignon era il nome della residenza del primo ministro francese). Tra le altre cose, gli accordi stabilivano la data per il referendum sull’indipendenza dalla Francia, che si sarebbe dovuto tenere dieci anni dopo. Nel 1998, tuttavia, la decisione fu rimandata. Si firmarono altri accordi – gli Accordi di Numea, dal nome della principale città della Nuova Caledonia – con cui si decise che il referendum si sarebbe tenuto entro la fine del 2018.

Ancora oggi le posizioni sull’indipendenza seguono per lo più divisioni etniche. I kanaki, circa il 39 per cento della popolazione, sono favorevoli a staccarsi dalla Francia, mentre i neocaledoni non indigeni sono contrari (gli europei sono il 27 per cento). Il presidente francese Emmanuel Macron, che ha autorizzato il referendum, ha detto di sperare che la Nuova Caledonia rimanga parte della Francia, ma ha aggiunto che il suo governo non prenderà posizione nel referendum. Secondo gli ultimi sondaggi, i contrari all’indipendenza dovrebbero essere tra il 69 e il 75 per cento del totale degli elettori.