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  • Sabato 20 ottobre 2018

L’Arabia Saudita ha ammesso che Khashoggi fu ucciso nel consolato a Istanbul

Ma sostiene sia successo durante una rissa, e ha arrestato e licenziato i presunti responsabili discolpando completamente Mohammed bin Salman

Manifestanti chiedono giustizia per Jamal Khashoggi a Istanbul. (OZAN KOSE/AFP/Getty Images)
Manifestanti chiedono giustizia per Jamal Khashoggi a Istanbul. (OZAN KOSE/AFP/Getty Images)

L’Arabia Saudita ha ammesso che il giornalista e dissidente Jamal Khashoggi fu ucciso dentro al consolato saudita a Istanbul, ma ha fornito una propria versione dei fatti che contraddice tutti gli indizi a disposizione e che non è stata considerata credibile da praticamente nessun esperto. Khashoggi, sostiene l’Arabia Saudita, sarebbe stato ucciso durante una rissa, senza che ci fosse alcun tipo di ordine da parte del principe ereditario Mohammed bin Salman. Le prove diffuse dal governo turco e le inchieste dei giornali internazionali dicono invece un’altra cosa: Khoshaggi è stato con ogni probabilità ucciso brutalmente da una serie di agenti e funzionari direttamente collegati alla monarchia saudita.

L’Arabia Saudita ha arrestato 18 persone, mentre sono stati licenziati il vice capo dell’intelligence, il generale Ahmed al Assiri, e uno stretto collaboratore di Mohammed bin Salman, Saud al Qahtani. Un funzionario saudita, parlando con Reuters, ha sostenuto che Mohammed bin Salman non sapesse niente dell’operazione.

La versione della famiglia reale saudita, considerata da tutti gli esperti un tentativo di proteggere Mohammed bin Salman, è che al Assiri avrebbe organizzato l’operazione e al Qahtani ne avrebbe permesso l’esecuzione. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha detto di considerare «credibile» la ricostruzione fornita da Mohammed bin Salman, uno stretto alleato della sua amministrazione, aggiungendo che insieme agli arresti si stanno facendo dei «buoni primi passi».

L’omicidio di Khashoggi, un critico del governo saudita che scriveva regolarmente sul Washington Post, è diventato nelle ultime due settimane un caso diplomatico internazionale, ed è stato il peggiore scandalo che ha coinvolto l’Arabia Saudita negli ultimi anni. Fin da subito si era saputo che il giornalista era stato ucciso all’interno del consolato, per via delle informazioni diffuse dal governo e dai giornali turchi, che dicono di disporre di registrazioni di quello che è accaduto all’interno del consolato. Le registrazioni, chieste anche dal governo americano, non sono ancora state diffuse. Per questo, e perché il corpo di Khashoggi non è ancora stato ritrovato, del caso si era parlato a lungo come di una “scomparsa”, anche se tutti gli indizi facevano pensare a un omicidio. L’Arabia Saudita aveva cambiato più volte versione, sostenendo prima che Khashoggi fosse uscito dal consolato, e poi avevano iniziato a suggerire che il suo omicidio potesse essere opera di agenti che avevano agito autonomamente.

Agenti di polizia turchi davanti al consolato saudita a Istanbul. (Chris McGrath/Getty Images)

Grazie alle inchieste dei giornali americani si era scoperto che alcuni degli uomini che si suppone abbiano partecipato all’omicidio erano stretti collaboratori di Mohammed bin Salman, un monarca autoritario che sta provando a ripulire e rilanciare l’immagine dell’Arabia Saudita senza però cambiare significativamente la grave situazione di violazione dei diritti e di privazione delle libertà nel paese. Vista l’importanza strategica dell’alleanza con l’Arabia Saudita, fondamentale nella lotta al terrorismo e nell’isolamento dell’Iran, e grande acquirente di armamenti, Trump era stato molto cauto nell’incolpare dell’omicidio Mohammed bin Salman, come invece fatto estesamente dalla stampa internazionale.

Trump ha detto di considerare qualche forma di sanzione, ma di non volere cancellare una fornitura prevista di armi per 110 miliardi di dollari. Diversi parlamentari Democratici e Repubblicani hanno chiesto che la vendita di armi ai sauditi sia invece sospesa.

Un funzionario saudita vicino alla famiglia reale, parlando in condizione di anonimato, ha spiegato al New York Times alcuni dettagli sulla versione ufficiale del governo. L’ordine generale fornito da Mohammed bin Salman era quello di rimpatriare i dissidenti che vivevano all’estero. Saputo che Khashoggi sarebbe andato al consolato il 2 ottobre, al Assiri avrebbe ordinato a 15 uomini – tra cui c’era Maher Abdulaziz Mutrib, che spesso era stato guardia del corpo di Mohammed bin Salman nei suoi viaggi all’estero – di intercettarlo. L’ordine di rimpatriarlo fu però frainteso, e una volta al consolato, per rispondere al tentativo di fuga di Khashoggi, gli uomini lo avrebbero bloccato e strangolato. Il governo saudita dice che il corpo a quel punto sarebbe stato preso in gestione da un collaboratore locale.

Un uomo tiene i giornalisti fuori dal consolato saudita a Istanbul. (Chris McGrath/Getty Images)

La versione ufficiale saudita potrebbe essere smentita dalle registrazioni in possesso dal governo turco, che secondo le informazioni fatte trapelare raccontavano una storia molto diversa. A quanto sappiamo, Khashoggi sarebbe stato torturato e ucciso in una stanzetta del consolato, e il suo corpo smembrato per essere trasportato più facilmente fuori dall’edificio. Da giorni le autorità turche cercano il corpo di Khashoggi in un’area boschiva fuori Istanbul.

Gli esperti considerano quello dell’Arabia Saudita un tentativo di discolparsi trovando un capro espiatorio, ma non è ancora chiaro quale sarà la reazione degli Stati Uniti. L’amministrazione Trump ha investito molto sull’alleanza con l’Arabia Saudita, ed è stata riluttante a prendere le distanze da Mohammed bin Salman, il cui piano di riforme portato avanti negli ultimi tre anni era stato inizialmente lodato da molti osservatori internazionali. Da allora, però, l’Arabia Saudita ha dimostrato di aver mantenuto, e anzi peggiorato, la gestione autoritaria e violenta del potere.