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  • Martedì 9 ottobre 2018

Sette canzoni per i 70 anni di Jackson Browne

Non vorrete certo essere quelli che se lo ricordano solo per via di quella cover di Ron

(Giulio Marcocchi/Getty Images for Artemis Records)
(Giulio Marcocchi/Getty Images for Artemis Records)

Jackson Browne: un uomo che è stato la star del cantautorato folk-rock californiano senza mai scalare le classifiche internazionali, ha fatto crescere tutta la generazione dei baby-boomers americani, non ha mai mancato un appuntamento politico liberal, è stato fidanzato con Daryl Hannah. E sempre mantenendo la stessa pettinatura, solo più diradata.
È nato in Germania, a Heidelberg, il 9 ottobre del 1948 e oggi compie 70 anni.
Una buona scusa per riascoltare sette delle sue canzoni che il peraltro direttore Luca Sofri aveva scelto per il libro Playlist, la musica è cambiata.

For everyman

(For everyman, 1973)
Uno dei primi versi più canticchiabili della storia del rock: “everybody I talk to is ready to leave…”. In tempi in cui molti suoi amici – soprattutto David Crosby, che poi canta anche qui – sostengono la necessità per minoranze elette di fuggire dal mondo corrotto e incorreggibile, Jackson Browne tiene duro e continua a sperare che ce la possiamo cavare tutti quanti. Fate quel che volete, dice, ma abbiate pazienza per uno che sta lì a desiderare che i sogni diventino veri.

Late for the sky

(Late for the sky, 1974)
Deprimentissima e meravigliosa canzone di fallimento di coppia. «Per un quarto di secolo avevo ignorato il passionale e profondo assolo di chitarra di “Late for the sky” perché ero intollerante, gretto e ottuso come tutti i razzisti. Ora mi sento ben più combattivo per Jackson Browne di quanto sia mai stato per i Sex Pistols. Non vi piace “Late for the sky”? Beh, ‘fanculo, tanto non me ne frega un cazzo» (Nick Hornby, 31 canzoni, Guanda).

For a dancer

(Late for the sky, 1974)
Sulla vita, sulla morte, e su quel che sta nel mezzo. “Da qualche parte tra il momento in cui arrivi e il momento in cui parti sta forse la ragione per cui esisti. Ma non lo saprai mai”.

Before the deluge
(Late for the sky, 1974)
“Some of them were dreamers”. Un debole linguistico per i sogni, e una canzone protoecologista.

The pretender
(The pretender, 1976)
La canzone della resa e della disillusione. Il protagonista rinuncia ai sogni e speranze di gioventù per rassegnarsi alla ripetitività di una vita adulta e ordinaria. “Dite una preghiera per l’impostore, che partì giovane e forte e poi si arrese.” In primavera si era suicidata Phyllis, la moglie di Browne.

The road

(Running on empty, 1977)
“C’è solo la strada” diceva Gaber. Scelta di vita e metafora, luogo di tutto, percorso, pensieri e concerti, per Jackson Browne. Qui l’esperienza del tour è più disincantata e stanca rispetto all’eccitazione di “The load out”. Divenuta celebre da noi per la traduzione di Ron (“Una città per cantare”), la versione originale ha inevitabilmente qualcosa di più.

The load out/Stay

(Running on empty, 1977)
Duetto perfetto, che chiude e riassume la raccolta di registrazioni live che si chiamò Running on empty. Prima viene un fantastico racconto di vita in tournée (“dobbiamo guidare tutta la notte per uno show a Chicago, o a Detroit, chi si ricorda…”), e poi senza soluzione di continuità si sfocia nella cover di una deliziosa canzonetta degli anni Sessanta scritta da Maurice Williams, cantautore soul, a soli 13 anni. In cui Williams insisteva perché la sua fidanzatina rimanesse ancora un po’ con lui: Browne invece rivolge la preghiera al suo pubblico, parafrasando i passaggi opportuni. Con divertissements vocali e un classicissimo giro di chitarra (quello di “La gatta”) a mandare tutti a casa.