Cosa siamo diventati

Mauro Covacich riflette sul Corriere su cosa sono diventate le persone che fino a poco fa gli sembravano essere uguali a lui, "il popolo"

(LaPresse/Nicolò Campo)
(LaPresse/Nicolò Campo)

Lo scrittore Mauro Covacich ha scritto per il Corriere della Sera di sabato una estesa riflessione su quello che gli pare essere il cambiamento di molte persone a cui si sentiva simile, raccontando episodi e aneddoti recenti.

Chi sono gli altri? Come sono diventati così numerosi? Ma forse erano già tanti e io non l’avevo notato. Andavamo a farci la margherita nelle stesse pizzerie, giravamo per gli stessi centri commerciali, guardavamo le stesse partite, cantavamo le stesse canzoni. Come ho potuto non accorgermi che erano diversi? Tutti insieme eravamo la gente. Poi, d’un tratto gli altri sono cresciuti e, riversandosi nell’ampolla opposta della clessidra, mi hanno lasciato indietro, hanno trasformato me nel diverso, il fighetto minoritario, il granellino attaccato al vetro. Così ora la gente sta di là, anche se non si chiama più così, ora si chiama popolo. Come sono riusciti gli altri a diventare il popolo?

Guardo dalla finestra i militanti di CasaPound arrivare alla festa raduno. Sono tantissimi, riempiono il quartiere. Ci sono anche magliette cattive e teste rasate da periferia disagiata, ma la maggioranza parcheggia buone macchine, compatte tedesche e familiari tirate a lucido da cui escono coppie dall’aria tranquilla, alcune con prole al seguito, forse ignare della gragnuola di decibel che sta per abbattersi sui timpani dei loro bambini, forse invece ansiose di trasmettere il verbo. Canteranno e salteranno per tutta la sera su pezzi urlati a squarciagola da gruppi vestiti da Thor e inneggianti il Valhalla, i cui front-man ringrazieranno con una voce fattasi di colpo rassicurante, quasi cortese, alla fine di ogni brano.

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