Gli astici vanno e vengono, col riscaldamento globale
Per vent'anni se ne sono pescati molti più del solito, nelle acque sempre più calde del golfo del Maine: ora le cose stanno cambiando
A partire dagli anni Novanta, il riscaldamento globale ha portato grandi benefici ai pescatori di astici del golfo del Maine, una delle aree dove la produzione dei crostacei è più sviluppata. Per le stesse ragioni, o meglio per l’evolversi dello stesso fenomeno, il business degli astici sembra però destinato ad andare incontro a una grave crisi, che potrà essere evitata forse solo con le efficaci misure di conservazione adottate dagli stessi pescatori da molti decenni.
Gli astici sono tra i crostacei più prelibati al mondo, e spesso vengono confusi con le aragoste, altrettanto pregiate: la differenza più evidente sono le chele, molto grandi negli astici e assenti nelle aragoste. I primi sono pescati principalmente nel Nord dell’Atlantico, le seconde nel Mediterraneo. In entrambi i casi, il metodo più utilizzato è quello delle trappole: piccole casse di legno e rete che vengono depositate sui fondali e nelle quali gli astici o le aragoste entrano volontariamente perché attratti da un esca, e dalle quali non riescono a uscire. Fino all’Ottocento erano pescate in grandissima quantità, e considerate un cibo popolare: le cose cambiarono quando gli astici cominciarono a scarseggiare, e contemporaneamente si scoprirono le loro possibili applicazioni nell’alta cucina.
Il Maine è una delle aree del mondo in cui la pesca degli astici è più ricca: da qui arriva l’80 per cento degli astici statunitensi, per un’industria che vale oltre mezzo miliardo di dollari all’anno e dà lavoro a migliaia di persone. Le acque nel golfo del Maine sono sempre state particolarmente adatte per la vita degli astici, perché erano rese più fredde della media delle coste atlantiche dalla corrente del Labrador.
Negli ultimi due decenni le temperature delle acque del golfo del Maine sono aumentate più velocemente di quelle del 99 per cento del resto degli oceani, raggiungendo condizioni che si sono rivelate ottimali per la proliferazione degli astici. Le acque più calde, infatti, sono più adatte per le femmine che portano con sé le uova, e aiutano i piccoli astici a sopravvivere nelle prime fasi del proprio ciclo vitale. Negli ultimi 30 anni, la quantità di astici pescati è aumentata quasi di sette volte: è passata da circa 9mila tonnellate all’anno del 1988 alle oltre 60mila del 2016.
Da allora, però, ha iniziato a scendere, e nel 2017 ne sono state pescate meno di 50mila tonnellate. «Il riscaldamento globale ci ha molto aiutati negli ultimi vent’anni», ha spiegato al New York Times Dave Cousens, ex presidente della Maine Lobstermen’s Association. «Ma il riscaldamento globale ci ucciderà, probabilmente nei prossimi trenta». Le acque stanno infatti raggiungendo la soglia dei 21 gradi, oltre la quale per gli astici è impossibile vivere: «il loro organismo comincia a spegnersi, un organo per volta», ha spiegato Richard A. Wahle, docente alla Scuola di Scienze marine della University of Maine. Uno studio della National Oceanic and Atmospheric Administration prevede che nei prossimi 80 anni le acque del golfo del Maine potranno aumentare di 3,7 gradi, a un ritmo doppio rispetto a quello registrato negli ultimi 30 anni.
Cousens dice che negli anni Novanta un pescatore poteva pescare oltre 35 tonnellate di astici all’anno: soltanto l’anno scorso, i suoi guadagni sono diminuiti del 30 per cento. «Abbiamo superato il punto in cui il riscaldamento globale ci aiutava». Entro il 2050, il riscaldamento delle acque potrebbe ridurre fino al 60 per cento la popolazione di astici nel golfo del Maine, secondo l’Istituto di ricerca marina locale. Già adesso, l’aumento delle temperature ha provocato uno spostamento verso nord est delle zone migliori per la riproduzione degli astici, verso le acque canadesi.
La pesca degli astici non è stata l’unica coinvolta: anche la produttività dell’allevamento di vongole del Maine è diminuita, in parte per la diffusione di un granchio verde attratto dalle temperature delle acque, molto invasivo e ghiotto di molluschi.
Cousens dice di essere preoccupato soprattutto per i giovani pescatori, che non hanno mai conosciuto i periodi di magra e che negli anni del boom hanno comprato barche e attrezzature all’avanguardia, indebitandosi. Come suo figlio Samuel, di 24 anni, che ha 200mila dollari di debiti contratti per comprarsi la barca. I giovani sono costretti a fare battute di pesca molto più lunghe e più al largo, dove il fondale è più profondo e le acque più fredde.
Il riscaldamento globale comunque non è stato l’unico fattore ad aiutare la pesca di astici nei Maine: hanno contribuito anche la pesca massiccia dei suoi predatori, come i merluzzi, ma soprattutto alcune iniziative dell’uomo. Fin dalla fine del 19esimo secolo, infatti, i pescatori hanno adottato la pratica di intagliare un’incisione a forma di “V” nella coda degli esemplari con le uova al seguito, per poi ributtarli in mare. In questo modo, è stato possibile identificare parte delle femmine fertili e fare sì che chi le avesse pescate in seguito le ributtasse a sua volta in mare.
Una femmina adulta può partorire fino a 100mila uova, soltanto l’1 per cento delle quali sopravvive. Questa pratica è ora obbligatoria, insieme a quella di ributtare in mare gli esemplari più piccoli di 8,2 centimetri (i più giovani) e superiori ai 12,7 (quelli più attivi nella riproduzione), dagli occhi all’attaccatura della coda. James M. Acheson, un professore di antropologia dell’University of Maine, ha studiato l’atteggiamento dei pescatori locali riguardo alla salvaguardia degli astici, scoprendo che sono sempre stati molto favorevoli all’attuazione di queste pratiche, consapevoli che fossero nel loro interesse.
Rimane il problema che un’industria multi-milionaria come quella della pesca di astici non sia sostenuta da un’adeguata comprensione scientifica del fenomeno, ha spiegato al New York Times Curtis Brown, un pescatore e biologo marino di Ready Seafood, un grande esportatore di astici. Ha spiegato che dobbiamo ancora capire del tutto le conseguenze del riscaldamento delle acque sugli astici, e soprattutto sulle prime fasi del loro ciclo vitale.