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  • Mercoledì 6 giugno 2018

C’è una importante sentenza europea sui matrimoni gay

I diritti dei coniugi sul ricongiungimento valgono anche nei paesi della UE che non riconoscono i matrimoni gay, ha stabilito la Corte di Giustizia

Adrian Coman fuori dalla sede della Corte costituzionale della Romania, Bucarest, 27 ottobre 2016 (STRINGER/AFP/Getty Images)
Adrian Coman fuori dalla sede della Corte costituzionale della Romania, Bucarest, 27 ottobre 2016 (STRINGER/AFP/Getty Images)

La Corte di giustizia dell’Unione Europea, con una sentenza definita storica, ha affermato che la libera circolazione delle persone nei 28 paesi dell’Unione garantisce il diritto dei coniugi – a prescindere dall’orientamento sessuale – a vivere e a lavorare nello stesso paese anche se quel paese non riconosce il matrimonio egualitario.

Oggi nell’Unione Europea tredici paesi consentono il matrimonio tra persone dello stesso sesso, mentre altri nove hanno legalizzato le unioni civili o istituti simili; Bulgaria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia non permettono invece né l’uno né le altre. In una dichiarazione emessa insieme al verdetto, la Corte che ha sede in Lussemburgo ha fatto sapere che questi paesi restano liberi di non legalizzare le unioni omosessuali, aggiungendo però che «non possono ostacolare la libertà di residenza di un cittadino dell’Unione Europea rifiutando di concedere al suo coniuge dello stesso sesso, cittadino di un paese non UE, un diritto derivato di residenza sul loro territorio».

Alla sentenza si è arrivati dopo il ricorso presentato da un cittadino romeno e un cittadino statunitense, Relu Adrian Coman e Robert Clabourn Hamilton, che si erano sposati in Belgio nel 2010. La Romania aveva rifiutato a Robert Clabourn Hamilton il diritto di soggiornare nel paese, dato che la Romania non riconosce i matrimoni tra persone dello stesso sesso. La coppia aveva dunque presentato un ricorso nel 2013 per l’esistenza di una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale nell’esercizio del diritto di libera circolazione nell’Unione.

La Corte di giustizia dell’Unione Europea aveva accolto il ricorso nel novembre del 2016, dopo che la Corte costituzionale della Romania aveva richiesto un’interpretazione del diritto dell’Unione Europea: la Corte di giustizia ha proprio il compito di garantire l’osservanza del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati fondativi dell’Unione. La Corte ha chiarito che la nozione di “coniuge” nelle leggi dell’Unione Europea sulla libertà di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari comprende anche i coniugi dello stesso sesso. L’avvocata della coppia, Iustina Ionescu, ha detto che il caso riguarda «non solo il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma ciò che l’Unione Europea rappresenta: dignità, uguaglianza, rispetto delle libertà fondamentali per tutti noi».

La sentenza è arrivata in un momento importante per la Romania, dove nei prossimi mesi si dovrebbe svolgere un referendum per cambiare la definizione di matrimonio presente nella Costituzione per specificare che è solo un’unione tra un uomo e una donna: l’articolo 48 oggi dice che “la famiglia è fondata sul matrimonio libero e consensuale tra gli sposi”, il referendum vorrebbe precisare “tra uomo e donna”. Il referendum, punto di arrivo di una petizione del 2016 che ha raccolto tre milioni di firme voluta da una coalizione di associazioni conservatrici nata nel 2015 per tutelare la cosiddetta famiglia tradizionale e sostenuta dalla chiesa cattolica e da quella ortodossa, renderebbe più difficile legalizzare in futuro i matrimoni tra persone dello stesso sesso.