L’uomo più potente della pubblicità mondiale non lo è più

La sua azienda ha costretto Martin Sorrell a lasciare, ma ora non sa come sostituirlo, ammesso che sia sostituibile

Martin Sorrell (FREDERIC J. BROWN/AFP/Getty Images)
Martin Sorrell (FREDERIC J. BROWN/AFP/Getty Images)

Da circa un mese Martin Sorrell, il più ricco e potente pubblicitario del mondo, non è più a capo di WPP plc, una delle più importanti multinazionali di pubblicità e marketing. Le sue dimissioni, seguite a un’indagine interna sul comportamento mantenuto negli ultimi anni in azienda, hanno portato a grandi incertezze sul futuro di WPP e del settore in generale, per alcuni osservatori paragonabili persino a quelle affrontate una decina di anni fa con la crisi finanziaria globale.

Sorrell si è dimesso senza che qualcuno di altrettanto carismatico e influente prendesse il suo posto, e lasciando che in poche settimane emergessero profondi contrasti tra le principali società controllate da WPP, tra ipotesi di svendite di intere divisioni e di acquisizioni più o meno ostili da parte di altre grandi società di pubblicità e di consulenza. Le nuove incertezze arrivano in un momento delicato per il mercato della pubblicità e riguardano anche i gruppi editoriali, grandi e piccoli, che basano buona parte del loro modello economico sui ricavi provenienti dalla pubblicità. Al centro di questa storia – ora da sconfitto (almeno all’apparenza) – c’è Martin Sorrell, assieme alla sua formidabile e controversa storia professionale.

La costruzione di un impero
Sorrell è nato a Londra nel 1945 ed è cresciuto in una famiglia piuttosto ordinaria e medio-borghese, mantenuta principalmente dall’attività del padre, un venditore di elettrodomestici. Dopo gli studi in economia presso il Christ’s College di Cambdrige, Sorrell si trasferì negli Stati Uniti dove ottenne un master in business administration (MBA) presso l’Università di Harvard, quando aveva 23 anni. Sorrell iniziò a farsi conoscere mentre faceva carriera all’interno dell’agenzia pubblicitaria britannica Saatchi & Saatchi, di cui divenne direttore finanziario nel 1977. Già allora veniva raccontato molto più interessato alle prestazioni finanziarie che al processo creativo e di scelta delle campagne pubblicitarie da gestire.

Sorrell era convinto che Saatchi dovesse espandersi il più possibile e fu tra i fautori di alcune delle sue più importanti acquisizioni. Divenne maestro nella tecnica dell’”earn-out”, che permette di tutelare il compratore facendogli pagare solo una porzione del prezzo di acquisto (parte fissa), lasciando il saldo a una fase successiva in modo da commisurarlo alle prestazioni ottenute dall’azienda acquisita in un periodo prestabilito (parte variabile).

Determinato a costruire un’azienda su cui potesse esercitare il pieno controllo, nel 1985 Sorrell si mise alla ricerca di una società già avviata da trasformare nella sua prima impresa di marketing. Con un prestito ottenuto dando in garanzia le sue azioni di Saatchi, acquisì una quota di Wire and Plastic Products, un produttore di cestelli di metallo del Kent. L’anno dopo ne era già diventato CEO, ne aveva cambiato il nome in WPP e aveva iniziato a costruire un piccolo gruppo di agenzie pubblicitarie: ne avrebbe acquisite una ventina in appena 3 anni. La crescita di WPP fu repentina e attirò l’attenzione degli investitori già nel 1987, quando Sorrell fece un’offerta non richiesta da 566 milioni di dollari per acquisire J. Walter Thompson, storica agenzia pubblicitaria statunitense, famosa per la sua attività pionieristica nel settore già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.

Due anni dopo, un’altra famosa agenzia, Ogilvy and Mather, affrontò la stessa sorte con un’acquisizione non richiesta da 825 milioni di dollari. David Mackenzie Ogilvy – il fondatore dell’agenzia considerato il padre della moderna pubblicità – non la prese affatto bene, tanto da definire Sorrell un “odioso pezzetto di merda” (“odious little shit”); il Financial Times ne diede una versione edulcorata riportando: “odioso piccolo cretino” (“odious little jerk”). Divertito dall’appellativo letto sul giornale e dall’ulteriore fama che gli aveva dato, nel primo rapporto annuale dopo l’acquisizione, Sorrell si fece indicare con l’acronimo OLJ.

I primi 15 anni di WPP furono frenetici, con ricorrenti operazioni finanziarie che avrebbero via via portato Sorrell a controllare i più grandi operatori di pubblicità del mondo. Sorrell si spostava di continuo da un continente all’altro per partecipare a riunioni, coltivare amicizie vantaggiose e rassicurare i concorrenti, preoccupati che volesse fare loro le scarpe. Si racconta che una volta volò da Londra a New York in giornata, per incontrare un collega durante un’importante acquisizione che vedeva coinvolta P&G, la grande multinazionale che produce praticamente qualsiasi bene di consumo, dai cosmetici ai prodotti per la casa.

Cause e divorzi
Se in 33 anni WPP è potuta crescere così tanto, fino a comprendere oggi quasi 200mila impiegati in tutto il mondo attraverso 400 diverse agenzie di marketing e comunicazione, il merito è sicuramente di Sorrell e di come ha gestito l’azienda: con spregiudicatezza, modi di fare per molti dispotici, e una dedizione al lavoro che ha quasi azzerato la sua vita privata. Nel 2007 fece causa contro due imprenditori italiani coinvolti nei suoi affari, Marco Benatti e Marco Tinelli, accusandoli di averlo definito un “nano matto” e di avere definito “ninfomane schizoide” una collega con cui aveva avuto una relazione. Finì con un accordo e una transazione finanziaria, e naturalmente con molti articoli di giornale, dove la storia fu trattata con cautele più o meno evidenti a seconda degli interessi degli editori, che devono parte del loro fatturato a WPP.

Con Benatti, in realtà, Sorrell è ancora in causa, in uno dei contenziosi legali più rilevanti degli ultimi anni nel mondo della pubblicità: l’imprenditore italiano è fondatore di Fullsix, società in cui WPP ha una partecipazione intorno al 26 per cento. Secondo Benatti, in questi anni WPP avrebbe fatto di tutto per ostacolare lo sviluppo di Fullsix, bloccando ogni iniziativa di espansione.

Nel 2005, due anni prima della causa contro Benatti e Tinelli, Sorrell aveva dovuto fare i conti con un costoso divorzio da 30 milioni di sterline. L’ex moglie, Sandra Finestone, aveva chiesto di chiudere la relazione accusandolo di averla resa “marginale” e di averle “tolto l’umanità” nei loro anni insieme, perché sempre e solo impegnato con gli affari. Sorrell trovò il denaro vendendo parte delle sue azioni WPP, poi nel 2008 si sposò con Cristiana Falcone, direttrice dell’area media e intrattenimento del World Economic Forum. Sono ancora sposati e secondo i giornali conducono vite piuttosto autonome, per i numerosi impegni delle loro rispettive attività.

Sempre al lavoro
La prima moglie di Sorrell probabilmente non ebbe tutti i torti nel chiedere il divorzio perché suo marito lavorava troppo. C’è un aneddoto ricorrente, probabilmente un misto tra realtà e leggenda, che viene raccontato per dimostrare l’ossessione per il lavoro di Sorrell. Pare che a volte durante le riunioni in assenza del capo, i top manager delle controllate di WPP inviassero email in contemporanea al loro CEO per sfidare la sua reattività. Di solito le risposte arrivavano dopo pochi minuti, a volte secondi, anche se Sorrell si trovava in un altro continente, impegnato in un’importante cena di affari o in qualche altro evento con i clienti. La reattività era tale da fare ipotizzare che avesse un gruppo di assistenti incaricato di rispondere per suo conto.

Sorrell non ha mai nascosto di essere profondamente legato ai suoi BlackBerry e ora agli iPhone, ma nelle tasche racconta di avere spazio anche per qualcosa di più sentimentale. È una lettera di auguri scritta da suo padre, Jack, prima di morire nel 1989. La frase cui è più legato dice: “Per quanto siano scure le nuvole all’orizzonte, non avere paura”.

Il sistema Sorrell
E in effetti in tutti questi anni non sembra che Sorrell abbia avuto davvero timore di qualcosa. Grazie alla sua fitta e articolata rete di conoscenze e clienti, ha tenuto in piedi e unite centinaia di aziende di pubblicità e marketing, esercitando un potere non indifferente su televisioni, carta stampata e web. I più critici vedono nella struttura creata da Sorrell qualcosa di molto simile alla criminalità organizzata, con un padrino molto potente che da CEO ho goduto dell’approvazione pubblica di tutti e della forza di una rete estesissima, mentre alle sue spalle si covavano invidie e piani per sostituirlo.

Nelle dinamiche della compravendita delle pubblicità, i cosiddetti “centri media” hanno un grande potere, e WPP ne controlla alcuni dei più importanti al mondo, con una ricca clientela di multinazionali. Semplificando, un centro media fa da intermediario tra chi vuole farsi pubblicità e chi vuole ospitare annunci, o le concessionarie che a loro volta venderanno le pubblicità ai loro clienti, di solito editori. Le aziende delegano i centri media a occuparsi di queste cose o perché non hanno proprie strutture interne adeguate per farlo, oppure perché i centri media offrono una maggiore copertura del panorama editoriale e hanno quindi più conoscenze, strumenti e possibilità di vendere le inserzioni. I centri media esercitano quindi un grande potere, orientando ogni giorno milioni di investimenti in pubblicità sui media. Le concessionarie degli editori mantengono stretti rapporti con loro, concordando le campagne che saranno mostrate su giornali, televisioni e siti online (è probabile che anche le pubblicità che vedete in questo momento sulla pagina che state leggendo siano passate per un centro media).

Se provate a moltiplicare processi di questo tipo per centinaia di volte, ad aggiungerci altre società di marketing e agenzie creative in buona parte del mondo, potete farvi un’idea di quanto sia grande ed esteso il dominio di WPP. Sopra tutto questo Martin Sorrell ha esercitato il suo dominio per quasi 33 anni. Vuoi per le inclinazioni del personaggio, o per quella nota del padre sempre in tasca, non c’è quindi da stupirsi più di tanto se in più occasioni Sorrell sia stato paragonato a Napoleone Bonaparte. Il paragone certamente non gli dispiaceva, anche se si limitava a scherzarci sopra, dicendo di essere soltanto alto come lui.

Il dopo Sorrell
In tutto questo, per anni gli azionisti di WPP si sono lamentati delle esorbitanti quantità di denaro pagate dall’azienda al suo CEO. Tra emolumenti e bonus, Bloomberg stima che negli ultimi 5 anni Sorrell abbia raccolto circa 200 milioni di sterline, ma finché i conti di WPP erano a posto le lamentele non avevano praticamente conseguenze. Le cose sono iniziate a cambiare nell’ultimo anno, quando è diventato evidente che le previsioni finanziarie di WPP non erano più realistiche, se confrontate con l’andamento del mercato della pubblicità. Le azioni di WPP hanno perso quasi un terzo del loro valore in borsa in un anno, molto di più delle altre società del settore. Lo scorso marzo, WPP ha dovuto rivedere sensibilmente le sue previsioni di crescita, con Sorrell che è rimasto a lungo sulla difensiva mentre veniva criticato dai suoi stessi azionisti.

Ulteriori complicazioni sono arrivate tra marzo e aprile, quando si è saputo che era stata avviata un’indagine interna a WPP per valutare il comportamento di Sorrell e la legittimità dei suoi costosi emolumenti e bonus. A metà aprile Martin Sorrell ha rassegnato le dimissioni, anticipando il consiglio di amministrazione di WPP che stava per rendere pubbliche le conclusioni dell’indagine. Sorrell ha negato qualsiasi responsabilità, mentre l’azienda non ha più dato notizie, confermando solamente l’esistenza del rapporto sul suo ormai ex CEO, ma non le informazioni contenute nel documento. Non si sa quindi quali siano le cause che hanno portato a parlare di “cattiva condotta”.

Prima di lasciare WPP, Sorrell ha scritto un messaggio ai suoi dipendenti nel quale ha spiegato di essersi fatto da parte perché la vicenda stava mettendo “troppe e inutili pressioni sugli affari”, ritenendo quindi che fosse nell’interesse dell’azienda che lui lasciasse il posto da CEO. Sorrell ha cercato di rassicurare i dipendenti, ricordando che WPP ha resistito già in passato ad altre “difficili tempeste”.

Il consigliere di amministrazione italoamericano Roberto Quarta ha assunto temporaneamente il ruolo di amministratore esecutivo, nell’attesa che il consiglio di amministrazione indichi un nuovo CEO. Mark Read, già a capo di Wunderman (una delle controllate di WPP), e Andrew Scott (responsabile dello sviluppo di WPP) hanno entrambi assunto il ruolo di direttore operativo e secondo Quarta hanno il “pieno sostegno” del consiglio di amministrazione.

Cosa succede adesso?
L’uscita di Martin Sorrell non sarà comunque indolore e secondo gli analisti potrà avere pesanti conseguenze per WPP. A metà maggio un rapporto preparato per gli investitori, a cura della società di consulenza Glass Lewis, ha sconsigliato di riconfermare l’incarico di Quarta, durante la prossima riunione aziendale in programma per giugno. Nel rapporto sono espresse “profonde riserve” sulle scelte di Quarta e su come ha gestito il dopo Sorrell, compresa la decisione di non rendere pubbliche le conclusioni dell’indagine interna e di non avere lavorato in modo trasparente alla ricerca di un successore alla guida di WPP.

Un portavoce di WPP ha detto che un voto contro Quarta in una fase così delicata andrebbe contro la società e gli interessi degli investitori, visto che in questo momento l’azienda ha bisogno di stabilità. Non è poi chiaro chi potrebbe succedere a Sorrell: alcuni vorrebbero affidare il compito a Read, mentre altri pensano a una figura esterna come Tim Armstrong, il capo di Oath, società nata dalla fusione di AOL e Yahoo.

Secondo gli analisti, difficilmente il nuovo CEO avrà le capacità dimostrate in più di 30 anni da Sorrell di mantenere insieme così tante aziende sotto un’unica multinazionale, diventando centrale nel mercato della pubblicità con clienti come P&G o Coca-Cola. Interi pezzi di WPP potrebbero essere venduti per fare cassa e ridimensionare parte delle attività. I compratori non mancano, a partire dalla società di consulenza internazionale Accenture, che negli ultimi anni ha mostrato un interesse crescente per il settore pubblicitario. Il nuovo CEO dovrà del resto fare i conti con un’azienda che non rende più come un tempo e che ha grandi costi di gestione.

Martin Sorrell nel frattempo non è sparito e non sembra intenzionato a farlo. Durante una conferenza a New York a inizio maggio, ha detto di voler ricominciare: “Non me ne andrò volontariamente o involontariamente in pensione”. Sorrell ha detto che nelle ultime settimane ha potuto vedere il mondo della pubblicità dall’esterno, cogliendo contraddizioni e nuove opportunità per rilanciarlo, soprattutto per quanto riguarda le sfide poste dal digitale, dove le grandi aziende di Internet tendono a sostituirsi ai tradizionali intermediari per la compravendita degli annunci. Sorrell ha del resto almeno 700 milioni di dollari da parte, secondo le stime più recenti, e non dovrebbe avere problemi nel mettere in piedi una nuova azienda: il suo contratto con WPP non ha mai compreso una clausola che gli vietasse di farle concorrenza, un giorno.