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  • Lunedì 30 ottobre 2017

L’Arabia Saudita vuole diventare davvero più moderata?

L'erede al trono ha detto che vuole farla finita con l'Islam radicale che si è imposto negli ultimi 30 anni, ma non è chiaro se avrà le forze o la volontà per riuscirci davvero

(AP Photo/Khalil Hamra)
(AP Photo/Khalil Hamra)

L’Arabia Saudita sta provando a cambiare, o almeno così sembra. La settimana scorsa l’erede al trono Mohammed bin Salman (o MbS, come viene chiamato spesso dalla stampa) ha detto di voler tornare a una versione moderata dell’Islam, dopo che negli ultimi mesi c’erano stati diversi esperimenti in questo senso: per esempio si erano tenuti alcuni eventi prima proibiti, come concerti e proiezioni di film, ed era stata annunciata l’abolizione del divieto delle donne di guidare e assistere a eventi sportivi dal vivo. Questi cambiamenti sono stati fatti rientrare nell’ambizioso piano di riforme economiche presentato da MbS nell’aprile 2016, il “Vision 2030”, il cui obiettivo principale è rendere l’Arabia Saudita indipendente dal petrolio entro il 2030.

Molti esperti e analisti si stanno chiedendo quanto siano vere le intenzioni annunciate dai leader sauditi, e quanto invece abbiano altre finalità. Molti sospettano per esempio che le ultime decisioni siano state prese per migliorare l’immagine dell’Arabia Saudita all’esterno e aprire gli spazi per maggiori investimenti dall’estero. Non ci sarebbe quindi una vera intenzione di cambiare le cose: per esempio non è ancora stato messo in dubbio l’obbligo per le donne di spostarsi solo se accompagnate da un parente maschio, o la repressione violenta che il governo compie da anni contro la minoranza sciita del paese. Rick Noack ha scritto sul Washington Post che non è chiaro cosa significhi esattamente l’espressione “Islam moderato” per l’Arabia Saudita, un paese dove da decenni è stata adottata la versione wahhabita dell’Islam, particolarmente radicale e conservatrice.

Alcuni hanno notato che l’annuncio è stato fatto da MbS nel corso di un incontro d’affari alla presenza di numerosi vip e di moltissimi giornalisti occidentali, che in altre occasioni avrebbero dovuto faticare molto per ottenere i visti necessari a entrare nel paese. Per questa ragione, alcuni considerano la mossa un modo per soddisfare l’opinione pubblica occidentale ma che non avrà grandi conseguenze. «Sembra che MbS stia cercando di mandare all’Occidente il messaggio che lui è un alleato nella lotta al terrorismo e che vuole portare il suo paese in un futuro moderno», ha detto al Washington Post Sebastian Sons, un esperto di Arabia Saudita al German Council for Foreigns Relations. Come lui molti altri esperti sembrano essere scettici, o almeno prudenti.

Il problema principale è che la monarchia saudita è fin dalla sua fondazione profondamente legata al clero wahhabita, quello che pratica una rigida forma di Islam nata proprio nella penisola arabica nel 18esimo secolo. I religiosi hanno sempre sostenuto la legittimità della monarchia che in cambio li ha generosamente finanziati, aiutandoli a diffondere il credo wahhabita in tutto il mondo islamico. In un’intervista al Guardian, MbS ha ripercorso uno dei momenti salienti di questo rapporto, ricordando che prima del 1979 l’Arabia Saudita era un paese diverso da oggi. In quell’anno in Iran scoppiò la rivoluzione che portò alla caduta della monarchia e alla creazione di una teocrazia islamica; secondo MbS è stata colpa degli iraniani se in Arabia si è venuto a formare un Islam particolarmente radicale.

È vero che il 1979 fu un anno spartiacque per il Medio Oriente. Mentre in Iran iniziava la rivoluzione, in Arabia Saudita un gruppo di fondamentalisti sunniti occupò per due settimane la Grande Moschea della Mecca. Quando le forze speciali saudite riuscirono a liberarla, 500 persone rimasero uccise o ferite. L’attacco, avvenuto nello stesso periodo di un’insurrezione della minoranza sciita che viveva nella parte orientale dell’Arabia Saudita, convinse il re dell’epoca a cedere alle richieste dei settori più conservatori dell’opinione pubblica. La minoranza sciita iniziò a essere repressa con ancora maggior forza, mentre furono limitate e bloccate gran parte delle aperture culturali che il paese aveva vissuto negli anni precedenti. Le annunciatrici sparirono dalla televisione, così come le fotografie di donne non furono più pubblicate sui giornali. Il famoso divieto di guida, che non si trova in alcuna legge, iniziò a essere messo in pratica proprio in quegli anni, così come molte delle principali limitazioni ai diritti civili delle donne attualmente in vigore. «Quello che è accaduto in questo paese negli ultimi 30 anni non è la vera Arabia Saudita», ha detto MbS al Guardian: «Noi vogliamo ritornare all’Islam che seguivamo 30 anni fa».

Il precedente re – Abdullah, zio di MbS – era entrato diverse volte in conflitto con la parte più conservatrice della società, riuscendo a imporre i primi cambiamenti e le prime riforme. Alle elezioni municipali del 2015, Abdullah concesse il voto alle donne e creò la prima università con classi miste del paese (esistevano già scuole con classi miste, ma furono chiuse dopo il 1979). Per far approvare il suo progetto di università, il re si scontrò con alcuni dei membri più conservatori del clero, costringendo uno di loro alle dimissioni. Abdullah ha anche patrocinato un ampio programma di riforme scolastiche che prevedono alcune modifiche al curriculum di studio in alcune scuole, diminuendo le ore dedicate allo studio della religione e aumentando quelle riservate alle altre materie.

Il problema è che il clero è ancora molto forte, soprattutto nelle parti più rurali e tradizionali nel paese. Alle elezioni del 2005, per esempio, i candidati appoggiati dal clero più conservatore ottennero ottimi risultati, riuscendo a battere i candidati più liberali appoggiati dalla famiglia reale anche in alcune elezioni delle città considerate più aperte e liberali (per gli standard sauditi), come Jedda. I religiosi continuano a contare parecchio, soprattutto quelli che si sono adattati alle nuove forme di comunicazione e che hanno raccolto enormi seguiti sui social network. Quando alla fine di settembre MbS ha annunciato la decisione di permettere alle donne di guidare, alcuni di loro hanno lanciato un massiccia campagna di critica utilizzando vari hashtag.

Le dichiarazioni di MbS, quindi, non sono una completa sorpresa: da anni la monarchia saudita sta cercando di riprendere parte del potere che alla fine degli anni Settanta cedette al clero più radicale. MbS sembra voler accelerare questo processo adottando alcune importanti azioni concrete ma anche con le dichiarazioni della settimana scorsa. Se anche le sue affermazioni fossero sincere, e MbS volesse davvero portare avanti con ancora più energia il processo di modernizzazione avviato negli ultimi anni dalla famiglia reale, il suo non sarà comunque un compito facile. Il clero saudita è molto potente e probabilmente cercherà di bloccare le sue riforme. Per capire la serietà di MbS bisognerà vedere come reagirà di fronte ai primi ostacoli. Infine bisogna considerare che anche le sue riforme hanno un limite. MbS ha parlato di ridurre il potere dei religiosi e di ammorbidire l’Islam praticato nel paese. Non sembra invece intenzionato a trasformare l’Arabia Saudita in qualcosa di diverso da una monarchia assoluta.