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  • Domenica 29 ottobre 2017

L’India e i matrimoni interreligiosi

La Corte Suprema dovrà prendere una decisione su una donna parsi che è stata esclusa dalla sua comunità per aver sposato un non-parsi

di Matteo Miele

Una donna Parsi davanti a un tempio di Mumbai, 18 agosto 2014
(INDRANIL MUKHERJEE/AFP/Getty Images)
Una donna Parsi davanti a un tempio di Mumbai, 18 agosto 2014 (INDRANIL MUKHERJEE/AFP/Getty Images)

Un problema che da tempo percorre una delle comunità più ricche, colte e generose dell’India contemporanea, i Parsi, è arrivato in questi giorni fino alla Corte Suprema. Si attende infatti una decisione rispetto al ricorso di Goolrokh M. Gupta, una donna nata parsi che, sposando un non-parsi, è stata esclusa dall’accesso ai luoghi religiosi zoroastriani a Bombay (Mumbai). Nel 2012 l’Alta Corte del Gujarat aveva avallato questa situazione, ma si attende ora la decisione definitiva da parte dei giudici di Nuova Delhi. Goolrokh è sostenuta nel percorso legale dalla sorella avvocata, Shiraz Patodia.

Parsi o zoroastriani?
Lo zoroastrismo è una delle religioni più antiche al mondo e per secoli, fino all’invasione arabo-islamica, la storia della Persia e la storia dello zoroastrismo hanno coinciso. Con la caduta dei Sassanidi, lentamente, lo zoroastrismo ha cominciato il suo declino numerico. Per sfuggire alle persecuzioni un gruppo di zoroastriani fuggì nel Gujarat, nell’India occidentale. Al re hindu – narra un’antica leggenda – che aveva mostrato agli esuli una coppa colma di latte, a simboleggiare il proprio paese ormai al limite della sovrappopolazione, i poveri zoroastriani risposero aggiungendo un po’ di zucchero. Si sarebbero amalgamati alla società indiana, ne avrebbero adottato lingua e costumi, e inoltre l’avrebbero in qualche modo resa più dolce.

Il gesto piacque al sovrano e i parsi – così vennero chiamati i nuovi arrivati, ovvero, niente altro che “Persiani” – si stabilirono in India. Nei secoli successivi sarebbero stati contadini integrati totalmente nel loro nuovo paese. Con l’arrivo degli inglesi, molti parsi ascesero rapidamente ai vertici culturali, economici e sociali del Raj, dedicandosi, tra l’altro, alle professioni legali, mediche ed al commercio con l’Estremo Oriente, il Sud-Est Asiatico e con l’Europa. Molti ebbero successo anche in politica e poi nell’industria. In un certo senso si può dire che lo sviluppo di Bombay si è mosso parallelamente all’aumento della ricchezza dei parsi. Tra l’Ottocento e i primi del Novecento, inoltre, alla comunità indiana si aggiunsero altri zoroastriani che, in una nuova – e più recente – piccola ondata, arrivarono sempre dall’Iran.

Le contraddizioni del fronte conservatore
Il problema sollevato da Goolrokh M. Gupta davanti alla Corte Suprema riguarda essenzialmente la più ampia questione dei matrimoni interreligiosi, ovvero il matrimonio tra un ragazzo o una ragazza parsi di religione zoroastriana con una ragazza o un ragazzo non-parsi. Qual è dunque l’effetto di un matrimonio del genere (tra l’altro sempre più comune nell’India contemporanea: basti pensare che la stessa Indira Gandhi sposò un giornalista parsi, Feroze Gandhi)?

In primo luogo si pone la disputa intorno alla discriminazione di genere. Mentre un giovane parsi che sposa una non-parsi continua infatti ad essere considerato dalla comunità parsi e zoroastriano, tale discorso non vale per le donne. Una ragazza parsi, moglie di un non-parsi – come nel caso descritto – viene automaticamente espulsa dalla comunità, non può più entrare nel Tempio del Fuoco o partecipare ai riti funebri per i propri congiunti. Altro problema: i figli. Una sentenza del 1909 (quindi di epoca britannica e certamente non così conforme all’attuale Costituzione indiana) definiva la comunità parsi come quella composta dai discendenti degli antichi esuli persiani con entrambi i genitori parsi e di religione zoroastriana, dagli iraniani di religione zoroastriana e inoltre dai figli di padre parsi e madre non-parsi, ma che sono stati ammessi nella religione. Ai quali, cioè, è stato celebrato il Navjote, come in India è chiamato il rito di iniziazione alla religione zoroastriana.

Davanti a questo scenario l’ala “riformista” della comunità reclama il ritorno ai testi antichi e vorrebbe cancellare le definizioni più recenti, che sono in realtà estranee allo zoroastrismo. La parte conservatrice della comunità si divide invece a sua volta tra i fautori di linea più morbida, che si basa sulla sentenza del 1909 e che accetta dunque i figli di padre parsi, ed una fazione poi ancora più intransigente che vorrebbe escludere anche i bambini con il solo padre parsi. Il ramo più morbido è proprio, però, quello che mette plasticamente in evidenza, per i riformisti, la discriminazione. I conservatori “morbidi”, continuando comunque ad accettare nella comunità parsi solamente il giovane (e non la giovane) sposato ad una non-parsi e ammettendo al Navjote i suoi figli – e non i figli di madre parsi – porterebbero infatti avanti una discriminazione difficile da accettare.

Il problema – inoltre – è che i parsi “conservatori” sono in realtà tali solo rispetto ad un certo punto, relativamente recente, della storia. Gli insegnamenti più antichi dello zoroastrismo, nelle parole di Zarathushtra – conosciute come Gatha, ovvero la parte più antica dell’Avesta – pongono infatti su un piano assolutamente paritario uomo e donna. Ed è proprio a questo che fanno riferimento i “riformisti”. Inoltre i testi dello zoroastrismo non vietano nemmeno le conversioni, figuriamoci dunque l’ammissione alla religione zoroastriana dei figli di madre zoroastriana. Arrivati in India, però, i parsi si integrarono talmente bene nella società indiana da adottare di fatto il sistema castale, fino ad identificarsi con una casta, o più precisamente addirittura con una “razza”. Ovviamente, la storia è in realtà più complessa, e nelle lettere (rivayat) che i parsi dell’India nei secoli scorsi continuavano a scambiarsi con i correligionari rimasti in Persia, si trovano le testimonianze di autorizzazioni alle conversioni da parte dei religiosi dell’epoca. Le contraddizioni interne al fronte conservatore si articolano dunque in primo luogo intorno ai testi religiosi e storici, sui quali non si trovano appigli in favore, anzi contrari.

Inoltre lo Special Marriage Act del 1954 – la legge che regola i matrimoni civili in India (e sulla base del quale Goolrokh M. Gupta ha celebrato le proprie nozze) – non prevede in alcun modo la conversione della donna alla religione del marito. Sarebbe, in effetti, una contraddizione in termini. Infine molte comunità più piccole di quella di Bombay, come ad esempio quelle di Delhi e di Calcutta, continuano ad ammettere da tempo le donne sposate con non-parsi.

Religione, economia e demografia
Oltre alle discussioni religiose, ci sono però anche discorsi di natura economica. I parsi sono, come accennato all’inizio, una delle comunità più facoltose, ma anche generose, dell’India. Da una parte c’è dunque la volontà di mantenere il controllo sui beni (soprattutto immobili) della comunità. Sebbene moltissime siano le opere benefiche messe in atto e sostenute dai parsi in tutta l’India – come prosecuzione dell’antica promessa di addolcire il paese – vi sono però alcuni beni che sono visti come la garanzia per il futuro della comunità. L’apertura della comunità è vista da alcuni come un pericolo per questi beni. Allo stesso tempo, però, come evidente dai censimenti che segnalano il deciso calo demografico, proprio l’esclusione di donne, bambini e di convertiti, mette sempre più a rischio l’esistenza stessa della comunità, ormai ridotta a poche decine di migliaia di persone.