• Moda
  • Venerdì 1 settembre 2017

Desigual vuole piacere un po’ di più a tutti

E per questo ha assunto il grande fotografo francese Jean-Paul Goude, il primo ad ammettere che i vestiti sono «provinciali» e i negozi «orrendi»

Un negozio Desigual a Berlino, 20 giugno 2014: l'azienda aveva lanciato una campagna per cui le prime persone entrate in biancheria intima nel negozio avrebbero potuto fare acquisti senza pagare
(Daniel Naupold/picture-alliance/dpa/AP Images)
Un negozio Desigual a Berlino, 20 giugno 2014: l'azienda aveva lanciato una campagna per cui le prime persone entrate in biancheria intima nel negozio avrebbero potuto fare acquisti senza pagare (Daniel Naupold/picture-alliance/dpa/AP Images)

L’azienda Desigual – fondata nel 1984 a Barcellona e famosa per i suoi abiti colorati, pieni di patchwork e stili accozzati tra loro – ha nominato direttore artistico Jean-Paul Goude, grande fotografo, illustratore e filmmaker francese, direttore creativo di Esquire negli anni Settanta, autore di tantissimi ritratti della modella, cantante e icona pop Grace Jones e del più recente servizio fotografico su Kim Kardashian “Break the internet“, per la rivista Paper.

Desigual ha detto che il compito di Goude, che ha 76 anni, non sarà tanto disegnare i capi – non ha mai lavorato come stilista – quanto supervisionare tutti gli aspetti dell’immagine dell’azienda nei prossimi tre anni: si occuperà delle campagne pubblicitarie e mediatiche, degli eventi, e curerà interamente un negozio. Goude ha anche disegnato una collezione con abiti dagli ampli volumi dalla vita in giù e top geometrici, che sarà presentata il 7 settembre alla prima giornata della Settimana della moda di New York. La sfilata sarà il primo test delle decisioni di Goude: ha anticipato che sarà una performance coreografata da Ryan Heffington, che nel 2014 ha vinto un MTV Video Music Award per la coreografia del video Chandelier di Sia. Se questi primi modelli piaceranno al pubblico, Goude disegnerà una collezione per le sfilate del prossimo inverno: si chiamerà Desigual Couture, ha detto scherzando.

Jean-Paul Goude

Jean-Paul Goude (AP Photo/Lionel Cironneau)

Secondo Vanessa Freedman, l’esperta di moda del New York Times, per Desigual è un tentativo di accreditarsi e farsi prendere sul serio nel mondo della moda: Desigual è popolare, piace al grande pubblico, vende bene – ha 500 negozi in più di 100 paesi, nel 2016 ha fatturato 860 milioni di euro e sfila alla Settimana della moda di New York dal 2013 – ma non piace agli esperti del settore che la considerano poco interessante, di scarsa qualità e pessimo gusto. Funziona insomma su un pubblico medio mentre le persone che di solito stabiliscono cosa è bello, cosa è cool e cosa no, la guardano dall’alto in basso. Il sito femminista Jezebel ha scritto una volta che il messaggio di Desigual è «sembro un pappagallo insicuro e voglio che tutti mi guardino», mentre su Twitter c’è un account @Desigualisugly dedicato alla bruttezza dei capi del marchio.

Goude è consapevole, anzi condivide questa visione di Desigual: «la conosco abbastanza per capire perché non è considerata di tendenza, sono troppo provinciali», mentre i negozi «sono orrendi, lo sanno tutti». Ha spiegato a Freedman che sta pensando di tenere sempre aperto, anche tutta la notte, quello che gli sarà dato in gestione, con manichini rotanti su schermi tv. Al momento sta discutendo con l’azienda su chi scegliere come nuovo testimonial – «hanno proposto Rihanna ma ho fatto presente che ora è un po’ impegnata» – e curando la sfilata di New York. I suoi abiti, dice, sono come un cavallo di Troia, come dei soldati delle forze speciali che si stanno infiltrando nell’azienda per cambiarla: forse non riuscirà a «cambiarne lo stile ma ne cambierà il contesto» scrive Freedman.

goude
Un abito disegnato da Jean-Paul Goude per Desigual (New York Times)

La figura di Goude, sostiene, è sintomatica del particolare momento in cui si trova la moda, con la confusa sovrapposizione tra i ruoli di stilista, direttore creativo e direttore artistico, incarichi affidati ultimamente a persone che non hanno un’esperienza sartoriale ma solo il compito infondere col loro gusto linee e collezioni o fare di fatto da testimonial, come Rihanna con Puma o Isabella Burley, direttrice della rivista britannica Dazed & Confused, nominata direttrice di Helmut Lang. Non è detto che rivoluzionare soltanto l’immagine sia la strategia giusta, anzi la migliore pare sempre la stessa: mettere a capo di un’azienda uno stilista giovane e talentuoso e affidargli la gestione di tutti i suoi aspetti, dalla manifattura all’immagine, come hanno fatto per esempio Gucci con Alessandro Michele e Christian Dior con Raf Simons.