Mai così tante donne al lavoro in Italia

Gli ultimi dati sull'occupazione femminile sono i più alti di sempre, il merito principale sembra essere della riforma Fornero

(VIRGINIA FARNETI / ANSA / PAT)
(VIRGINIA FARNETI / ANSA / PAT)

Secondo gli ultimi dati ISTAT il tasso di occupazione femminile in Italia, cioè la percentuale di donne che lavorano sul totale della popolazione femminile, ha raggiunto a giugno 2017 il 48,8 per cento. Anche se è un livello basso per la media europea, dove il tasso di occupazione è al 65,3 per cento, per l’Italia è il risultato più alto dal 1977, cioè da quando sono cominciate le serie storiche dell’ISTAT. In sostanza, nella storia del nostro paese non ci sono mai state così tante donne al lavoro.

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi, ha commentato con soddisfazione i dati, scrivendo su Facebook: «L’occupazione femminile non è mai stata così elevata. Qualcuno può ancora negare il successo del #JobsAct? #Avanti, avanti insieme». Anche il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni è sembrato associare il Jobs Act alla crescita dell’occupazione, compresa quella femminile. Il segretario del PD, Matteo Renzi, ha ripetuto lo stesso concetto nella sua newsletter del 31 luglio: «Il Jobs Act funziona. E finalmente non lo mette in dubbio più nessuno. I risultati sono certificati anche oggi dai dati Istat di giugno: cala la disoccupazione, crescono i posti di lavoro anche al femminile».

In realtà sembra che la causa principale dell’aumento dell’occupazione femminile non sia nel Jobs Act, ma abbia le sue radici in un’altra importante riforma degli ultimi anni: la riforma delle pensioni approvata dalla ministra Fornero, che ha allungato molto l’età pensionabile delle donne, in particolare nel settore privato. È evidente, infatti, che una popolazione che invecchia, abbinata a una riforma che sposta più avanti l’età pensionabile, generi un aumento dell’occupazione. Mario Seminerio, analista finanziario e uno dei principali blogger economici italiani, ha messo insieme alcuni numeri che spiegano molto bene questo fenomeno.

Per prima cosa, scrive Seminerio, l’aumento dell’occupazione femminile dura da anni oramai e precede il Jobs Act. Dal primo trimestre del 2014 al primo trimestre di quest’anno le donne che lavorano sono passate da 9,259 milioni a 9,538. In questo periodo la coorte anagrafica che ha avuto la crescita maggiore di posti di lavoro è quella delle donne più anziane, cioè quelle tra i 55 e i 64 anni, tra cui in soli tre anni il tasso di occupazione è aumentato del 23 per cento. Tirando le somme viene fuori che tra 2014 e 2017 l’occupazione femminile è cresciuta di 279 mila unità, di cui 295 mila nella coorte anagrafica tra i 55 e i 64 anni (la differenza tra questi due numeri significa che tra le donne meno anziane si è verificato un calo dell’occupazione).

Oggi su Repubblica anche la sociologa Chiara Saraceno ha affrontato il tema dell’aumento dell’occupazione con un punto di vista piuttosto critico.

«Oltre due terzi dell’aumento riguardano contratti a tempo determinato, i più rischiosi per tutti, uomini e donne, ma soprattutto per queste ultime, soprattutto se hanno o desiderano avere figli. Contrariamente alla dichiarazione della sottosegretaria Boschi che vede nell’aumento dell’occupazione femminile la prova che il Jobs Act funziona, questo dato suggerisce che neppure il contratto a tutele crescenti, per quanto rischioso per i neo-assunti, riesce a competere con i contratti di lavoro a termine resi più facili e appetibili (ai datori di lavoro) proprio prima dell’approvazione del Jobs Act.»

Secondo Saraceno, quindi: «Verrebbe da pensare che, più che il Jobs Act, a fare aumentare l’occupazione femminile sia stata la riforma Fornero, nella misura in cui, alzando l’età e i requisiti per andare in pensione, ha fatto crescere l’occupazione delle lavoratrici in età anziana in misura molto maggiore di quanto non sia avvenuto per i lavoratori maschi, stante che la modifica nell’età pensionabile è stata maggiore per le donne, in particolare nel settore privato».