Il mito del sale rosa dell’Himalaya

Dario Bressanini racconta tutte le bufale intorno a un sale da tavola che va molto di moda, ma che è tale e quale a quello classico

(julajp su Flickr)
(julajp su Flickr)

Da qualche anno anche in Italia va molto di moda il “sale rosa dell’Himalaya”, un sale da tavola con caratteristiche nutrizionali diverse rispetto a quello comune, almeno secondo i suoi produttori e numerosi articoli che si possono trovare online. Come spiega Dario Bressanini sul suo blog delle Scienze, in realtà il sale rosa dell’Himalaya non ha nulla di così speciale, a parte il colore, ed è sostanzialmente un modo per vendere a prezzo più alto del sale da cucina.

Posto che ogni sale alimentare in commercio da noi deve contenere per legge almeno il 97% di cloruro di sodio, quindi deve essere quasi puro, spesso si magnifica la qualità del sale rosa dicendo che “è antichissimo e proviene da un mare incontaminato asciugatosi milioni di anni fa”.
Certamente, ogni miniera di sale esistente al mondo sfrutta i depositi fossili di mari prosciugati milioni di anni fa. Anche in Italia ne abbiamo, per esempio a Petralia in Sicilia, da dove estraiamo il salgemma: cloruro di sodio raffinatissimo, praticamente puro così com’è.
Qualcuno dice “il sale marino di oggi proviene da un mare inquinato, quindi anche il sale è inquinato”. Hai le prove? Dimostramelo! Altrimenti sei un fuffaro che sfrutta la paura delle persone per alleggerirgli il portafoglio o per accreditarti come guru salutista.
Mi sono chiesto però perché questa affermazione faccia indubbiamente presa su molte persone. La risposta che mi sono dato è questa: alcuni pensano che il sale marino si ottenga semplicemente prendendo dell’acqua di mare e facendola evaporare tutta. Se siete già al mare provate a fare l’esperimento: prendete un paio di litri d’acqua di mare, metteteli in un catino al sole, lasciate evaporare tutta l’acqua e in un paio di giorni otterrete della polvere bianca.
Assaggiate: fa schifo. Quello non è cloruro di sodio quasi puro: contiene un sacco di altra roba amara e, ovviamente, anche qualsiasi sostanza inquinante presente in origine. Se ci riaggiungete acqua distillata ricostituite l’acqua di mare di partenza, che ovviamente non è potabile. Inquinata l’acqua di partenza, inquinato il prodotto ottenuto.
Il sale però non si produce così: si raffina, si purifica, si fa cristallizzare quasi solo il cloruro di sodio –che, ripeto, è bianco di per sé, non c’è bisogno di sbiancarlo come qualche articolo racconta – mentre l’acqua rimasta, con la maggior parte delle sostanze amare e altro, si getta via. È così che funziona una salina: è un impianto solare a cielo aperto di raffinazione del cloruro di sodio.
Anche il sale integrale è raffinato! Questo manda spesso in cortocircuito qualcuno, perché si tratta comunque di eliminare la gran parte delle sostanze amare e indesiderate. Semplicemente il sale integrale non subisce il lavaggio finale – con acqua salata ­­–, non viene asciugato e non vengono aggiunte sostanze antiagglomeranti. Ma è sempre cloruro di sodio almeno per il 97%.
Se comunque temete l’inquinamento anche in dosi omeopatiche, potete sempre acquistare del normale salgemma bianco purissimo.

Continua a leggere sul blog delle Scienze