Alex Schwazer un anno dopo la squalifica

In un'intervista all'Ultimo Uomo ha parlato di cosa sta facendo ora, dicendo che «chi mi vede come un dopato lo crederà per sempre»

Alex Schwazer nel 2015 durante il processo d'appello presso il Tribunale Antidoping (LaPresse)
Alex Schwazer nel 2015 durante il processo d'appello presso il Tribunale Antidoping (LaPresse)

L’8 maggio dell’anno scorso il marciatore italiano Alex Schwazer, allora trentunenne, corse la sua prima gara dopo una squalifica per doping durata tre anni e nove mesi. Schwazer corse e vinse la 50 chilometri di marcia, a Roma, facendo registrare un tempo di soli due minuti superiore a quello con cui nel 2008 vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Pechino. A Roma ottenne anche la qualificazione per le imminenti Olimpiadi di Rio de Janeiro, a cui però non poté partecipare dopo che il 10 agosto il Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS) di Losanna lo squalificò per otto anni, ancora per doping.

Nonostante fosse stato sospeso per doping a fine giugno, era comunque andato a Rio, sperando che una diversa decisione del TAS gli avrebbe permesso di gareggiare, cosa poi non avvenuta. La squalifica per doping è stata uno dei casi sportivi più complessi e discussi della scorsa estate, che fin da subito sembrò strano: perché Schwazer era recidivo e perché da quando era tornato ad allenarsi era stato seguito da Sandro Donati, allenatore noto per essere sempre stato molto duro nei confronti del doping, e che aveva messo Schwazer sotto un regime di stretta sorveglianza medica per tutta la durata degli allenamenti. Donati sostiene che la squalifica sia una sorta di complotto nei confronti di Schwazer, che è della stessa opinione: la vicenda non è ancora finita e i suoi legali chiedono che i campioni prelevati nel 2016, ancora conservati a Colonia, vengano riportati in Italia per ulteriori analisi.

In una recente intervista data a Gianluca Ciucci e pubblicata dall’Ultimo Uomo, Schwazer sostiene che il suo campione di urine sia stato manomesso nel tragitto da Racines, paese in cui vive, al laboratorio di Colonia accreditato dalla WADA. Nella lunga intervista, Schwazer parla di come cercherà di provare l’avvenuta manomissione delle sue urine e di quello che sta facendo ora che non è più un atleta. Dice anche:

Io credo che chi mi vede come un dopato lo crederà per sempre, e anche se fossi potuto andare a Rio avrebbe avuto dubbi su di me.

L’intervista completa si può leggere qui.