10 grandi canzoni dei Fleetwood Mac

Oggi che Mick Fleetwood compie settant'anni, la maggior parte dei quali passati a suonare per la sua band

(Mark Metcalfe/Getty Images)
(Mark Metcalfe/Getty Images)

Oggi Mick Fleetwood, batterista e cofondatore della rock band dei Fleetwood Mac, compie 70 anni. Fleetwood ha passato buona parte della sua vita a suonare con la band a cui diede il nome, insieme all’altro cofondatore John “Mac” McVie: e ancora oggi sono spesso in tour. Queste sono le 10 canzoni dei Fleetwood Mac che aveva scelto Luca Sofri, peraltro direttore del Post, per il suo libro Playlist.

Fleetwood Mac (1967, Londra, Inghilterra)
Una delle band più incasinate della storia. Malgrado la lunga sopravvivenza sotto lo stesso nome, ebbero varie formazioni, complici abusi di droghe e intrighi sentimentali tra i membri del gruppo, pescati di qua e di là dall’oceano. Nei loro anni più ruggenti – quelli dell’arrivo di Lindsey Buckingham e Stevie Nicks – i Fleetwood Mac furono composti da due coppie (come gli Abba, con rispetto parlando) più un quinto incomodo. Poi si separarono le coppie, poi si separò la band, ma nel 2014 sono tornati tutti insieme.

Albatross
(English rose, 1969)

Strumentale, marittima: la versione snob di “Soleado” dei Daniel Santacruz Ensemble. La si ritiene l’ispirazione per “Sun king” dei Beatles. Malgrado l’andamento non molto radiofonico, andò fortissimo.

Oh well, part 1&2
(Then play on, 1969)
Più che una canzone, una compilation. Parte rock rock, poi diventa western, progressive, colonna sonora cinematografica. O una suite, tutta farina del sacco di Peter Green, ispiratore della prima fase della band. Altri tempi, pre-pop. Jimmy Page ne fece una cover in concerto assieme ai Black Crowes.

Over my head
(Fleetwood Mac, 1975)
Qui erano partiti per la California, con buoni risultati.

Rhiannon
(Fleetwood Mac, 1975)
Ha questo suono un po’ inquietante, e la voce di Stevie Nicks era di certo meno languida di quella di Christine McVie. Rhiannon è il nome di una divinità celtica, e tutta la canzone è piuttosto zingaresca: la protagonista è una donna alle prese con certi spiriti. La scrissero lei e Buckingham ancora prima di diventare Fleetwood Mac. In una rara e particolare raccolta di cover vocali realizzata da una scolaresca americana divenuta di culto negli anni Settanta ce n’è una versione ulteriormente misteriosa e da brividi.

Go on your own way
(Rumours, 1977)
La storia Buckingham-Nicks stava andando in pezzi e lui invece di dirle di farla finita, come fanno le persone normali, ci scrisse sopra una canzone. Nicks si seccò per quel verso che alludeva al fatto che lei volesse fare delle cose con qualcun altro e gli chiese di toglierlo. Lui non lo tolse. Grande canzone, molta chitarra.

Don’t stop
(Rumours, 1977)
E poi si separavano Christine e John McVie. Nel frattempo stava divorziando anche Mick Fleetwood, ma lui almeno fuori dalla band. La ricantarono molto tempo dopo lo scioglimento di questa formazione, all’inaugurazione della prima presidenza Clinton: era stata l’inno della sua campagna elettorale.

The chain
(Rumours, 1977)
Un po’ in ritardo sui tempi della musica on the road, con citazioni di maniera, ma appiccicosissima.

Mystified
(Tango in the night, 1987)
Canzoncina leggerina, come il resto delle cose di questa versione anni Ottanta dei Fleetwood Mac. Coretti, cose così. Carina, come si dice.

Little lies
(Tango in the night, 1987)
A ‘sto punto Christine McVie aveva sposato un altro, e insieme a lui scrisse questa. Non si capisce se le bugie in questione appartengano a John McVie oppure – come vuole un’altra scuola di pensiero – a Dennis Wilson dei Beach Boys, con cui ci fu del tenero.

When I see you again
(Tango in the night, 1987)
Lentone meraviglioso, tutto Stevie Nicks – che farà ancora grandi cose del genere da sola – su cui è un piacere chiudere il capitolo Fleetwood Mac. “What’s the matter baby?”