Ci sono stati 14 arresti perché alcune società private del nord Italia sono accusate dalla Direzione Antimafia di Milano di aver favorito gli interessi di un clan mafioso di Catania
I magistrati antimafia di Milano hanno ordinato l’arresto di 14 persone accusate di far parte di un’associazione che attraverso alcune società private del nord Italia ha favorito gli interessi di un clan mafioso di Catania, quello dei Laudani. All’interno della stessa operazione, è stato deciso il commissariamento delle società di sorveglianza privata del Tribunale di Milano e l’amministrazione giudiziaria di quattro direzioni generali della multinazionale tedesca della grande distribuzione Lidl.
Le persone arrestate, e accusate di aver pagato tangenti, di ricettazione, riciclaggio, traffico di influenze, intestazione fittizia di beni, sarebbero i referenti in quanto titolari di consorzi di cooperative nel settore della logistica e della vigilanza privata di una famiglia mafiosa della Sicilia. A queste cooperative la Lidl Italia ha appaltato commesse (per gli allestimenti e la logistica dei punti vendita) sia al Nord sia in Sicilia. Scrive il Corriere della Sera: «mentre al Sud l’aggiudicazione degli appalti nei supermercati avveniva attraverso il versamento di denaro al clan Laudani (che poi procurava le commesse presso Lidl con modalità che l’indagine al momento non ha chiarito), al Nord (specie in Piemonte) le commesse erano invece ottenute pagando tangenti private a taluni ex funzionari o a responsabili in carica di filiali della (ignara) casa madre Lidl».
Le direzioni generali della Lidl per cui è stata decisa l’amministrazione giudiziaria per 6 mesi sono quelle di Volpiano (base a sua volta per 51 filiali in Piemonte, Valle d’Aosta e parte di Liguria), di Biandrate (base per 68 filiali in Piemonte e Lombardia), di Somaglia (base per 62 filiali in Lombardia e parte dell’Emilia Romagna), e di Misterbianco (base in provincia di Catania per 33 filiali in Sicilia e 8 a Malta). Lidl non è indagata come società, ma secondo i magistrati la carenza di controlli interni ha fatto in modo che l’attività finisse per agevolare esponenti mafiosi. Nell’operazione è coinvolto anche un ex dipendente della Provincia di Milano: i pubblici ministeri gli contestano il reato di traffico di influenze, poiché in cambio di una tangente avrebbe messo a disposizione dei referenti del clan Laudani una serie di rapporti con esponenti di amministrazioni pubbliche. Sempre lui avrebbe poi mediato con una dipendente del Comune di Milano, arrestata, per un appalto del settore scolastico.