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  • Lunedì 8 maggio 2017

Il video di un leader palestinese in sciopero della fame che mangia nella sua cella

Mostra Marwan Barghouti, "l'uomo con le manette", che mangia dei biscotti nella sua cella

Marwan Barghouti in un'immagine tratta da un video girato nella sua cella.
Marwan Barghouti in un'immagine tratta da un video girato nella sua cella.

Ieri l’agenzia di stato israeliana che si occupa di gestire le carceri ha diffuso un video molto discusso che riguarda Marwan Barghouti, uno dei più popolari e ambiziosi politici palestinesi. Il video è stato girato dalle telecamere a circuito chiuso posizionate nella cella dove si trova Barghouti, nella prigione di Kishon, in Israele: mostra Barghouti mangiare dei biscotti e uno snack, nonostante l’esteso sciopero della fame che sta coinvolgendo più di un migliaio di detenuti palestinesi e che sta andando avanti da tre settimane. I leader palestinesi hanno detto che il video è stato manipolato dalle autorità israeliane, e che è stato diffuso per fermare lo sciopero della fame e per screditare Barghouti, che tra le altre cose è considerato uno dei possibili successori dell’attuale leader palestinese Mahmoud Abbas. Il suo avvocato ha detto di non poter commentare il video prima di aver incontrato Barghouti.

L’agenzia di stato israeliana che gestisce le carceri, nota col nome di Shabas, ha detto che le immagini contenute nel video diffuso domenica sono relative a due giorni diversi. La prima parte del video è stata girata il 27 aprile: mostra Barghouti recuperare dei biscotti da un posto nascosto nel bagno della sua cella, guardarsi in giro per vedere che nessuno stia guardando, e poi mangiarli. La seconda parte è stata girata il 5 maggio: in questo caso Barghouti mangia uno snack, usando la stessa tecnica della volta precedente. Non è chiaro come Barghouti sia riuscito a introdurre del cibo nella sua cella ma Haaretz ha scritto, citando fonti all’interno di Shabas, che sarebbe stata la stessa agenzia israeliana a farlo arrivare a Barghouti, per mettere alla prova la sua adesione allo sciopero della fame.

Lo sciopero è stato indetto circa tre settimane fa e da allora vi hanno aderito molti detenuti palestinesi. I detenuti chiedono che vengano migliorate le condizioni della loro detenzione. Tra le altre cose, chiedono l’abolizione della detenzione senza processo e dell’isolamento in carcere, l’installazione di telefoni in ogni ala delle prigioni, il miglioramento dei servizi medici e l’aumento della frequenza delle visite famigliari. Non è inusuale che i carcerati palestinesi organizzino uno sciopero della fame per chiedere il miglioramento delle proprie condizioni di detenzione, ma questa protesta è particolare per due ragioni: per il numero delle persone che vi hanno aderito, molto più alto del solito; e perché ha contribuito a far tornare Barghouti sulla “mappa” della politica palestinese e nel dibattito israeliano, anche grazie a un discusso articolo pubblicato dal New York Times in cui Barghouti spiegava le ragioni dello sciopero della fame.

Barghouti, 57 anni, è un parlamentare di Fatah, il partito laico e moderato di Yasser Arafat e Abbas, ma è gradito anche ad Hamas, il popolare movimento politico-terrorista palestinese. Negli ultimi anni ha predicato la non-violenza come strumento principale per l’emancipazione dei palestinesi, ma in passato è stato legato alla lotta armata. Nel 2004 un tribunale israeliano lo condannò a cinque ergastoli per terrorismo dopo un processo ritenuto controverso, e in cui Barghouti rifiutò di difendersi. Nonostante da allora si trovi in carcere, Barghouti ha continuato ad essere politicamente attivo, e negli ultimi tempi sta cercando di presentarsi come la principale alternativa ad Abbas. Grazie al suo passato da attivista e militante armato e ai suoi buoni rapporti con Hamas è molto popolare sia nei sondaggi sia fra i dirigenti politici palestinesi, ed è considerato la persona con più credenziali per proporsi come il prossimo leader palestinese (contando sul fatto che nel caso vincesse le elezioni presidenziali, Israele lo libererebbe). L’anno scorso ha detto ad Haaretz che per costringere Israele a nuovi negoziati appoggerebbe una protesta di massa non-violenta, un’opzione gradita anche ai sostenitori internazionali della causa palestinese.