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  • Martedì 2 maggio 2017

Poteva andare peggio

L’editoriale del Washington Post sui primi 100 giorni di Donald Trump

di Staff degli editorialisti del Washington Post

(JIM WATSON/AFP/Getty Images)
(JIM WATSON/AFP/Getty Images)

A cento giorni dall’inizio della sua presidenza, non abbiamo raggiunto il nirvana che Donald Trump aveva promesso e non siamo nemmeno finiti nella distopia che i critici, noi compresi, temevano. Dal momento che quella del nirvana non è mai stata una prospettiva probabile, potrebbe essere più proficuo esaminare i motivi per i quali, per ora, abbiamo evitato il peggio. Dei ringraziamenti iniziali vanno al Congresso, ai giudici, all’Ufficio di bilancio del Congresso, ai cittadini americani e agli elettori nei Paesi Bassi e in Francia. E, molto limitatamente, anche al presidente stesso.

Trump non ha stracciato il North American Free Trade Agreement, il trattato nucleare con l’Iran o l’accordo di Parigi sul cambiamento climatico, appena insediatosi. Non ha abbandonato la NATO, né sposato le posizioni del presidente russo Vladimir Putin. Ha nominato dei consiglieri assennati in posizioni importanti, in particolare il segretario della Difesa e (al secondo tentativo) quello alla Sicurezza nazionale. Quando il dittatore siriano Bashar al Assad ha usato delle armi chimiche contro dei cittadini indifesi, Trump ha risposto in modo appropriato.

D’altro canto, però, i primi risultati di Trump sono anche un motivo di allarme. La sua inesperienza e la sua deriva ideologica sono emerse in modo evidente nell’inizio lento e barcollante della sua amministrazione. Nonostante debba ancora emergere una linea evidente in politica estera, ci sono ragioni per temere che Trump riduca la leadership economica, politica e morale degli Stati Uniti nel mondo: ne sono dimostrazione, per esempio, il suo precoce ritiro da un accordo commerciale panpacifico e il raggelante parallelo morale con cui ha risposto alla domanda di Bill O’Reilly sulle uccisioni di dissidenti e giornalisti da parte della Russia. «Ci sono molti assassini», ha replicato Trump in quell’occasione, «pensi che il nostro paese sia tanto innocente?» Al suo bombardamento in Siria non è seguita una strategia chiara per gestire la terribile guerra civile nel paese.

Trump ha invertito una tendenza verso la trasparenza che andava avanti da una generazione, diventando il primo presidente americano in epoca moderna a occultare le proprie dichiarazioni dei redditi e cancellando la linea dell’amministrazione Obama di pubblicare l’elenco dei visitatori alla Casa Bianca. Trump e i suoi portavoce ignorano spesso i fatti e abbracciano la disinformazione. Se riuscirà a far passare la sua linea, gli Stati Uniti precipiteranno ancora più profondamente nel debito, il riscaldamento globale accelererà e milioni di americani vulnerabili non avranno più accesso all’assistenza sanitaria, mentre chi è benestante diventerà ancora più ricco.

Parte della linea politica di Trump, tuttavia, sta incontrando resistenza. Quando l’Ufficio di bilancio del Congresso, un ente indipendente, ha stimato che il suo piano avrebbe portato 24 milioni di americani a perdere la copertura sanitaria, persino i Repubblicani del Congresso hanno fatto un passo indietro. L’opposizione è sbocciata in modo evidente nelle assemblee pubbliche con i parlamentari di tutto il paese. Ci sono state marce delle donne e marce degli scienziati, a cui alcuni politici hanno prestato ascolto. Dei giudici federali hanno rallentato i tentativi di Trump di prendere di mira gli immigrati e l’immigrazione, che perlomeno inizialmente erano più vicini a un atto di demonizzazione che a una decisione politica seria. Nel frattempo gli elettori in Europa – forse riportati alla ragionevolezza da quello che hanno visto negli Stati Uniti – stanno scegliendo un internazionalismo centrista e rifiutando il genere di politica etno-nazionalista che ha animato i più pericolosi tra i sostenitori di Trump.

Da nulla di tutto ciò è possibile trarre conclusioni. Trump permetterà ai suoi collaboratori di delineare una politica estera più tradizionale, con un pizzico di aggressività commerciale, oppure minerà alleanze storiche, o ancora salterà da una posizione all’altra giorno dopo giorno? Non lo sappiamo. Come reagirà la Casa Bianca quando sarà messa alla prova da una crisi, come accadrà di certo? Il Congresso e l’FBI indagheranno in modo serio sui legami di Trump con la Russia e le interferenze del paese nell’elezione del 2016?

Di sicuro, fino a che non verrà data risposta a quest’ultima domanda, è troppo presto per dire che il sistema ha funzionato. Ma il sistema – ideato dai Padri Fondatori, definito e messo alla prova nel corso del tempo, strattonato e spinto da milioni di cittadini impegnati – è al lavoro e rimane una macchina formidabile.

© 2017 – The Washington Post