Marte ci affascina anche per via di un refuso

Alla fine dell'Ottocento uno studio dell'astronomo italiano Giovanni Schiaparelli venne tradotto male, contribuendo alla credenza che Marte potesse essere abitato

Un ritaglio del New York Times del 1906
Un ritaglio del New York Times del 1906

Quando si parla di esplorazione, il pianeta Marte suscita sempre grande fascino, ed è stato spesso utilizzato come spunto narrativo per raccontare storie di fantascienza (una delle ultime è Sopravvissuto – The Martian, diretto da Ridley Scott e con Matt Damon come protagonista). Alla radice di questo interesse ci sono varie ragioni: la più intuitiva, ad esempio, è la vicinanza tra la Terra e Marte. Ma un’altra riguarda invece un errore di traduzione per via del quale ci si è convinti che su Marte ci fosse vita intelligente – i famosi “marziani” – che questa civiltà fosse capace di enormi opere ingegneristiche.

L’errore risale al 1877, quando l’astronomo piemontese Giovanni Schiaparelli, osservando Marte con il suo potente telescopio posizionato all’osservatorio Brera a Milano, notò la presenza di profondi solchi sulla superficie del pianeta, che definì “canali”. La scoperta non venne però intesa correttamente quando fu tradotta in inglese. La migliore traduzione infatti sarebbe stata marks, oppure grooves, più adatti a indicare la cosa che intendeva Schiaparelli: nient’altro che solchi nel terreno, magari formatisi naturalmente. La parola che venne utilizzata invece fu canals, che in italiano può essere tradotto con “naviglio” o “canalizzazione”: un’opera grazie a cui l’acqua viene convogliata artificialmente, ad esempio per irrigare i campi o per deviare il corso di un fiume. L’errore più grave fu attribuito a Percival Lowell, un astronomo americano che riprese gli studi di Schiaparelli (o meglio, la traduzione che circolò in lingua inglese, non è chiaro fatta da chi) portando avanti più di chiunque altro l’idea che su Marte ci fosse vita. Popular Mechanics fa notare che l’errore fu incoraggiato anche da una mappa di Marte disegnata dallo stesso Schiaparelli, che ritrasse il pianeta in maniera simile alla Terra.

Lowell si fece costruire un osservatorio personale a Flagstaff, in Arizona, con lo scopo esclusivo di utilizzarlo per studiare le canalizzazioni di Marte. Già nel 1895, pochi anni dopo la scoperta di Schiaparelli, pubblicò un articolo per l’Atlantic in cui ipotizzava come potesse essere fatto un “marziano”. Nel 1906 invece pubblicò il libro Mars and its Canals, nel quale sosteneva che i canali venissero utilizzati per trasportare l’acqua dalle aree polari, che ne erano ricche, a quelle centrali, più aride. Secondo Lowell, questa era una prova del fatto che non solo i marziani fossero intelligenti, ma che lo fossero più dei terrestri. Nonostante per l’epoca i metodi di osservazione di Lowell fossero piuttosto accurati, le sue conclusioni frutto dell’entusiasmo misero a disagio i suoi collaboratori e irritarono lo stesso Schiaparelli.

Nei decenni successivi le teorie di Lowell vennero smentite da diversi studiosi. Nel 1907 Alfred Russell Wallace pubblicò il libro Is Mars Habitable? , criticando apertamente quanto sostenuto da Lowell in Mars and its Canals. Ad alimentare il mito ci pensarono diversi articoli di giornale un po’ fuorvianti sulle ricerche di Lowell – come questo, pubblicato nel 1911 dal New York Times – oppure trovate come quella di Orson Welles che nel suo radiodramma War of Worlds trasmesso negli Stati Uniti nel 1938 dalla radio della CBS racconta un’invasione della Terra da parte proprio dei marziani. Fra l’altro, un altro articolo del New York Times del 1904 metteva in relazione le scoperte di Lowell e il romanzo di fantascienza di Herbert George Wells da cui era tratto il radiodramma di Orson Welles. Nonostante all’inizio e alla fine del radiodramma fossero stati trasmessi degli avvisi per spiegare che si trattava di uno sceneggiato, la trasmissione diventò famosa per aver generato molta agitazione tra gli ascoltatori per via della sua messa in scena estremamente verosimile (anche se le storie sul panico e l’ondata di suicidi che avrebbe generato sono false).

Più di recente, il nome di Schiaparelli è stato molto ripreso dai giornali internazionali perché attribuito al lander della missione ExoMars dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) in omaggio all’astronomo italiano. ExoMars è la missione più importante e ambiziosa organizzata dall’ESA dopo i successi ottenuti con la sonda Rosetta e Philae intorno alla cometa 67P. Il nome stesso della missione verso Marte riassume efficacemente gli scopi dell’iniziativa: “exo” deriva dalla parola inglese “exobiology”, la parte della biologia che contempla la possibilità che vi sia vita fuori dalla Terra e che cerca di indagarne la natura. Il progetto è diviso in due missioni spaziali: la prima, quella iniziata il 14 marzo 2016, ha permesso di inviare verso Marte la sonda TGO e Schiaparelli, che formalmente è un modulo dimostrativo di ingresso, discesa e atterraggio sul pianeta; la seconda è invece in programma per il 2020 e porterà su Marte un rover (robot automatico) per eseguire ricerche più approfondite. La seconda dipende strettamente dalla prima missione, perché sarà organizzata sulla base dei dati raccolti da TGO e Schiaparelli, prima che smettesse di inviare segnali.

Tuttavia nella prima parte della missione qualcosa è andato storto. Lo scorso 19 ottobre infatti, il lander è precipitato su Marte e si è probabilmente distrutto in seguito all’impatto con il suolo, dal momento che da allora non ha più inviato alcun tipo di dati.