La redenzione di Glenn Beck, estremista di destra

Il celebre conduttore americano si è scusato per le posizioni divisive su cui ha costruito la sua carriera, e ora predica una specie di riconciliazione tra conservatori e progressisti

di Marc Fisher - The Washington Post

I cosiddetti media progressisti americani stanno diffondendo la buona nuova sulla redenzione di Glenn Beck, celebre conduttore radiofonico e televisivo famoso per le posizioni molto conservatrici adottate nel corso degli anni. «Glenn Beck è dispiaciuto per tutto quanto», ha scritto il New York Times, mentre il New Yorker ha detto che «Glenn Beck ha scoperto il contegno» e l’Atlantic ha elencato «i rimorsi di Glenn Beck». Per i giornali che per anni sono stati bollati da Beck come deboli élite che hanno portato gli Stati Uniti alla deriva, l’idea che Beck ora si scusi per tutto quello che ha fatto per rendere l’America un posto più brutto, chiassoso e diviso è troppo invitante per trattenersi. In un momento di buio profondo per gli intellettuali americani, il cambiamento di Beck è un regalo luccicante: Glenn Beck – il padrino del Tea Party, un istigatore televisivo di prim’ordine, promotore di cervellotiche e terribili teorie del complotto – non solo ha passato l’ultimo anno a sostenere il movimento contro Trump, ma ha anche rifiutato il suo passato diventando una prova vivente del potere dell’amore, della comprensione e dell’empatia, per di più nei confronti dei progressisti americani. Per le persone che desiderano ardentemente credere che il movimento che ha reso possibile la presidenza Trump stia avendo seri ripensamenti, il nuovo Glenn Beck sembra un dono dal cielo.

Sette anni fa Beck era il quarto uomo più ammirato negli Stati Uniti (poco davanti al papa). Gridava, spiegava, piangeva e disegnava tabelle complicate su una lavagna per mostrare come delle forze malvagie stessero cospirando contro i bravi americani. Seminava paura, e chiamò a raccolta i suoi sostenitori per formare un esercito di centinaia di migliaia di persone che mosse da una rabbia moraleggiante invasero Washington per una manifestazione in difesa della Costituzione, decise a realizzare la profezia che Beck, un mormone, aveva descritto loro: l’emozionante racconto della marcia dei seguaci del profeta mormone Joseph Smith attraverso le strade dello Utah, con solamente la Costituzione a proteggerli.

All’epoca Beck era il cattivo della tv via cavo americana, prima sul canale HLN di CNN e poi su Fox News – un ex dj radiofonico che, come Rush Limbaugh, Howard Stern e molte altre influenti celebrità dei programmi radio americani passò dalle classifiche dei 40 dischi più venduti alle notizie, senza mai dimenticare le regole delle classifiche dei dischi: fare le cose con semplicità, mai fermarsi e mai smettere di vendere.

Adesso Beck ha detto basta. «Non sono più disposto a farlo», dice. Si sporge in avanti, abbassa la testa come se stesse facendo penitenza e dice di essere distrutto dai rimorsi. Oggi, a 53 anni, Beck vede gli Stati Uniti come una nazione di persone arrabbiate tra di loro e dà la colpa al suo linguaggio, alla sua cattiveria e ai suoi attacchi, al modo in cui promuoveva costantemente l’idea che l’altra parte fosse il male e che la sua avesse l’unica vera risposta. Beck crede che i suoi programmi in radio e in televisione e i suoi comizi a Washington abbiano spianato la strada all’inciviltà, all’intolleranza e alla sensazione di disagio che oggi affliggono gli Stati Uniti. «Ho fatto e detto cose terribili», dice Beck, «dicevo quello che pensavo ad alta voce e questa è una delle cose peggiori. Ma i miei principi non sono cambiati. Ho cambiato il modo di dire le cose: per esempio, sto cercando di eliminare la parola “male” dal mio vocabolario. Non mi ero accorto che il mio linguaggio potesse essere interpretato come razzista da metà del paese. Mi è mancata l’umiltà. Ero il massimo dell’arroganza».

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Glenn Beck abbraccia Amber Fisher, moglie di uno dei co-conduttori del suo programma, dopo aver ricevuto da lei un regalo per il suo 53esimo compleanno (The Washington Post – Rex C. Curry)

Beck è davvero dispiaciuto. E non si sottrae a chi lo incolpa per l’esistenza della presidenza Trump. Anzi, sbatte le palpebre sui suoi occhi azzurri e dice con il più sincero e garbato dei toni di essere determinato a diventare una persona migliore e insegnare il diritto di amare e abbracciare. È il genere di cose che oggi dice in onda, che il suo pubblico, sparso tra 400 stazioni radiofoniche e su Blaze, il suo sito di news e talkshow, francamente non sa come prenderle. Beck pensa che buona parte dei suoi ascoltatori stia smettendo di seguirlo. Ogni mattina al Glenn Beck Program, Beck chiede al suo pubblico di tornare dalle persone che hanno eliminato da Facebook, di sedersi a parlare con i vicini di casa che hanno allontanato e, soprattutto, di mettere da parte la politica e ascoltarsi l’un l’altro. Poi, nei momenti designati, interrompe la sua nuova litania e legge gli spot che finanziano il suo ampio e bellissimo Mercury Studios, un ex teatro di posa fuori Dallas, in Texas. Mentre legge da un raccoglitore Beck torna a essere il personaggio per cui i suoi sponsor hanno pagato, il seminatore di paura. Promuove un sistema di allarme per case, una cassaforte domestica che «protegge la mia famiglia e le mie armi», un sistema di difesa contro il furto di informazioni personali su internet, una fornitura di un mese di generi di sopravvivenza (preparewithglenn.com) e un’azienda che incoraggia le persone a comprare oro perché, come dice Beck, «non so cosa ha in serbo il futuro ma sono in arrivo enormi cambiamenti». Di questo Beck non è dispiaciuto: «sono ancora un catastrofista», dice, «credo ancora che un grave pericolo sia imminente».

Beck si occupa di vendere fin da quando era un adolescente. All’apice della sua popolarità vendeva teorie del complotto, diffondeva l’idea che il presidente Obama avesse «un odio radicato verso i bianchi» e che stesse portando gli Stati Uniti al punto di diventare «uno stato fascista», e diceva di temere che i suoi nemici di sinistra presto gli «avrebbero sparato in testa». Adesso scoprirà se è in grado di vendere empatia.
Riaz Patel è un uomo laico, progressista, gay, musulmano e immigrato. Fino a poco tempo fa non era un fan del Glenn Beck Program. Poi, però, è diventato socio e amico di Beck. I due trasmettono insieme e organizzano cene con le rispettive famiglie. Presto Beck e Patel partiranno insieme per visitare le piccole cittadine americane, posti in cui Trump ha vinto con ampio margine; lì i due nuovi amici incontreranno persone, ascolteranno quello che hanno da dire e presenteranno il nuovo messaggio di Beck: deporre le armi che in passato Beck stesso li ha invitati a imbracciare e imparare di nuovo ad amare il prossimo, persino i laici, progressisti, gay, musulmani e immigrati.

L’anno scorso Patel, un produttore televisivo che ha realizzato reality show con titoli come How to Look Good e How to Look Good Naked, era a Orlando per partecipare a un matrimonio pachistano quando un cittadino americano sostenitore dello Stato Islamico uccise 49 persone all’interno del locale Pulse. Un suo amico che lavorava per Blaze, il sito di Beck, gli chiese di partecipare al programma di Beck per parlare dell’attacco. Patel era molto scettico all’idea. Conosceva Beck come un seminatore d’odio, una persona contraria a ogni aspetto della sua identità e della sua vita. «Era la personificazione dell’informazione arrabbiata», dice Patel, «giocava con il fuoco ed era una cosa entusiasmante. Ha delle colpe. Pensavo che Glenn fosse il diavolo bianco». Poi, però, i due parlarono a lungo. Lentamente Patel si convinse che il cambiamento di Beck fosse sincero. «Quella che vedete adesso è maturità», dice Patel, «sono pronto a scommetterci la carriera».

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(The Washington Post – Rex C. Curry)

Patel, che ha 43 anni, passa gran parte del suo tempo a Dallas a prepararsi con Beck a sbandierare la loro amicizia come prova del fatto che destra e sinistra non devono per forza essere nemiche. «Non è roba sdolcinata», dice Patel, «siamo nella seconda Guerra civile. Quello che diciamo noi è: “fermatevi e guardate le facce delle persone”. Quanta divisione ancora possiamo sopportare prima che si inizi a sparare?». L’agente, gli amici e i familiari di Patel lo mettono in guardia dal fatto che Beck stia solo cercando un’assoluzione. Per i fan di Beck, invece, Patel è solo interessato ai soldi. I due dicono che probabilmente il tour che faranno insieme farà loro perdere dei soldi. «È una cosa che mi terrorizza», dice Patel, «sto mettendo a rischio la mia carriera per un uomo che ho conosciuto sei mesi fa. Lui però è troppo stanco per cercare una grande rinascita professionale. Vuole solo che la gente lo veda per quello che è adesso. Lo guardo negli occhi e so che è così».

Patel non è l’unico nuovo amico di Beck. Di recente Beck ha fatto amicizia anche con Samantha Bee, la conduttrice del programma comico progressista Full Frontal with Samantha Bee del canale americano TBS, a cui ha partecipato a dicembre. «Il mio pubblico vorrebbe accoltellarti in un occhio senza pietà», ha detto Beck a Bee, che ha risposto: «Il mio pubblico vuole uccidermi per aver normalizzato un fuori di testa come te». I due si sono scambiati delle torte in onda e sono diventati, come ha detto Bee con un po’ di esitazione, «alleati». Hanno in programma di andare insieme in Uganda per salvare i bambini dal commercio degli schiavi del sesso e l’estate prossima progettano di invitare i rispettivi pubblici a Detroit per svolgere lavori socialmente utili, come imbiancare scuole e ripulire i quartieri, il genere di cose che Beck prendeva crudelmente in giro in passato e che faceva l’odiato Obama: organizzare la comunità. «Non respingo più le cose che respingevo nel 2007», dice Beck.

Per gran parte del pubblico di Beck la sua svolta si sta dimostrando difficile da accettare. Su Blaze diversi commentatori hanno reagito al nuovo Glenn Beck con grande scetticismo. «Non abbiamo bisogno di “prendere lezioni” da te. Grazie, ma siamo in grado di capire le cose da soli. Quindi prendi le tue stronzate bigotte e ficcatele in quel posto», si legge in uno dei commenti. Beck riconosce di avere grandi dubbi sul successo del suo nuovo progetto. Non si illude di riuscire a convincere Bee a far suo il suo stile di libertarismo. Non sa se l’evento con Patel riuscirà ad attirare un pubblico, tanto meno convincere qualcuno ad abbracciare un progressista. Però, è convinto di doverci provare.

Beck crede che le persone in entrambi gli schieramenti debbano capire le paure più radicate dell’altra parte: per esempio, la sinistra teme che Trump possa mettere gli immigrati in campi di concentramento, mentre le persone di destra hanno paura che i democratici vogliano portare loro via le armi. Beck crede che al di sotto di quelle paure la maggior parte degli americani condividano gli stessi principi fondamentali: la libertà d’espressione, l’iniziativa individuale e il prendersi cura di chi ha meno. «Non riusciremo a unirci sulla politica», dice Beck, «ma possiamo unirci sui principi. È tempo che l’odio finisca o distruggeremo noi stessi».

Per Michael Harrison – il direttore di Talkers, una rivista commerciale del settore dei programmi radiofonici – non è uno spettacolo nuovo: per decenni ha visto Beck reinventarsi volta dopo volta, passando dall’essere il disc jockey che conduceva la classifica dei 40 dischi più venduti al comico dei programmi radiofonici del mattino, fino al conduttore radiofonico sopra le righe e a sentinella della sventura politica. «Beck è la cosa più vicina a un performance artist che abbiamo in radio: è uno showman e un attore che segue il metodo Stanislavskij», ha detto Harrison, «Beck si sta trasformando, come quei wreslter professionisti che passano dall’interpretare il cattivo a interpretare il buono. È imprevedibile, e questa è una cosa insolita in radio. Molte delle persone che hanno successo sono prevedibili perché è quello che vuole il pubblico. Viviamo nell’epoca della conferma delle opinioni».

I conduttori di talk show che hanno avuto un voltafaccia politico dicono che “rompere” con il proprio pubblico sia una cosa pericolosa per la propria salute mentale e per il conto in banca. Indipendentemente dalle loro opinioni originali su un certo candidato, Rush Limbaugh, Sean Hannity e altri titani del settore di solito finiscono con il sostenere i portabandiera del Partito Repubblicano perché questo è quello che si aspetta il loro pubblico. Nell’ultimo anno Limbaugh è passato dal deridere pesantemente Trump a sostenere il nuovo presidente americano. Per alcuni conduttori sostenere Trump, però, era un passo troppo estremo. Charlie Sykes, un importante conduttore conservatore di Milwaukee, è stato fermamente contrario a Trump dall’inizio e per questo ha finito con il perdere il suo programma. Negli ultimi decenni Chip Franklin è stato un affidabile libertario di destra che ha condotto talk show a Washington, Baltimora e San Diego. Ma poi «dopo il 2008 ho capito di essere stato raggirato», ha detto Franklin, «ho iniziato a essere totalmente onesto riguardo alle mie posizioni nel mio programma». Le cose non andarono bene: «Alcuni ascoltatori mi hanno trattato come se avessi rapito il loro figlio». Oggi Franklin conduce un programma giornaliero a San Francisco, dove è diventato un vero progressista. «In questo settore puoi andare da destra a sinistra, ma non nel senso opposto», ha detto. Franklin pensa che lo stile emotivamente aperto di Beck farà sì che molti dei suoi sostenitori lo seguano lungo la tortuosa strada che ha intrapreso. Il fascino di Beck non è mai stato legato interamente alla politica; ha sempre conquistato sostenitori mettendo a nudo la sua anima turbolenta. «Sta davvero cambiando come dice?», ha detto Harrison, «Non lo so. Non sono il suo psicanalista».

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Glenn Beck nel suo studio a Irving, Texas (The Washington Post – Rex C. Curry)

Keith Ablow, invece, in un certo senso lo è. Ablow, psichiatra e opinionista di Fox News, è un vecchio amico e consigliere di Beck e ha una definizione per le sue occasionali trasformazioni spirituali e politiche: «Glenn è un cercatore. È sempre concentrato sull’auto-miglioramento, quindi mi fido della sua parola quando dice di aver avuto un’epifania». Dopo la manifestazione organizzata da Beck al Lincoln Memorial di Washington nel 2010, Ablow si fermò parlare con il suo amico e gli disse: «Forse dovresti candidarti alla presidenza». «La voce gli si strozzò in gola», ha raccontato Ablow, «“Ti stanno suggerendo che dovrei candidarmi?”, mi disse lui; io gli risposi che stavo scherzando, ma lui dà molta importanza alle voci interiori, alle visioni e al loro significato».

Beck crede di avere il dovere di essere un leader. «Nella mia vita ci sono stati tantissimi momenti di svolta in cui ho avuto un’illuminazione», dice, «e io sono sempre alla ricerca. Sia Gesù che Hitler erano capaci di attirare una folla dicendo: “State soffrendo. Io so come far sì che smetta”». Beck si interrompe. Dice che forse non avrebbe dovuto dirlo. Poi aggiunge: «Non vi consiglio di vivere nella mia testa». A volte il Glenn Beck Program è un salto attraverso le divisioni degli Stati Uniti, un appello per far tornare l’America a essere un posto accogliente e rassicurante. Beck è un nostalgico. L’ampio complesso dei Mercury Studios è un autentico museo che ospita le sue collezioni di vecchi microfoni radiofonici, macchine da scrivere, bottiglie di seltz, orologi e gadget Disney. A volte il programma torna a essere quello che è stato per molti anni: una compagnia domestica per i survivalisti, l’espressione angosciante della mentalità catastrofista di Beck, che vuole degli abbracci ma si aspetta la rovina. Altre volte ancora, il programma torna a essere quello di una ventina di anni fa – un morning show, uno di quei programmi radiofonici un po’ sopra le righe che mescolano comicità e notizie – in cui cinque persone stravaccate su un divano sghignazzano parlando della vita patetica di altri. Ad aprile Beck e il gruppo che lavora con lui al programma si sono infilati degli occhialini da nuoto e hanno immerso la faccia in alcune scodelle ripiene di Cheetos – delle patatine al formaggio molto popolari negli Stati Uniti, di colore arancione – per raggiungere il giusto livello di colore che li avrebbe fatti assomigliare a Donald Trump. «Dovete proprio farci sprofondare la faccia», ha detto Beck ai suoi compagni, «È così che si impara». Ognuno di questi aspetti del programma riflette parti del cervello di Beck. Ora, però, Beck vuole esplorare un campo nuovo: punta a fermare la pericolosa discesa che pensa di aver contribuito a iniziare. Su un’enorme lavagna nel suo ufficio è fissato un avvertimento a caratteri cubitali: «Mai più è adesso».

Oggi Beck dice di sentirsi in un certo senso rinato e un po’ perso. «Non so più come mettere in guardia le persone», ha detto; mettere in guardia le persone – soprattutto contro un crollo imminente (dell’economia, del paese, della democrazia o di tutto quanto) – è quello che pensava di essere capace di fare meglio. Al pubblico in studio che assiste al suo programma televisivo di un’ora – persone che hanno guidato fino in Texas dal Michigan e dalla Georgia solo per vederlo – Beck dice che sta «avendo un’esperienza davvero fantastica con le persone di sinistra». Il suo pubblico non sembra voler sentire cose del genere. Chiedono di poter parlare del crollo della moneta o del prossimo scossone al sistema. Beck allora si sposta nel loro campo e li avverte che «stiamo entrando in un mondo in cui la disoccupazione sarà al 50 per cento». Poi, però, cerca di tirarli dalla sua parte. «Abbiamo l’ordine di amare», dice, e un uomo con un vecchio cappellino dell’esercito gli risponde che non ha senso parlare alle persone dall’altra parte «perché non fanno altro che odiare». Il programma finisce e Beck accompagna i suoi fan all’uscita, in un mondo in cui devono affrontare scelte come quella tra Donald Trump o Hillary Clinton. Beck si chiede se i suoi sostenitori lo seguiranno nella ricerca di un percorso nuovo. «È questo il mio rimpianto più grande», ha detto, «ero caduto in quell’atteggiamento tribale. E ora sono qui ma non so ancora come raggiungere le persone dall’altra parte».

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