Un po’ di ordine sulla storia degli 80 euro

È vero che 1,7 milioni di persone hanno dovuto restituirli, ma la faccenda è più complicata di come l'avete letta sui titoli dei giornali

(ANSA/STRINGER)
(ANSA/STRINGER)

Da due giorni è nata una nuova discussione intorno ai cosiddetti “80 euro”, il bonus fiscale mensile da 80 euro, deciso nel 2014 dal governo Renzi per una fascia di cittadini italiani e poi mantenuto dal governo Gentiloni. In una nota diffusa il 28 febbraio dal ministero dell’Economia, si è saputo che alla fine del 2016 circa 966mila persone che avevano ricevuto il bonus l’hanno dovuto restituire integralmente, mentre circa 765mila ne hanno dovuto restituire una parte, perché non rientravano nei requisiti stabiliti dalla legge. In tutto circa 1,7 milioni di persone – il 14,5 per cento dei beneficiari totali del bonus, che sono 11,9 milioni – hanno dovuto restituire tutti i soldi ricevuti, circa 960 euro, o parte di questi. I critici del governo hanno accusato il ministero e Renzi di avere ingannato i cittadini che hanno dovuto restituire tutto o parte del bonus, e più in generale di avere creato disagi per le persone che avevano già speso questi soldi.

Queste critiche sono fondate solo in parte, e hanno a che fare col meccanismo un po’ particolare con cui si calcola il bonus piuttosto che con una decisione precisa del governo (come già avevamo spiegato un anno fa quando il ministero dell’Economia aveva fornito dati simili relativi al 2015). I critici inoltre omettono un particolare importante: ci sono anche persone che all’inizio dell’anno non beneficiavano del bonus – oppure ne ricevevano solo una parte – e che in seguito ne hanno ottenuto il diritto e quindi sono state “risarcite” a fine anno, sempre per via dello stesso meccanismo. Secondo la nota del ministero dell’Economia, alla fine dell’anno scorso 514mila persone hanno ricevuto l’importo corrispondente a un anno intero di bonus, mentre un milione e novemila persone hanno ottenuto un’integrazione rispetto al bonus percepito durante l’anno.

Il bonus da 80 euro mensili – tecnicamente un credito di imposta sull’IRPEF per lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi – spetta a tutti i lavoratori dipendenti che guadagnino meno di 24mila euro all’anno. Di fatto è una detrazione fiscale: di conseguenza non interessa quei contribuenti che guadagnano meno di 8.174 euro all’anno, e per i quali è già previsto uno sconto totale dell’IRPEF. Dai 24mila euro in su, invece, il bonus si riduce progressivamente fino a scomparire per i redditi superiori ai 26mila euro.

Il problema principale è che il meccanismo prevede un’erogazione mensile, ma i criteri per la sua distribuzione vengono calcolati su base annuale: esistono quindi diversi casi in cui l’Agenzia delle entrate, una volta esaminata la dichiarazione dei redditi, deve correggere in negativo (cioè chiedendo indietro) o in positivo (cioè erogando nuovi fondi) il saldo del bonus, solo molti mesi dopo che il contribuente in questione ha ricevuto i soldi. I casi principali di restituzione o nuova erogazione interessano tre categorie di persone: i contribuenti che durante l’anno hanno ricevuto un aumento di stipendio, e quindi hanno cambiato fascia di reddito; quelli che hanno aggiunto un altro reddito oltre a quello già preso in considerazione; quelli che durante l’anno hanno perso il lavoro o subìto una riduzione dello stipendio, e che di conseguenza hanno dichiarato meno di 8.174 euro.

Queste ultime persone si trovano in una situazione piuttosto paradossale: devono restituire gli 80 euro ricevuti ma al contempo sono diventati creditori nei confronti dello stato di un’altra somma, perché grazie alla loro nuova condizione hanno diritto a non pagare del tutto l’IRPEF. Il guaio è che hanno dovuto restituire i 960 euro in una volta sola, quando magari li avevano già spesi, mentre lo Stato restituirà loro i soldi versati per l’IRPEF solamente in un secondo momento.

Secondo molti la causa del problema è che il governo ha introdotto gli 80 euro sotto forma di bonus mensile e non come conguaglio a fine anno, cosa che avrebbe permesso di evitare gran parte dei casi di restituzioni. Già l’anno scorso il responsabile economico del PD, Filippo Taddei, aveva spiegato che il governo Renzi aveva fatto questa scelta per ragioni di “trasparenza” e “correttezza” nei confronti dei contribuenti. Altri avevano sottolineato anche la maggior “visibilità” del bonus mensile in busta paga, rispetto a un conguaglio a fine anno (inizialmente Renzi aveva presentato il bonus da 80 euro mensili come un unico bonus da mille euro l’anno).