I visori per la realtà virtuale non stanno vendendo molto

Prezzi alti e pochi contenuti di qualità frenano la domanda, fatta eccezione per un inatteso successo di Sony

Un visore PlayStation VR di Sony (Justin Sullivan/Getty Images)
Un visore PlayStation VR di Sony (Justin Sullivan/Getty Images)

Grandi aziende come Facebook, Sony, Samsung, Google e HTC stanno investendo molto denaro e risorse per lo sviluppo dei caschi per la realtà virtuale: gli affari da mettersi in testa con un visore per entrare in mondi virtuali in cui ritrovarsi con gli amici, navigare su Internet, guardare un film o giocare ai videogiochi. Il grande interesse dei produttori è stato finora bilanciato da un certo scetticismo di esperti e analisti, dovuto soprattutto alla lenta crescita delle vendite e allo scarso coinvolgimento dei clienti. Mark Zuckerberg, il CEO di Facebook, è convinto che i visori per la realtà virtuale potrebbero ripetere il successo senza precedenti degli smartphone – i “videofonini” furono accolti da altrettanto iniziale scetticismo – e per questo nel 2014 ha acquisito Oculus, la società specializzata nella realizzazione dei visori e considerata da molti una delle più promettenti sul mercato. Gli sforzi fatti finora, che hanno previsto investimenti da centinaia di milioni di dollari, non hanno però portato a grandi risultati. L’unica azienda a fare eccezione è Sony, che con sua stessa sorpresa ha venduto in pochi mesi più visori per la realtà virtuale del previsto.

Quando Sony Interactive Entertainment, la divisione di Sony che si occupa dei videogiochi, iniziò a progettare un visore, il suo capo Even Andrew House era piuttosto scettico sulla possibilità di cavarne un granché in breve tempo. Come ha spiegato al New York Times, si diede da fare per ridurre gli entusiasmi del settore vendite e invitarli a essere molto cauti, anche alla luce degli scarsi affari fatti dai concorrenti. Ora che sono passati alcuni mesi dalla messa in vendita del PlayStation VR, House si è dovuto ricredere e ha riconosciuto di essere stato fin troppo cauto. A circa quattro mesi dalla commercializzazione, Sony ha annunciato di avere venduto 915mila visori, avvicinandosi al traguardo del milione di caschi per la realtà virtuale che aveva previsto di vendere entro metà aprile. Le vendite sono andate molto meglio del previsto, con un’alta domanda soprattutto in Giappone, dove Sony ha la sua sede principale e con una clientela tradizionalmente molto interessata alle novità tecnologiche e ai videogiochi.

Le vendite per Sony sono state soddisfacenti anche nei paesi occidentali dove il PlayStation VR è già disponibile. La domanda è stata tale da richiedere un aumento della produzione, e la società confida di incrementare il ritmo ulteriormente nei prossimi mesi, in tempo per la messa in vendita del suo visore nel Sudamerica.

Sony per ora ha battuto la concorrenza in termini di vendite, almeno secondo gli analisti: i suoi principali concorrenti – Oculus e HTC – non hanno diffuso dati, ma SuperData Research stima che in tutto il 2016 abbiano venduto rispettivamente 243mila e 420mila visori. Buona parte del successo dei PlayStation VR è dovuta al fatto che funzionano con una PlayStation, la popolare console per videogiochi di Sony, senza richiedono l’utilizzo di computer piuttosto potenti e costosi. Sfruttando le caratteristiche della sua console Sony ha potuto mettere in vendita un casco per la realtà virtuale che costa 399 euro, più economico di quelli della concorrenza, anche se meno potente e con una resa inferiore per quanto riguarda definizione ed “effetto realtà”. Il dispositivo si è però rivelato un compromesso più che sufficiente per chi voleva sperimentare la realtà virtuale senza spendere un sacco di soldi: un po’ come comprare una buona e affidabile utilitaria invece di un costoso SUV superaccessoriato.

Il Rift di Oculus è considerato il miglior casco per la realtà virtuale in circolazione da buona parte di critici ed esperti: rispetto a un PlayStation VR si nota la differenza, soprattutto per quanto riguarda la qualità dell’immagine e la capacità dei sensori di rispondere a ogni spostamento, rendendo quasi nullo il ritardo (“lag”) tra le cose mostrate sullo schermo e i movimenti della testa (più è basso il ritardo, più la scena appare realistica e si ingannano meglio i sensi evitando di avere un forte senso di nausea, simile a quello che si prova con il mal d’auto perché ci si muove stando fermi). Per funzionare deve essere collegato a un computer potente a sufficienza per gestire la mole di dati fornita dal visore in ogni istante durante una simulazione: alla spesa di 699 euro per il Rift si devono quindi aggiungere circa 1.000 euro per un buon PC. Tra accessori e il resto, si arriva a spendere quasi quattro volte la cifra necessaria per un PlayStation VR, se si possiede già una PlayStation 4 (la versione base costa poco meno di 300 euro).

HTC con il suo visore Vive è riuscita a fare meglio di Oculus, almeno secondo le analisi di mercato disponibili finora. Il suo sistema è considerato il principale concorrente del Rift, ma ha anche alcune funzioni in più come una videocamera sulla parte frontale del casco, per la realtà aumentata (la sovrapposizione di oggetti virtuali in ambienti reali). Vive costa 899 euro, deve essere collegato a un computer, mentre videogiochi e applicazioni possono essere scaricate dalla sezione per la realtà virtuale di Steam, uno dei più grandi servizi online per il download e la gestione dei videogiochi.

Alcune fonti consultate dal Financial Times hanno spiegato di essere rimaste sorprese dal successo di HTC, considerato che Oculus aveva accumulato un cospicuo vantaggio soprattutto nello sviluppo delle tecnologie per ridurre il “lag” e rendere più coinvolgenti le esperienze virtuali. Oculus ha rallentato il ritmo dopo essere stata acquisita da Facebook: ha faticato ad adattarsi al cambiamento, che l’ha portata da essere un’azienda con un approccio quasi artigianale a una società controllata dal più grande social network al mondo. Mentre HTC faceva progressi, Oculus ha accumulato ritardi nello sviluppo dei dispositivi e della loro messa in vendita, lasciando spazi vuoti che Vive ha potuto colmare prima di Rift.

Mark Zuckerberg continua comunque a essere molto ottimista su Oculus e alla fine dello scorso anno ha detto di avere un piano nel lungo periodo, che potrebbe portare Facebook a spendere fino a 3 miliardi di dollari in una decina di anni per diffondere la realtà virtuale e renderla più familiare agli iscritti al social network. In alcune dimostrazioni organizzate nell’ultimo anno, Zuckerberg ha mostrato quali usi immagina per i visori, dalla possibilità di ritrovarsi con amici in ambienti virtuali per guardare insieme un film a fare attività con la realtà aumentata. Oculus sta lavorando a versioni più economiche del suo visore, ma secondo gli analisti l’azienda è ancora lontana dal raggiungere livelli di vendita molto alti.

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L’interesse delle grandi aziende tecnologiche per la realtà virtuale ha per lo meno incuriosito gli utenti. CSS Insight, un altro gruppo che si occupa di ricerche di mercato, ha stimato che nel 2016 siano stati venduti nel complesso 11 milioni di dispositivi per la realtà virtuale. La stragrande maggioranza è costituita dai cosiddetti visori “low cost”, scatole con lenti nelle quali inserire il proprio smartphone sul cui schermo sono mostrate fotografie e video a 360 gradi, o in alcuni casi scenari più elaborati e interattivi tramite alcune applicazioni. Google e Samsung sono le due aziende più impegnate in questo settore, con lo sviluppo di smartphone che si possono collegare facilmente ai visori. A oggi la grande assente è Apple, che si contende con Samsung il primato nelle vendite degli smartphone, che non ha realizzato né espresso piani chiari sulla realtà virtuale.

CSS aveva stimato per il 2016 una crescita più sostenuta dei visori, ma si è dovuta ricredere e ora fa stime più caute sui volumi di vendite previsti per quest’anno e per quelli a venire. Fatta eccezione per i PlayStation VR, gli alti costi per un Rift o un Vive e la mancanza di un numero sufficiente di contenuti sono i due principali deterrenti che condizionano la domanda. Quello dei contenuti non è un problema da sottovalutare: a oggi esiste una tecnologia senza che ci siano idee chiare su cosa farne e come sfruttarla al meglio. I produttori immaginavano che, messi a disposizione i loro visori, gli sviluppatori avrebbero prodotto idee innovative e imprevedibili fino a qualche anno fa per sfruttarli al meglio, ma finora non è successo e – a parte qualche videogioco già famoso prima dei caschi di ultima generazione – non ci sono soluzioni imperdibili o tali da giustificare una spesa di alcune migliaia di euro.