Gli Stati Uniti dicono che FIAT Chrysler ha truccato i dati sulle emissioni

L'agenzia per la protezione dell'ambiente dice che oltre 100mila auto con motori diesel inquinano più di quanto dichiarato, il titolo in borsa è crollato

Il logo di Fiat Chrysler Automobiles (FCA) davanti alla sede di Torino. (GIUSEPPE CACACE/AFP/Getty Images)
Il logo di Fiat Chrysler Automobiles (FCA) davanti alla sede di Torino. (GIUSEPPE CACACE/AFP/Getty Images)

L’agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti (EPA) ha accusato la casa automobilistica FIAT Chrysler di aver usato un software in grado di truccare i dati sulle emissioni di 104mila veicoli venduti negli Stati Uniti a partire dal 2014. Le auto di cui parla l’EPA sono le versioni diesel di Jeep Grand Cherokee e Dodge Ram, i cui dati sulle emissioni di ossidi di azoto sarebbero stati modificati dai software installati da FIAT Chrysler per superare i limiti imposti dal Clean Air Act, la legge federale che regola l’inquinamento dell’aria negli Stati Uniti. L’EPA ha detto che continuerà a indagare sulla «natura e sull’impatto» del software. Le azioni di FIAT Chrysler hanno perso il 16 per cento dopo la notizia, arrivando a valere circa 9,29 dollari.

«Ancora una volta un grande produttore di auto ha deciso di aggirare le regole ed è stato beccato», ha detto Mary D. Nichols, presidente del California Air Resources Board (CARB), l’agenzia per l’ambiente della California. «CARB ed EPA si sono impegnati a migliorare i test sulle emissioni durante il caso Volkswagen, e questo è il risultato della collaborazione». In un comunicato diffuso poco dopo la notizia, FCA si è detta «contrariata dal fatto che l’EPA abbia scelto di emettere una “notice of violation” in merito alla tecnologia di controllo delle emissioni»; l’azienda «intende collaborare con l’Amministrazione subentrante per presentare i propri argomenti e risolvere la questione in modo corretto ed equo, rassicurando l’EPA ed i clienti di FCA US sul fatto che i veicoli diesel della società rispettano tutte le normative applicabili». FCA dice di aver «speso mesi nel fornire una mole di informazioni all’EPA e ad altre autorità governative e in diverse occasioni ha cercato di spiegare le proprie tecnologie di controllo delle emissioni ai rappresentanti dell’EPA. FCA US ha proposto diverse iniziative per risolvere le preoccupazioni dell’EPA, incluso lo sviluppo di estese modifiche del software delle proprie strategie di controllo, che potrebbero essere immediatamente applicate nei veicoli in questione, per ulteriormente migliorarne le prestazioni in termini di emissioni».

Il Clean Air Act richiede ai produttori di auto di dimostrare che i valori delle loro emissioni rispettino le norme esistenti e dichiarare l’esistenza di software che possano alterare le emissioni inquinanti. L’EPA dice che Fiat Chrysler non ha dichiarato l’esistenza di questi software, che avrebbero alterato le emissioni durante i test per ottenere i certificati di conformità ambientale. Le indagini dell’EPA hanno fatto emergere almeno otto tipi di software che possono alterare i risultati dei test sulle emissioni, e hanno verificato che le auto in questione durante il loro uso normale producevano più sostanze inquinanti rispetto a quanto emerso durante i test. Fiat Chrysler rischia una multa.

Lo scandalo dei motori truccati per ridurre i livelli di emissioni inquinanti in fase di test iniziò il 18 settembre del 2015, quando l’EPA accusò Volkswagen di aver barato nei test e di aver venduto negli Stati Uniti migliaia di auto che di fatto inquinavano più di quanto permesso. Dopo la formalizzazione delle accuse, Volkswagen aveva ammesso di aver installato su molte sue auto un particolare software che riusciva a ingannare i test sulle emissioni inquinanti. Il software era in grado di attivarsi durante i test e ridurre momentaneamente le emissioni per non risultare fuori norma. Una volta in strada, le emissioni nocive erano fino a 40 volte quelle consentite dalla legge. Lo scandalo aveva portato alla fine di settembre alle dimissioni di Martin Winterkorn da CEO di Volkswagen e alla nomina di Matthias Müller – allora amministratore delegato di Porsche – al suo posto, e a una multa da 14,7 miliardi di dollari.