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  • Sabato 7 gennaio 2017

Il rapporto sulle interferenze della Russia nelle elezioni americane

Lo hanno presentato CIA e FBI, dice che è stato lo stesso Putin a ordinare attacchi informatici e campagne online per favorire la vittoria di Trump

Maschere con i volti di Vladimir Putin e di Donald Trump in un negozio di souvenir a San Pietroburgo, in Russia, il 23 dicembre 2016 (AP Photo/Dmitri Lovetsky)
Maschere con i volti di Vladimir Putin e di Donald Trump in un negozio di souvenir a San Pietroburgo, in Russia, il 23 dicembre 2016 (AP Photo/Dmitri Lovetsky)

Il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato personalmente gli attacchi informatici ai danni dei partiti americani per influenzare il risultato delle elezioni americane dello scorso 8 novembre, secondo un’indagine le cui conclusioni sono state rese pubbliche venerdì e condotta dalle agenzie di intelligence americane – CIA, FBI e NSA – su ordine del presidente uscente Barack Obama. Inizialmente, dice il rapporto, lo scopo degli attacchi russi era quello di danneggiare la candidata Democratica Hillary Clinton, ma successivamente è diventato quello di favorire l’elezione del Repubblicano Donald Trump. Parte delle conclusioni a cui sono giunte le agenzie di intelligence erano già state diffuse, ma solo ora è stato descritto il presunto ruolo di Putin.

Il rapporto è stato presentato a Obama il 5 gennaio e al presidente eletto Trump il 6 gennaio. Per la prima volta, dopo essere stato informato personalmente del contenuto dell’indagine dai rappresentanti delle agenzie di intelligence, Trump ha riconosciuto che la Russia ha avuto un ruolo nella violazione dei sistemi informatici del Partito Democratico, ma ha insistito sul fatto che l’attacco informatico e le sue conseguenze non abbiano avuto effetto sul risultato elettorale dello scorso 8 novembre. Lo ha ribadito anche oggi con un tweet. Trump ha anche detto che l’unica ragione per cui si parla degli attacchi informatici del Partito Democratico sarebbe che la sconfitta elettorale dei Democratici li imbarazza.

A proposito degli effetti degli attacchi informatici russi, il rapporto specifica che non sono state fatte «valutazioni sull’impatto delle attività russe sul risultato delle elezioni del 2016» dato che l’analisi del processo politico statunitense e dell’opinione pubblica americana non faceva parte degli scopi dell’indagine.

Secondo il rapporto, la Russia ha organizzato gli attacchi informatici e attività di “trolling” su Internet contro le persone viste come ostacoli per gli sforzi russi di influenzare le elezioni. In particolare, le agenzie di intelligence sono molto sicure che il G.R.U., la principale agenzia di servizi segreti militare russa, abbia creato l’hacker Guccifer 2.0 e il sito DCLeaks per diffondere le email del Partito Democratico e quelle del presidente del comitato elettorale di Hillary Clinton, John Podesta. Le stesse email sarebbero poi state consegnate a WikiLeaks dopo che la prima pubblicazione su DCLeaks non ebbe gli effetti sperati, secondo il rapporto. Il fondatore di WikiLeaks Julian Assange ha negato che la Russia fosse la fonte delle email pubblicate dal suo sito. Il rapporto dice anche che la Russia ha raccolto informazioni sui Repubblicani e che non ci sono state forme di intromissione nei sistemi di voto usati l’8 novembre. Oltre alle attività online, dice il rapporto, sono state fondamentali per la campagna russa i media di stato, come Russia TodaySputnik News, utilizzati come piattaforme per diffondere messaggi pro-Trump in Russia e all’estero.

Il rapporto dà anche una possibile spiegazione sulle ragioni per cui Putin avrebbe ordinato gli attacchi informatici e la campagna online per influenzare le elezioni: in passato il presidente russo si è trovato bene ad avere a che fare con «leader occidentali i cui interessi economici li rendevano più disposti a fare accordi con la Russia». Tra questi è citato l’ex presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi. Inoltre, sempre secondo il rapporto, Putin vedrebbe Trump come un potenziale alleato per le operazioni contro lo Stato Islamico, condotte però con le modalità e le coalizioni internazionali preferite dalla Russia. Trump disse di essere favorevole a questo tipo di strategie in un’intervista al New York Times del marzo 2016. Ma secondo il rapporto, l’interferenza russa con le elezioni americane è parte di un più ampio progetto, tuttora in corso, per screditare le democrazie occidentali.

Il rapporto sostiene che gli obiettivi della Russia sono cambiati nel tempo, e che inizialmente avevano come scopo quello di ridurre la fiducia degli americani nel sistema democratico del loro paese e di screditare Clinton. Gli attacchi informatici iniziarono molto prima che Trump diventasse il candidato Repubblicano: il G.R.U. ha avuto accesso ai sistemi informatici del Partito Democratico per undici mesi, dal luglio 2015 al giugno 2016. L’ostilità di Putin nei confronti di Clinton è dovuta, secondo al rapporto, al suo sospetto che quando Clinton nel 2011, quando era segretaria di Stato, incitò delle proteste contro di lui. Con il passare dei mesi, secondo il rapporto, la Russia «ha sviluppato una chiara preferenza verso il presidente eletto Donald Trump», e ha tentato ripetutamente di aumentare le sue possibilità di vittoria. Il rapporto dice anche che i responsabili dell’operazione russa consideravano inevitabile la vittoria di Clinton, e avevano preparato una serie di campagne online per delegittimare il risultato elettorale, tra cui una campagna su Twitter incentrata sull’hashtag #DemocracyRIP.

Il rapporto non spiega come le agenzie di intelligence statunitensi siano giunte alle loro conclusioni, e per questo potrebbe essere attaccato dai sostenitori di Trump, che nell’ultimo periodo ha più volte detto che i servizi segreti americani sono politicizzati. Versioni più complete del rapporto sono state preparate per il Congresso e per alcuni parlamentari e alcuni funzionari dell’amministrazione uscente e di quella entrante, e contengono informazioni su come le agenzie di intelligence sono giunte alle loro conclusioni. La diffusione del rapporto, in ogni caso, ha generato reazioni preoccupate anche da parte di politici Repubblicani, come quella del senatore Richard Burr, presidente del comitato per l’intelligence al Senato, che ha detto di aspettarsi che «i leader del paese rispondano in modo appropriato». Le pressioni del Partito Repubblicano e dell’opinione pubblica potrebbero rendere difficile per Trump revocare una volta in carica le sanzioni alla Russia decise da Obama in risposta alle violazioni informatiche.

Negli ultimi giorni, prima della presentazione del rapporto delle agenzie di intelligence, Trump ha criticato in più modi le agenzie di intelligence su Twitter. Il 4 gennaio ha sostenuto che la presentazione del rapporto fosse stata posticipata al 6 gennaio per «costruire le accuse» contro la Russia. Lo stesso giorno ha riportato un’affermazione di Assange secondo cui «un quattordicenne avrebbe potuto hackerare le email di Podesta», dando credito alla sua tesi secondo cui non sarebbe stata la Russia a fornire le email a WikiLeaks.

Secondo fonti del Wall Street Journal, Trump sta progettando una riforma dei servizi di intelligence americani, in particolare dell’Ufficio del Direttore dell’Intelligence nazionale (ODNI), l’ente che dirige le 17 agenzie e organizzazioni di intelligence del governo federale. L’ODNI è stato creato dal presidente George W. Bush nel 2004 per organizzare meglio le attività di antiterrorismo dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001; secondo Trump sarebbe un organo eccessivamente politicizzato. L’ODNI è stato criticato più volte in passato, e già un rapporto presentato alla Casa Bianca nel 2010 consigliava di ridurne l’attività: non se ne fece nulla perché l’ente è coinvolto in molte operazioni che hanno come obiettivo la sicurezza nazionale. Il piano di riforma del presidente eletto riguarda anche la CIA, di cui Trump vorrebbe tagliare il personale che lavora nel quartier generale della Virginia per mandare più agenti all’estero. Trump ha più volte messo in discussione l’affidabilità della CIA, citando ad esempio le informazioni rivelatesi scorrette sulle armi di cui sarebbe stato in possesso il dittatore iracheno Saddam Hussein nel 2003.

Oggi Trump ha nominato il lobbista ed ex senatore Dan Coats, ex membro della Commissione del Senato sull’intelligence, come nuovo capo dell’ODNI. La nomina dovrà essere confermata dal Senato. Coats è stato ambasciatore americano in Germania dal 2001 al 2005 e negli scorsi anni è stato molto critico nei confronti della Russia: dopo l’annessione della Crimea nel 2014 è stato una della persone che hanno chiesto all’amministrazione Obama di imporre sanzioni alla Russia.