Nella sua rubrica quotidiana su Repubblica, Michele Serra commenta giovedì le dimissioni dalla Rai di Carlo Verdelli, e rappresenta l’impressione che pressioni e conservazioni interne ed esterne rendano impossibile una riforma dell’azienda pubblica (impressione espressa in altra forma anche da Mattia Feltri sulla Stampa).
Non è difficile immaginare come si sente Carlo Verdelli dopo le sue dimissioni dalla Rai. Si sente sconfitto e dispiaciuto, perché non c’è italiano maturo (almeno quelli nati prima dei Settanta) che non consideri la Rai come un pezzo importante del Paese, decisivo nella nostra formazione, nella nostra storia e nelle nostre abitudini. Diciamo che la Rai ricambia molto distrattamente l’affetto che le portiamo. E quando uno dei migliori giornalisti italiani (fidatevi) viene chiamato alla Rai per riformare l’informazione; e il suo piano viene poi respinto o comunque congelato perché turberebbe troppo equilibri e poteri consolidati; allora si capisce una volta di più che quell’azienda è irriformabile. Dall’interno perché è un mondo rappreso nelle sue abitudini e nelle sue pigrizie. E dall’esterno perché un esterno non deve permettersi.
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