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  • Giovedì 13 ottobre 2016

Giudici e pm, sono due cose diverse

Lo spiega di nuovo l'ex procuratore Piero Tony, che segnala come "i mali della giustizia" siano oggi gli stessi di trent'anni fa

(Piero Cruciatti / LaPresse)
(Piero Cruciatti / LaPresse)

Piero Tony è un ex magistrato che ha fatto il pubblico ministero in molti processi importanti, e che fece molto notizia vent’anni fa quando chiese in appello l’assoluzione di un imputato condannato per gli omicidi del cosiddetto “mostro di Firenze”, contraddicendo una consuetudine per cui difficilmente – benché ne abbia titolo e mandato – un pubblico ministero ammette che contro un imputato non ci siano prove sufficienti. Negli anni successivi Tony è stato spesso critico degli approcci corporativi e bellicosi di una parte della magistratura italiana, e l’anno scorso ha pubblicato un libro sul tema assai criticato dai suoi colleghi. Mercoledì il Foglio ha pubblicato un suo articolo sui problemi della Giustizia italiana, in cui sostiene che ci sia ancora una grande chiusura verso i diritti degli imputati e che tutto discenda ancora da una questione che negli ultimi anni è stata accantonata: l’anomalia italiana delle simili, contigue e intercambiabili carriere tra magistrati dell’accusa e magistrati giudicanti, quella per cui per esempio entrambe le funzioni sono spesso definite “giudici”.

In una delle “Lettere a Francesca”, pubblicate recentemente a cura di Francesca Scopelliti, nel commentare la vicenda processuale in cui si sentiva drammaticamente intrappolato, il detenuto Enzo Tortora esclamava che con quel sistema processuale così poco garantito “tutto” poteva accadere a qualsiasi persona, proprio “tutto”. A difesa di Tortora e della civiltà giudiziaria, sempre in quei giorni, le stesse parole vennero scritte da Enzo Biagi in un’accorata lettera al presidente Pertini. Era l’anno 1983. Quando intervenne la sua definitiva assoluzione, il 13 giugno 1987, e dunque a quattro anni dall’arresto, l’allora presidente dell’Associazione nazionale magistrati Alessandro Criscuolo tentò di rassicurare l’opinione pubblica proclamando che quanto successo era frutto di norme “di tempi bui e autoritari” ma che l’imminente nuovo codice di procedura penale non avrebbe più consentito il ripetersi di drammi del genere, evidentemente perché avrebbe riallineato la giustizia a canoni trasparenti e democratici. Ciò accadeva quasi 30 anni fa.

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