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  • Sabato 24 settembre 2016

Perché Hillary Clinton non stravincerà

Lo ha spiegato il Washington Post elencando tre ragioni molto convincenti

di Aaron Blake – The Washington Post

(AP Photo/Matt Rourke)
(AP Photo/Matt Rourke)

«Perché non sono avanti di 50 punti?», si è chiesta in modo retorico Hillary Clinton mercoledì, riprendendo una domanda che di sicuro si sente fare di continuo, e che forse lei stessa si chiede legittimamente. La domanda sembra saltare fuori in continuazione tra gli americani di sinistra: considerando tutte le cose – razziste e sessiste, sosterrebbero loro – dette da Donald Trump, come è possibile che la corsa per la presidenza degli Stati Uniti sia ancora così combattuta? Come mai un politico esperto come Clinton non ha ancora demolito il suo avversario? Alcune persone incolpano i media di eccessiva leggerezza nei confronti di Trump, di avergli fatto un sacco di pubblicità gratuita o di non avere esposto in modo più diretto le sue bugie. Questa teoria, però, non tiene conto del fatto che Trump è stato e rimane il candidato presidente più impopolare della storia moderna degli Stati Uniti. Stando ai sondaggi, Trump non piace a due terzi degli americani. Ciononostante, rimane vicinissimo a Clinton. Come mai? Perché Clinton non ha un vantaggio molto più ampio in una corsa che i suoi sostenitori – e molti nel settore dei media – pensavano fosse impossibile da perdere? Sostanzialmente per tre ragioni:

1) Faziosità dell’elettorato

Un candidato presidente di un importante partito americano oggi deve davvero metterci del suo per ottenere meno del 40 o anche del 45 per cento dei voti. Questo perché gli elettori americani oggi sono molto polarizzati. Dal 1972 c’è stato solo un caso in cui un’elezione presidenziale si è conclusa con un distacco a due cifre tra i candidati. Dalla larghissima rielezione di Richard Nixon del 1972, nessun partito ha mai preso meno del 40 per cento dei voti in una corsa a due. Più precisamente, nessun partito ha preso meno del 45 per cento in un’elezione tra due candidati dalla presidenza di Ronald Reagan (questi dati non tengono conto di due delle ultime sette elezioni, cioè le due vittorie di Bill Clinton in cui oltre a Clinton e il candidato Repubblicano partecipò anche Ross Perot come indipendente. Ma senza Perot probabilmente la tendenza sarebbe rimasta la stessa).

Se si ripensa all’elezione di Barack Obama nel 2008, il suo vantaggio di 7 punti percentuali nel voto popolare fu considerato una vittoria larghissima. Uno dei motivi principali è che, semplicemente, il numero di elettori indecisi sta diminuendo sempre di più. A novembre il giornalista del Washington Post John Sides ha citato uno studio di Corwin Smidt della Michigan State University che mostrava come il numero di elettori indecisi (indicati nel grafico qui sotto come “floating voters”) sia passato dal 15 per cento della popolazione alla fine degli anni Sessanta a circa il 5 per cento di oggi. Questa tendenza è in parte motivata dal fatto che gli stessi partiti americani sono diventati più ideologicamente polarizzati. L’epoca dei Democratici conservatori del sud e dei Repubblicani progressisti del nord è finita da tempo.

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La conseguenza è che in molti stati e distretti americani gli elettori votano lo stesso partito per la presidenza, il Senato, la Camera, e molti altri incarichi. In ogni elezione tra il 1956 e il 1996 oltre 100 distretti elettorali per il Congresso votarono candidati di partiti diversi per la presidenza e per la Camera, mentre nel 2012 è successo solo in 25 collegi.

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(Vital Statistics on Congress)

Che la causa sia la maggiore polarizzazione dei partiti o delle persone (o di entrambi), gli elettori sono comunque diventati molto più prevedibili nella scelta tra Partito Repubblicano e Partito Democratico. Trump ha certamente le sue colpe – come dimostra il suo tasso di impopolarità a livelli altissimi – ma non ha allontanato quel 40 per cento di elettori che compone lo “zoccolo duro” dei Repubblicani, e probabilmente non lo farà mai.

2) Entusiasmo

Al di là della prevedibile faziosità degli elettori, c’è poi il problema dell’affluenza e di quale candidato riuscirà a convincere i suoi sostenitori ad andare a votare. In questo caso, avere entusiasmo aiuta: ora come ora, potrebbe averne di più Trump. Un recente sondaggio condotto questo mese dal Washington Post e da ABC News mostra che il 46 per cento dei sostenitori di Trump era «molto entusiasta» all’idea di andare a votare, mentre quelli di Clinton che dicevano altrettanto sono stati solo il 33 per cento. Il 93 per cento dei sostenitori di Trump, inoltre, ha detto di essere sicuro di andare a votare a novembre, contro l’80 per cento di quelli di Clinton.

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Per qualche ragione, nella maggior parte dei casi gli elettori di Clinton sono sembrati meno entusiasti dell’elezione. Forse questo spiega perché sondaggi che interpellano solo le persone che intendono andare a votare – e non quelli registrati per farlo, come si faceva nei mesi scorsi – sono a favore di Trump. La media di tutti i sondaggi condotti sugli elettori iscritti dall’Huffington Post Pollster danno Clinton in vantaggio di 3 punti. Considerando la media di tutti i sondaggi fatti sugli elettori probabili, però, Clinton è avanti solamente di un punto. Un maggiore entusiasmo darebbe di colpo a Clinton un vantaggio di 10 punti? No, ma probabilmente è il fattore che per ora sta rendendo la corsa più combattuta, e riflette anche un altro elemento che sta impedendo a Clinton di procedere verso una vittoria netta, ovvero…

3) La stessa Hillary Clinton

Il vero motivo per cui questa elezione non sembra per il momento andare verso una vittoria a mani basse di Hillary Clinton potrebbe essere la stessa Hillary Clinton. I dati sul gradimento di Trump sono abbastanza negativi da dare anche a un candidato con un gradimento nella media un vantaggio consistente. Ma anche il tasso di gradimento di Clinton è molto basso, e questo rende la corsa combattuta.

L’ultimo sondaggio di Washington Post e ABC News ha mostrato che il numero degli elettori che ha un’opinione negativa di Clinton (il 59 per cento) era sostanzialmente uguale a quello degli elettori a cui non piace Trump (il 60 per cento). Anche per quanto riguarda il tasso di gradimento, i numeri dei due candidati sono risultati praticamente indistinguibili (38 per cento per Clinton e 37 per cento per Trump).

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Ovviamente i sostenitori di Clinton daranno la colpa di questi dati alla copertura mediatica del loro candidato, specialmente per quanto riguarda lo scandalo delle email e quello sulla Clinton Foundation, che ritengono esagerati. Il gradimento di Clinton, però, è in calo costante da anni, e si è stabilizzato per poco tempo solo durante il periodo in cui è stata un segretario di Stato molto popolare.

Clinton è in corsa contro un candidato con molti difetti, che ha fatto di tutto per danneggiarsi durante la campagna elettorale. Si sta presentando anche come simbolo di continuità con le politiche di un presidente Democratico improvvisamente molto popolare come Barack Obama. Forse, quindi, dovrebbe avere un vantaggio molto maggiore (lo stesso Obama ha fornito qualche teoria per spiegare perché le cose non stanno così, tra cui la faziosità e il sessimo. «Questa non dovrebbe essere un’elezione combattuta, ma lo sarà, e il motivo per cui sarà così non sono i difetti di Hillary», ha detto Obama ai suoi sostenitori durante un recente evento per la raccolta di fondi). L’idea che questa elezione sarebbe potuta diventare una vittoria a mani basse per Clinton è sempre stata improbabile: non tiene conto del fatto che oggi la politica americana non funziona in questo modo, e che la stessa Clinton è da molto tempo un politico molto polarizzante.

© 2016 – The Washington Post