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  • Martedì 6 settembre 2016

In Spagna siamo punto e a capo?

Dopo quasi nove mesi senza un governo e due elezioni infruttuose, la politica spagnola è ancora bloccata: ma qualcosa potrebbe cambiare con le elezioni basche del 25 settembre

Pedro Sanchez al Parlamento spagnolo, a Madrid (PEDRO ARMESTRE/AFP/Getty Images)
Pedro Sanchez al Parlamento spagnolo, a Madrid (PEDRO ARMESTRE/AFP/Getty Images)

La settimana scorsa è fallito l’ennesimo tentativo di formare un governo in Spagna. Mariano Rajoy, primo ministro uscente e leader del Partito Popolare (PP), non è riuscito a ottenere la fiducia del Parlamento, come era stato ampiamente previsto dai principali quotidiani spagnoli nei giorni precedenti al voto. Rajoy aveva ricevuto l’incarico di formare un governo dal re Filippo VI, dopo che il suo partito – al governo dal 2011 e di orientamento conservatore – aveva vinto le ultime elezioni, che si erano tenute il 26 giugno. Il PP non era però riuscito a ottenere un numero di seggi tale da avere da solo la maggioranza in Parlamento. La scorsa settimana Rajoy ha affrontato le due votazioni di fiducia in Parlamento con l’appoggio di Ciudadanos – il quarto partito spagnolo per numero di voti, di orientamento centrista – ma non è stato sufficiente. Ora in Spagna è tutto fermo, di nuovo, e le prospettive non sembrano essere per niente buone: si rischia di andare a votare per la terza volta in un anno.

Partiamo dall’inizio. Negli ultimi nove mesi in Spagna ci sono già state due elezioni legislative, cioè quelle per rinnovare il Parlamento e di conseguenza anche il governo. Si è votato la prima volta nel dicembre 2015 e la seconda nel giugno 2016: in entrambe le occasioni il primo partito è stato il PP di Mariano Rajoy, il secondo il Partito Socialista (PSOE) di Pedro Sánchez, il terzo Podemos di Pablo Iglesias e il quarto Ciudadanos di Albert Rivera. Tra la prima e la seconda elezione sono però successe delle cose rilevanti. Il PP – che sembrava in forte declino dopo l’ennesimo scandalo che ha coinvolto un suo membro – ha aumentato il numero di seggi in Parlamento, anche a causa di una generale crisi della sinistra spagnola. Podemos, che aveva l’obiettivo di diventare il primo partito di sinistra grazie alla sua alleanza con Izquierda Unida (una coalizione di forze di sinistra), ha perso voti e da allora sembra attraversare un brutto momento. Il PSOE, nonostante a giugno sia riuscito a non subire il sorpasso di Podemos, è in calo di consensi da mesi. L’unica costante è rimasta l’impossibilità di formare un governo, per l’incapacità dei partiti spagnoli di creare ampie alleanze.

Le alleanze che garantirebbero la maggioranza assoluta in Parlamento (176 seggi) sono due: una grande coalizione tra PP e PSOE, i due partiti tradizionali che hanno dominato la politica spagnola degli ultimi decenni fino alle elezioni di dicembre, e una coalizione delle forze centriste e di sinistra, cioè del PSOE, Podemos e Ciudadanos. Finora nessuna delle due soluzioni è sembrata fattibile. Nel primo caso a opporsi è stato il PSOE, il cui leader Pedro Sánchez ha ribadito in più occasioni che non farà mai un’alleanza con il PP, soprattutto con Rajoy primo ministro: se dovesse allearsi con il PP, il PSOE perderebbe il suo ruolo di principale forza di opposizione nel paese, lasciando spazio politico a Podemos. Nel secondo caso l’alleanza è bloccata soprattutto dal disaccordo tra Ciudadanos e Podemos sulla questione del referendum sull’indipendenza della Catalogna, la comunità autonoma della Spagna che ha per capitale Barcellona: Ciudadanos si oppone all’idea di un referendum, che è invece sostenuta da Podemos.

Al momento in Spagna è tutto fermo un’altra volta e l’ipotesi di terze elezioni – ipotesi che sembrava incredibile fino a qualche mese fa, nonostante lo stallo politico – sta diventando sempre più concreta. Prima che vengano indette nuove elezioni, potrebbe esserci però un’ultima occasione per sbloccare la situazione. Il 25 settembre si terranno le elezioni regionali nei Paesi Baschi e in Galizia, due comunità autonome del nord della Spagna, e in particolare i risultati baschi potrebbero cambiare gli equilibri nazionali. Se il PNV – il Partito nazionalista basco, di centro-destra – dovesse avere bisogno dell’appoggio del PP per governare nei Paesi Baschi, il PP potrebbe chiedere in cambio l’appoggio dei cinque deputati del PNV in Parlamento (è già successo che il PNV appoggiasse l’investitura di un leader dei Popolari: nel 1996, con José Maria Aznar). Inoltre, se il PSOE ottenesse un brutto risultato alle elezioni basche e galiziane, all’interno del partito potrebbe essere messa in discussione la linea intransigente scelta finora da Sánchez e potrebbe prevalere quella di altri esponenti socialisti, tra cui il veterano Felipe González, che sembra essere più aperta a un dialogo con il PP.

Ci sono però alcuni problemi che rendono difficile questa soluzione. Ciudadanos, l’unico partito che finora ha appoggiato apertamente l’investitura di Rajoy, ha già detto di essere difficilmente compatibile con qualsiasi patto che includa il PNV. Il problema è sempre quello dell’indipendenza delle comunità autonome spagnole: Ciudadanos dice di non voler firmare un accordo che includa la possibilità di referendum separatisti e indipendentisti in nessun territorio della Spagna, al contrario di quanto propone il PNV. Un altro problema è il tempo: dopo le elezioni basche e galiziane ci saranno solo pochi giorni a disposizione prima che scada il periodo concesso dalla legge spagnola per formare il governo. Se al termine non sarà votata alcuna maggioranza parlamentare, il re sarà costretto a indire nuove elezioni, che si terranno a dicembre (stando alle tempistiche previste dalla legge le elezioni cadrebbero il giorno di Natale, ma molto probabilmente verrà fatto un decreto apposta per anticiparle). Inoltre negli ultimi giorni anche il PSOE ha cominciato a “corteggiare” il PNV, offrendo la possibilità di inserire il concetto di “nazione” nello Statuto di autonomia dei Paesi Baschi, una soluzione che sarebbe gradita ai nazionalisti baschi.

Diversi osservatori e giornalisti spagnoli credono che in caso di nuove elezioni, la bassa affluenza – data per scontata un po’ da tutti – favorirà il PP, che tradizionalmente è la forza politica che in Spagna beneficia di situazioni simili. Il PSOE non sembra oggi in grado di recuperare i voti persi e Podemos sta ancora pagando le conseguenze dell’enorme delusione delle elezioni di giugno. Ma anche in caso di una nuova vittoria del PP, il rischio che si ricrei una situazione simile a quella degli ultimi mesi non sembra così improbabile, anche se l’assoluta necessità di approvare la legge finanziaria potrebbe in qualche maniera accelerare un accordo.