Perché Apple e l’Irlanda si danno una mano

Entrambi faranno ricorso contro il risarcimento da 13 miliardi: è un esempio dell'ascendente che le grandi società hanno sui governi

di Jim Tankersley – The Washington Post

(PHILIPPE HUGUEN/AFP/Getty Images)
(PHILIPPE HUGUEN/AFP/Getty Images)

Che le grandi multinazionali esercitino una forte influenza sui governi a tutti i livelli – locale, ma anche nazionale – non è mai stato in dubbio. Martedì 30 agosto, però, l’Unione Europea ha quantificato questa influenza. La Commissione Europea sostiene che il governo dell’Irlanda si sia assicurato 5.500 posti di lavoro da Apple con un accordo fiscale che ha permesso alla società di pagare meno tasse del dovuto, per circa 13 miliardi di euro, tra il 2003 e il 2014. L’accordo ha fatto sì che l’effettiva percentuale di tasse pagate da Apple all’Irlanda in quel periodo non fosse superiore all’uno per cento. Se venisse applicata, la sentenza costringerebbe Apple a versare 13 miliardi di euro all’Irlanda. I leader irlandesi, però, non vogliono i soldi e hanno detto che ricorreranno in appello, come farà anche Apple.

La volontà di fare appello può essere letta in molti modi, ma il più immediato è che per l’Irlanda una relazione che prevede un regime fiscale agevolato con Apple, e i suoi 5.500 posti di lavoro, valgono più di 13 miliardi: è questo il valore minimo dell’influenza che Apple ha avuto sul paese nel periodo che va dal 2003 al 2014. Facendo un rapido calcolo, fa poco più di 197mila euro per posto di lavoro all’anno: per un governo sembra una sovvenzione pesante da pagare a una grande società, senza contare il fatto che la società in questione è la più redditizia della storia, Apple.

Di recente la città di Boston e lo stato americano del Massachusetts hanno raggiunto un accordo con la multinazionale General Electric per spingere la società a spostare la sua sede dal Connecticut e portarla in Massachusetts. I sussidi statali e le agevolazioni fiscali locali previste dall’accordo ammontano a circa 130 milioni di euro per un periodo di 20 anni, e General Electric ha detto che porterà 800 posti di lavoro. Sono poco più di 8.000 euro per posto di lavoro all’anno. Ovviamente, è difficile immaginarsi i contribuenti del Massachusetts che votano per mandare a ogni dipendente della sede di General Electric un assegno annuale da 8.000 euro, o che gli elettori irlandesi siano d’accordo a darne 197mila a tutti quelli che lavorano ad Apple in Irlanda. In realtà, le cose stanno diversamente: queste società hanno ragione di dire che le agevolazioni fiscali arrivano da fondi che non esisterebbero se non fossero mai arrivate in questi posti. La loro presenza crea un’attività economica che altrimenti sarebbe andata da qualche altra parte, presumibilmente dove quelle aziende avrebbero ottenuto il miglior accordo fiscale.

Apple dice che dal 2012 ha investito quasi 140 milioni di euro a Cork per espandere il suo campus nella città irlandese – dove è il più grande datore di lavoro privato – che aggiungerà altri mille dipendenti, e che le sue spese hanno sostenuto 2.500 posti di lavoro in «settori come quello delle strutture, catering, sicurezza, selezione del personale, stampa, distribuzione e manutenzione». Per chiunque si sia occupato di politiche di sviluppo economico in qualsiasi stato americano negli ultimi 25 anni, è una storia nota. Le aziende, soprattutto quelle grandi, sfruttano la loro influenza sui legislatori per ottenere concessioni fiscali, una pratica che è stata documentata esaustivamente da gruppi come Good Jobs First. Non sempre funziona – il fatto che, per esempio, non tutte le società tecnologiche della Silicon Valley abbiano deciso di spostarsi in stati americani con un regime fiscale più basso dimostra come le aziende tengano conto anche di fattori diversi dall’aliquota fiscale quando scelgono dove stabilire la propria sede – ma spesso sì. E lo stesso discorso vale fuori dagli Stati Uniti. Recentemente il CEO di Apple Tim Cook ha raccontato alla giornalista del Washington Post Jena McGregor che la società non riporterà negli Stati Uniti le sue riserve di denaro internazionali per investire nel paese finché non ci sarà un «livello giusto» di tassazione per le aziende.

Per i legislatori a tutti i livelli di governo, le questioni principali sono due. La prima riguarda le società che non hanno grande influenza: le piccole aziende o quelle che esistono solo nella testa di un imprenditore. Sono loro a rimetterci quando le grandi società sono tassate meno di tutti gli altri. È una delle argomentazioni principali che l’Unione Europea ha sottolineato nella disputa con Apple. L’altra questione è la trasparenza degli incentivi. Ragionevolmente le aziende vogliono ridurre al minimo le tasse che devono pagare, e ragionevolmente i legislatori vogliono massimizzare la crescita economica nella zona che amministrano. Queste forze spingono verso accordi fiscali sempre più vantaggiosi per le grandi società. Sono il motivo per cui il rapporto dell’Irlanda con Apple vale più di 197mila euro a posto di lavoro, se l’alternativa è non aver nessun posto di lavoro e nessun investimento. Finché le aziende avranno così tanta influenza, la matematica continuerà a essere a loro favore.


Gli Stati Uniti stanno diventando uno dei più importanti paradisi fiscali al mondo

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